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Giornalisti e relatori pubblici: un rapporto possibile

27/04/2010

Dal Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia emergono i limiti e le contraddizioni di un rapporto, quello tra giornalisti e relatori pubblici, ancora molto contrastato. Il commento di _Italo Vignoli_ a margine dell’incontro promosso da Ferpi.

Molto apprezzato l’intervento di Gianluca Comin dal titolo Ferpi, 40 anni tra comunicazione e informazione che ha rilanciato la necessità di ripensare il rapporto tra giornalisti e relatori pubblici.
di Italo Vignoli
Sono stati cinque giorni molto intensi, talmente ricchi di stimoli da rendere difficile una sintesi ragionata a così breve distanza di tempo, visto che la manifestazione si è chiusa ieri (domenica 25 aprile).
Il modo più corretto per leggere questo articolo, quindi, è quello di considerarlo un vero e proprio debriefing dell’evento, ovvero un tentativo di organizzazione delle idee e degli stimoli che ho ricavato ascoltando, intervenendo (in qualche caso) e discutendo (molto) con i giornalisti. Vorrei stimolare un dibattito, e per questo motivo cercherò di lanciare delle “sassate” (virtuali) contro l’edificio della professione.
E’ inutile che ce la raccontiamo: i relatori pubblici non fanno parte dell’agenda dei giornalisti. Con l’esclusione del seminario organizzato da Ferpi, con Gianluca Comin e Renato Vichi, non c’è stato un (1) solo esponente aziendale invitato a parlare, a nessun titolo, in nessun evento (a spanne, un centinaio in cinque giorni).
Io avevo proposto l’argomento “giornalisti e relatori pubblici: un rapporto possibile” per il MediaCamp di domenica, ma siccome lo stimolo è caduto nel vuoto il mio discorso è stato programmato per le 17:30, dopo la partenza dell’ultimo treno… Ovviamente, ho tralasciato e sono andato a sentire un’altra tavola rotonda.
Eppure, nessun giornalista – nel corso dei confronti diretti, e nelle risposte alle mie domande puntuali sull’argomento – ha messo in discussione il fatto che le aziende sono un interlocutore autorevole e spesso indispensabile (per esempio, per l’innovazione), e lo saranno anche in futuro. Ergo, c’è un problema di reputazione.
Per esempio, Luca Tremolada – un giornalista di Nòva che affronta con passione i temi dell’innovazione, e che per questo motivo gode di tutta la mia stima – ha fatto una tirata contro il marketing che non sarebbe stata motivata se non da una lunga serie di cattive esperienze con i professionisti di questa disciplina.
Ho sentito diversi giornalisti che si interrogavano sulla necessità di isolare le cattive pratiche professionali, e qualcuno – durante il festival – è entrato in polemica diretta su questo tema. Certo, si tratta di una strada ripida e tortuosa, ma se non incominciamo a percorrerla anche noi ho paura che la reputazione non possa che peggiorare.
La soluzione c’è, e sta nella trasparenza, a tutti i livelli e per tutte le professioni: la rete, infatti, ha trasformato la trasparenza da opzione a valore assoluto, per i giornalisti come per i relatori pubblici e per le aziende. Paul Steiger, direttore di ProPublica (l’agenzia di giornalismo investigativo che ha appena vinto il Premio Pulitzer), ha ripetuto fino alla noia che la trasparenza è un presupposto indispensabile per il suo lavoro: l’agenzia pubblica i nomi dei finanziatori e l’entità dei finanziamenti, mentre il lavoro di indagine non viene comunicato a nessuno (nemmeno al committente, se esiste) fino a quando l’indagine stessa non viene conclusa con la pubblicazione dei risultati.
Eppure, il pubblico ha posto per almeno tre volte la stessa domanda (e forse lo ha fatto anche in altre occasioni, ma io non c’ero), quasi come una dichiarazione così semplice e lineare avesse degli elementi di scarsa credibilità. Purtroppo, la lunga desuetudine alla trasparenza ha creato dei mostri.
Eppure, il mondo del giornalismo è ricco di iniziative. Lo ha ricordato Luca De Biase nel suo discorso, stimolante e provocatorio, come ogni keynote degno del nome. Luca è uno storico braudeliano, e la sua visione del futuro – colta e appassionata – stimola nel geografo gambiano che si nasconde dentro di me la voglia di affrontare un percorso comune – nel rispetto delle rispettive professioni e professionalità – per un nuovo rinascimento della comunicazione.
Io credo che ci sia bisogno di regole di ingaggio trasparenti – chiedo venia per l’uso di un termine militaresco, che però sintetizza la necessità di modelli di comportamento che tutti si impegnano a rispettare – sulla base delle quali costruiamo i presupporti per un rapporto professionale. E chi non rispetta le regole d’ingaggio viene esposto al pubblico ludibrio con grande trasparenza (e ha spazio, facendo leva sulla stessa trasparenza, per riconoscere i propri errori). Altrimenti continuiamo a fare dei gran giri di valzer, e continuiamo a perdere di credibilità.
Concludo, ripetendomi: al Festival del Giornalismo eravamo troppo pochi per poter essere considerati degli interlocutori credibili dei giornalisti. Arianna e Chris, e i loro collaboratori, cominceranno a lavorare al Festival del Giornalismo 2011 nei prossimi mesi, e non possiamo permetterci di perdere un’altra occasione. Cominciamo con un Fuori Orario Camp? Andiamo in streaming in rete, con grande trasparenza.
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