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Il Paradosso del Relatore Pubblico e la sindrome di Stoccolma

18/01/2005

Due rischi professionali connessi all'accumulo di esperienza.

Ogni professione comporta rischi che sono specifici e non di altre professioni.Così anche le relazioni pubbliche, che fra i rischi principali annovera quello che chiameremo il ‘paradosso del relatore pubblico', per cui lavorando con efficacia si finisce inevitabilmente per perdere il contatto con la realtà e questo, a sua volta, non consente più di lavorare con efficacia.Andiamo ad illustrarlo.1. Una verità provata è che è difficile lavorare con efficacia per una causa della quale non si sia percepibilmente convinti. E questo per diverse ragioni: la prima delle quali è che essendo il nostro un lavoro anche persuasivo, ci è difficile argomentare bene una causa se non diamo all'interlocutore la sensazione che per primi ne siamo persuasi noi.Naturalmente c'è chi sofistica con dovizia di argomenti che questo non sia vero e che -anzi- la bravura di un relatore pubblico sta proprio nella sua capacità di argomentare cause in cui non crede; e a riprova di ciò sottolinea l'importanza che il professionista apprenda con meticolosità le tecniche persuasive più sottili proprio per adattarle con efficacia alle cause più difficili.La verità è che hanno ragione tutti e due, perché in realtà dicono la stessa cosa: è necessario, cioè, che il tuo interlocutore abbia fiducia in-te-che-argomenti la causa perché se si accorge che sei il primo a non crederci…. Ma se sei un professionista e non un dilettante allo sbaraglio non puoi pensare realisticamente di ottenere la fiducia a medio termine dei tuoi interlocutori se non sei con loro trasparente, poiché alla prima caduta perderesti la loro fiducia e butteresti via anni di duro lavoro.Quindi devi sforzarti di essere sempre convincente con modalità sempre trasparenti…ergo devi credere nelle cause che propugni. Attenzione! Non intendo entusiasmo nè paroloni; intendo pacati e ragionevolmente credibili argomenti, numeri e fatti a sostegno di questa o quella causa tenendo e rendendo conto di, e addirittura anticipando, tutte le possibili obiezioni.2. Se tutto questo è vero, si innesca inevitabilmente nel professionista stagionato la sindrome che siccome la causa del cliente/datore di lavoro è quella in cui deve credere altrimenti non riesce ad argomentarla, occorre trovare tutti gli argomenti possibili per rafforzarla anche nella opinione dell'interlocutore e quindi finisce inevitabilmente -i ntendiamoci non in malafede (sempre che il professionista sia serio) - per dare sempre minore importanza ai fatti, fino al punto da allontanarsi dal punto cardinale in cui ogni professionista deve sempre, in qualsiasi situazione, trovarsi: con i piedi ancorati nella realtà delle cose. Altrimenti non si capirebbe perché il cliente/datore di lavoro sia disposto a pagare le cifre che paga soltanto per avere un altro yes-man portaborse al seguito.Ecco dunque il paradosso: non si può essere efficaci se non si è convinti della causa, ma convincersi della causa può allontanare dalla realtà, e quindi diminuire l'efficacia del lavoro del relatore pubblico.3. A questo si aggiunga un secondo rischio correlato che è quello che definiremo della ‘sindrome di stoccolma'. Proprio per ‘mitridatizzare' il ‘paradosso del relatore pubblico', il professionista stagionato -fedele al suo ruolo anche di interprete delle aspettative degli stakeholder presso la coalizione dominante del cliente/datore di lavoro- tenderà inevitabilmente a sovrastimare l'importanza degli stakeholder sapendo che i suoi interlocutori interni la sottostimeranno, immaginando così di raggiungere un equilibrio accettabile.Così facendo, però, il professionista rischia di perdere la sua credibilità presso il cliente/datore di lavoro compromettendo in tal modo non soltanto le aspettative degli stakeholder ma soprattutto l'efficacia del suo lavoro.Ecco due rischi professionali connessi all'accumulo di esperienza e di pratica. Qualcuno ne vuole aggiungere altri?(tmf)
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