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Emilia Squillante, Nola e il deficit (della fiducia)

02/02/2017

raffaele

La vicenda dell’Ospedale di Nola, le polemiche sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano sono un piccolo spaccato di storia recente ma anche casi che toccano da vicino la comunicazione pubblica e che mostrano un generalizzato crollo della fiducia. Questa settimana #AroundPA ospita un intervento di Pierluigi De Rosa sul tema della credibilità dei comunicatori e delle istituzioni.

di Pierluigi De Rosa - @pderosa79

Dall’ospedale “Santa Maria della Pietà”, pieno hinterland napoletano, all’hotel “Rigopiano” di Farindola, sulle pendici del Gran Sasso, si è consumato un piccolo pezzo di storia recente del nostro Paese e della comunicazione pubblica. Da un lato le urgenze e le richieste di stakeholder ormai sfiduciati, dall’altro l’incapacità di gestire situazioni critiche, in mezzo la spinta centrifuga di media tradizionali e social network, che letteralmente fagocitano le voci delle istituzioni pubbliche. La foto postata da un utente su Facebook, con alcune persone sdraiate a terra nel pronto soccorso di Nola, ha conquistato le prime pagine e le home page dei più importanti giornali italiani. Senza entrare nel merito di una vicenda complessa, il dato che emerge è un azzeramento reputazionale: è sufficiente un’occhiata ai motori di ricerca per finire risucchiati nella “bolla” di quella foto, solo in parte attenuata da alcuni endorsement (tardivi?) nei confronti di medici e operatori. “Non siamo eroi”, dice Emilia Squillante, infermiera in servizio quella sera, in un’intervista a Il Mattino di Napoli, insieme al direttore sanitario una delle poche voci istituzionali a difesa del “brand”. In realtà non vi era strutturalmente alcuna possibilità di contrastare quella che Daniele Chieffi chiama l’isteresi della Rete, una spirale negativa di giudizi che si auto-alimentano e si rafforzano reciprocamente fino a determinare la rigidità del sistema reputazionale: in altri termini, non è più possibile spegnere l’incendio e recuperare il capitale reputazionale perduto. Resistere a questo tsunami sarebbe stato arduo anche per strutture solide dal punto di vista del crisis management; figuriamoci per un ospedale che, come tanti, non sembra disporre di strutture comunicative adeguate ed è confinato in una sezione del sito web dell’Asl Napoli 3Sud (!).

Crollo reputazionale e quindi, andando ancora più a fondo, perdita di fiducia nell’istituzione pubblica. Un caso, quello di Nola, che racchiude nella sua singolarità le dinamiche profonde del sistema Italia: una sfiducia generalizzata nello Stato e nelle sue articolazioni, come rileva il recente Rapporto Demos, che si accompagna a un malessere ancora più penetrante, la diffidenza nei confronti degli altri. Tendenza confermata dal Trust Barometer 2017, che denuncia una “implosione” della fiducia a livello globale a cui sfugge solo “chi è come me”. Un meccanismo che – curiosamente? – è lo stesso alla base delle echo-chambers e degli algoritmi, più o meno opachi, che regolano il funzionamento dei social network e la visibilità dei contenuti postati. Ne deriva l’urgenza di riscrivere i paradigmi relazionali, adattandoli al nuovo ecosistema digitale. Ma per fare questo non basta essere sui social, occorre essere social, vale a dire costruire una identità comune, riavvicinare l’ente pubblico ai suoi stakeholder, attraverso un percorso di ascolto e di condivisione. Un ascolto che va declinato dentro e fuori l’organizzazione pubblica, nei confronti dei pubblici interni ed esterni. Scarso commitment e difficile identificazione con il brand  possono essere gli ostacoli interni; disorientamento, distacco (se non appunto sfiducia), frustrazione e costi dell’adempimento sono invece i fattori critici rispetto al contesto esterno. Sarebbe prezioso cominciare a ragionare, magari proprio partendo dagli stakholder, su alcuni temi-pivot:

  • Accountability. Per uscire dalle definizioni canoniche, accountability significa ad esempio fare in modo che la “macchina dei soccorsi” che puntualmente scopriamo e “glorifichiamo” nelle situazioni di emergenza (vedi hotel Rigopiano) sia nota al grande pubblico per ciò che fa nei restanti 364 giorni. I vituperati “forestali” (ora Carabinieri forestali), gli sciatori della Guardia di Finanza, il Soccorso Alpino, ecc., una pletora di soggetti pubblici improvvisamente sottratti al limbo dei “fannulloni” per diventare “eroi”. Una più solida accountability si gioca prima di tutto dentro le istituzioni, provando a costuire una narrazione istituzionale che non sia mera “propaganda” ma spiegazione del proprio lavoro, racconto delle persone e delle storie di amministrazione quotidiana.

  • Advocacy nei confronti del sistema dei media. Serve una azione forte di sensibilizzazione nei confronti del sistema dei media per agevolare una rappresentazione delle organizzazioni pubbliche (e non solo) ispirata a un giornalismo costruttivo, che non sia solo denuncia (sacrosanta) di ciò che non va, ma ricerca delle soluzioni. Il punto di arrivo è un discorso giornalistico che tragga origine sì dai problemi ma riesca anche a mostrare come quei problemi possano essere superati o quantomeno gestiti, con il coinvolgimento di tutte le parti in causa. Una “faglia” si è già aperta, con la sperimentazione di modelli giornalistici non limitati al bad news,good news. Ma il tavolo di discussione andrebbe aperto anche nei dorsi e nei quotidiani di provincia, nei giovani che si affacciano al mestiere e nelle scuole di giornalismo, nel mondo degli influencer e in generale dove si fa opinione.

  • Personalizzazione della relazione. Se poi veniamo alla pratica quotidiana della comunicazione pubblica, scopriamo un utente disorientato, che ha bisogno di essere rassicurato, che non ha chiaro il procedimento amministrativo, che ha diritto a un feedback e a un linguaggio accessibile, ecc. Da qui l’esigenza di personalizzare la relazione, di uscire dalla logica del mero adempimento e capitalizzare quella enorme mole di contatti che ogni amministrazione pubblica ha quotidianamente con i propri stakeholder, cosicché sia possibile realizzare dei prodotti comunicativi sempre più user-tailored. Serve una strategia comunicativa che si sviluppi contemporaneamente on line e off line, sulla comunicazione mediata e sul livello disintermediato.

  • Vicinanza al territorio. Off line significa, sostanzialmente, tornare al territorio. E’ la cosa più semplice ma quella che talvolta i comunicatori non fanno, ritirandosi nelle torri d’avorio degli “uffici comunicazione”. C’è bisogno di un approccio hands-on, di ricucire lo strappo che si è consumato tra il “palazzo” e le comunità. Decisiva è qui l’uscita dagli spazi istituzionali e l’organizzazione di momenti di incontro o di erogazione dei servizi nei luoghi pubblici, ad esempio valorizzando il tessuto associativo che soprattutto in alcune realtà è molto solido.


Su questi temi si gioca la credibilità non solo dei comunicatori ma delle istituzioni del nostro Paese.

 

 
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