Stefano Di Traglia
L’attentato subito da Sigfrido Ranucci, giornalista d’inchiesta e volto di “Report”, ha scosso profondamente l’opinione pubblica.
Un gesto vile, condannato con fermezza da istituzioni e cittadini. Ma oltre alla solidarietà, questo episodio impone una riflessione più ampia: sul clima che si respira nel dibattito pubblico, sulla qualità delle nostre conversazioni, e sul senso stesso della democrazia.
La Federazione dei relatori pubblici italiani con la segretaria generale Daniela Bianchi ha pronunciato parole chiare e lucide: «Non possiamo più permetterci di normalizzare l’aggressività verbale, la delegittimazione sistematica, l’odio travestito da opinione». Serve un cambio di passo, urgente e non più rimandabile per fermare questo clima spesso tossico del confronto pubblico, che si è addirittura protratto anche nelle ore successive all'attentato nei confronti di Ranucci. Come se non ci fosse più la capacità di fermarsi dinanzi a nulla.
Talk show, convegni, dibattiti politici e giornalistici sembrano sempre più arene gladiatorie. Il tono è spesso urlato, lo scambio di idee si trasforma in scontro tra fazioni, e la ricerca della verità cede il passo alla spettacolarizzazione. In questo contesto, chi prova a fare informazione rigorosa diventa bersaglio.
Ma non è solo una questione di stile. È una questione di efficacia democratica. I cittadini, disorientati e sfiduciati, si allontanano. Lo dimostra l’astensione record alle urne: un silenzio che grida disagio, un’assenza che è protesta. Serve una nuova grammatica del confronto.
Ritrovare toni civili non significa anestetizzare il dibattito. Al contrario, significa renderlo più incisivo, più trasparente, più comprensibile. Significa creare spazi dove le idee possano confrontarsi senza paura, dove il dissenso sia legittimo ma non violento, dove la passione non degeneri in odio.
Politici, giornalisti, comunicatori, accademici: tutti abbiamo una responsabilità. Non basta condannare gli atti estremi. Occorre disinnescare il clima che li rende possibili. Occorre educare al rispetto, alla complessità, alla pazienza del ragionamento.
Questo è un appello. Per tornare a parlare con rispetto. Per costruire ponti, non trincee. Perché la democrazia non è solo voto: è parola, ascolto, confronto. E se la parola si fa tossica, anche la democrazia si ammala. Ricominciare dai toni civili è il primo passo. Non il più facile, ma il più necessario.