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Etica della notizia e ruolo dei comunicatori

30/03/2005

Una nota in forma di lettera di Umberto Febbraro su un tema di attualità anche in vista dell'assemblea programmatica del 9-10 aprile. E un articolo del Riformista.

Caro Toni,come ti avevo preannunciato, qualche giorno fa con dei miei allievi e due giornalisti ho promosso un confronto cultural - didattico per riflettere sulla rilevanza sociale delle discipline della comunicazione e in particolare sull'importanza dell'etica e della deontologia professionale nel rapporto tra fonti d'informazione e giornalismo. Uno dei due giornalisti presenti, quello de Il Riformista che era presente ha tratto spunto per la propria redazione che sull'argomento ha fatto un pezzo  in edicola il 25 marzo. Il tema è amio avviso - anche se  da sempre  connesso alla nostra professione - oggi di importante attualità in vista dell'assemblea dell'9 / 10 aprile (vedi gli articoli delle scorse settimane). Questo perché, come tutti sappiamo il settore delle rp è molto cresciuto anche in pararallelo al contesto di riferimento e alla crescente conflittualità dei dibattiti pubblici relativi ai conflitti istituzionali tra poteri dello Stato e forze politiche, con cui si è incancrenito il confronto politico e pubblico degli ultimi anni. Il ruolo poi degli imprenditori nel settore editoriale e la recente terribile "legge sul risparmio", la sempre maggiore commistione tra banche e industrie (direi ...e imprenditori edili) che con la legge bancaria del 1936 era stata separata (per non dire impedita),  la pressante opera dell'inserzionista pubblicitario di vedere riconosciuti redazionali in cambio di spot e una diffusa percezione di mancanza di "visione" della classe dirigente di questo Paese, mi ha indotto a stimolare un dibattito in merito a codici deontologici dei comunicatori e dei giornalisti (carta di treviso, privacy, ecc..) avente a oggetto "la rilevanza sociale delle discipline della comunicazione".In un momento storico in cui vengono modificati 53 articoli della Costituzione e che si può rilevare una consistente corsa (più di altri momenti di cui la mia giovane memoria possa aver ricordo) alla difesa degli interessi corporativi o delle élite di minoranza a scapito di più sane e oggettive regole del gioco (vedi come sono trattati i risparmiatori dei bond argentini o generalmente i piccoli azionisti ad esempio) - che diano opportunità anche a quella gente comune e risorse vive come imprenditori, insegnanti, professionisti e dirigenti d'azienda (ad esempio), ecc. che fondino il loro agire su una cultura più meritocratica - il ruolo dei comunicatori che è al centro degli interessi dell'economia, dell'informazione  e della politica non può non riflettere su ciò e non almeno porsi  "cosa sta contribuendo a costruire" in termini di idea di società e di mappa del mondo per milioni di cittadini e consumatori che spesso, ignari, sono al centro e destinatari finali delle azioni nostre e dei colleghi che operano nel marketing e in pubblicità.Secondo me dovremmo almeno aver ben presenti e applicarli quei paletti deontologici (il resto è moralismo) che ci siamo fissati. Il problema è che in Ferpi siamo un migliaio e il settore che rappresentiamo è molto più consistente in termini di numeri. Dal lato dei colleghi giornalisti il pur forte attivismo dell'Ordine della Lombardia nel sanzionare comportamenti scorretti mi sembra poca cosa e di assoluto secondo piano rispetto alle operazioni mediatiche e di intrattenimento condotte dai principali mezzi televisivi che nel complesso mi sembra stiano contribuendo a creare una specie di corsa al ribasso di stimoli qualitattivi.Penso che anche noi in Ferpi almeno dobbiamo fare mente locale su questi temi altrimenti rischiamo di orientarci esclusivamente sulla rincorsa alla fattura da emettere o al budget da gestire all'interno o all'esterno dell'organizzazione per la quale lavoriamo. Lascio queste brevi considerazioni ai punti di vista dei colleghi sul nostro sito e allego il pezzo che la redazione del riformista ha poi pubblicato.Un caro salutoUmberto Febbraro 
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