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Fate scendere Faruk dai manifesti

22/02/2012

“Conosci Faruk?”. La domanda, insistente, faceva bella mostra di sé su alcuni cartelloni pubblicitari nelle scorse settimane. Era la campagna per il tesseramento Pd 2012. Un esempio di comunicazione virale costruita e riuscita male. Perché le conversazioni per funzionare devono essere vere, non semplici link a social network. L’analisi di _Matteo Colle._

di Matteo Colle
Per settimane ci siamo tutti chiesti se conoscessimo Faruk. Dopo un poco di smarrimento e dopo affascinanti discussioni sulla crossmedialità della campagna, sull’effetto tieser più o meno riuscito, la domanda continua a esser lì intatta. Conosco Faruk? Che, fuor di metafora, vuol dire conosco l’elettorato del PD e più in generale gli elettori italiani? Questione che non è da poco per chi si occupa da anni di comunicazione e marketing politico. Chiedersi quanto sappiamo di Faruk, significa interrogarsi sul senso stesso della comunicazione dei partiti politici, di quella degli e agli elettori e dell’offerta politica più in generale.
Temo che stiamo prendendo atto di un ritardo strutturale (forse congenito) nell’approccio della politica italiana alla comunicazione e al marketing. Anzi, mi pare che la comunicazione e il marketing politico italiano sortisca migliori effetti quando è inconsapevole. Oggi chi si occupa di marketing sa che gli approcci con cui fare i conti hanno nomi come “relazionale”, “conversazionale”, “sensoriale” ed “emotivo”. Ma, a pensarci bene, chi da sempre fa politica sul territorio sa che la campagna elettorale si vince con le relazioni, le conversazioni, le emozioni e le idee. Il paradosso è che chi si occupa oggi professionalmente di comunicazione politica, o si occupa di comunicazione in generale ed entra nel “mercato” della politica, sembra rimuovere l’esperienza sul campo, per mimare schemi di comunicazione vecchi di anni e solo in parte efficaci oggi.
Conosci Faruk è solo un esempio non già di una bella idea costruita male ma è un’idea vecchia che si fa schermo di modalità nuove. La domanda che va fatta è radicale. Ha ancora senso una “campagna” di tesseramento? Ha senso una campagna di comunicazione a sostegno di un’iniziativa politica come un congresso o un meeting di partito. Cosa è servita, e cosa è rimasto nell’esperienza che i cittadini italiani hanno del PD, la campagna: “Ricostruiamo l’Italia nel nome del popolo italiano.”, lanciata in occasione della manifestazione del 5 novembre 2011? E cosa rimane del “Vuoi difendere la tua libertà? Iscriviti al Pdl”, altra campagna di tesseramento questa volta del principale partito di centrodestra?
La verità è che costruire e comunicare un’identità (di prodotto, di marca, di partito), significa costruire un’esperienza; meglio, significa fare vivere un’esperienza cercando di esercitare quel minimo di controllo simbolico che ci è consentito dalle tecniche della nostra professione di comunicatori. Per intenderci, il fallimento di “Conosci Faruk”, non è né un problema di creatività scarsa o mal riposta, né di linguaggi e di uso dei social media (5.000 likers su Facebook sono ben poca cosa soprattutto perché venuti in gran parte dopo lo scoppio delle polemiche). L’insuccesso di questa campagna, come di altre, è che ha rimosso due aspetti vitali: l’esperienza e il cittadino elettore.
L’esperienza: perché se si mette “Faruk” sull’affissione poi servirebbe un “Faruk” da toccare in ogni circolo del PD. I cittadini elettori: perché la filosofia sottesa a una campagna di advertising come questa (per quanto crossmediata) continua a ignorare il cliente/elettore e lo riduce a un pubblico indifferenziato in cui Faruk vale per Marco, Matteo o Giovanna.
Fare toccare Faruk significa costruire un’esperienza. Significa che chi fa marketing della politica deve affrontare senza paura e senza ideologia il ruolo che oggi hanno i luoghi della politica sul territorio. Ha senso che i circoli, sezioni e sedi di partito siano solo uno spazio di dibattito e iniziativa politica (parlata) e non abbiano altre funzioni di coinvolgimento e d’impegno? “Conosci Faruk” funziona solo se Faruk, Marco e Giulia sono anche coloro che al bisogno spalano la neve a Bologna, Milano e Roma, con una bella pala in mano magari con sopra il simbolo PD. “Vuoi difendere la tua libertà” funziona se invece di limitarsi ai seminari sui diritti e il disagio sociale, il circolo locale del PDL organizza anche una squadretta di volontari che, che so, difende gli spazi verdi dai maleducati che li riempiono di rifiuti e deiezioni canine Sono solo alcuni esempi di come il marketing politico possa costruire e fare vivere esperienze che comunicano. E ciò vale a tutti i livelli dell’articolazione del partito; e vale tanto più se è espressione di un’identità compiuta e consapevole anche a livello nazionale, e non rimane un’iniziativa isolata e sporadica.
Rimettere al centro i cittadini elettori, significa, d’altra parte, rimettere in moto in modo nuovo e più consapevole quel meccanismo di conversazioni che faceva sì che ai vecchi amministratori bastava fare capolino in tre bar e due circoli per sapere quello che succedeva in città e ciò che c’era da fare. Per anni siamo stati abituati a considerare gli elettori, un target, un pubblico indifferenziato a cui rivolgerci in modo omogeneo e al limite da sondare con sofisticati strumenti di rilevazione. L’esperienza di campagna elettorale ci dice che questo approccio da solo non funziona più e che, forse, non ha mai funzionato davvero. L’ingaggio della conversazione è uno skill fondamentale per chi fa politica (penso banalmente a un candidato consigliere comunale) e allora perché non deve esserlo per un partito? A questo stanno supplendo i social network, ma di certo non bastano. E’ per questo che alla domanda “Conosci Faruk”, la mia risposta è facciamo scendere Faruk dal manifesto.
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