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Il Parlamento si arrende alla corruzione. Cosa può fare Ferpi per accelerare il recupero della credi

07/02/2006

Editoriale di Toni Muzi Falconi

Chiunque abbia avuto a che fare con il nostro processo decisionale pubblico - nella Prima o nella Seconda Repubblica - non può certo stupirsi dell'assalto alla diligenza da parte dei parlamentari in queste ultime convulse giornate di legislatura, e - ricordando la verosimile affermazione attribuita ad un leader del centro sinistra al termine della passata legislatura quando era al governo non gli abbiamo lasciato neppure i soldi per un caffè - sarebbe ipocrita elevare un lamento.
E' a tutti chiaro come il degrado sia drasticamente peggiorato, certo, ma nessuno può rassicurarci che lo stesso non sarebbe avvenuto con una maggioranza di governo diversa.
Detto questo - e mettendo le mani avanti per non essere tacciato di eccessiva partigianeria - vorrei segnalare ai colleghi, con orrore e raccapriccio, l'avvenuta approvazione parlamentare dell'aumento da 2.500 euro a 50.000 euro del tetto minimo di contributi alle forze politiche che necessitano di trasparenza, ricordando anche che la regolazione delle attività dei gruppi di interesse era fra i punti chiave del programma elettorale 2001 di Forza Italia (ne abbiamo a suo tempo più volte dato atto proprio in questo sito), e che la rendicontazione preventiva e puntuale di quei contributi è uno dei principi base di una tale regolazione...
Piuttosto, questa decisione ci allontana ulteriormente dal novero dei Paesi civili.
In queste ultime settimane il caso Abramoff negli Stati Uniti, e il vivacissimo dibattito in corso a livello di Commissione e di Unione Europea sulla opportunità di nuove e stringenti regole per le attività di rappresentanza degli interessi, testimoniano l'attualità del tema e la tendenza ovunque, salvo che in Italia, verso un maggiore controllo e una maggiore trasparenza dei rapporti fra politica ed economia.
Possibile che in tutta la veemente tematizzazione di queste ultime settimane dei rapporti fra ds e movimento cooperativo, oppure del triangolo Fiorani, Fazio e il nutrito gruppo di parlamentari del centro destra sviluppatosi intorno alla vicenda Banca Popolare Italiana, non sia venuto in mente al proponente (Malan di Forza Italia) l'impresentabilità di quella proposta?
Non è venuto in mente, come si è visto; e non si è neppure potuto notare una particolare avversione da parte dei colleghi di Malan, della maggioranza come dell'opposizione (quest'ultima per la verità ha votato contro, ma senza grande rumore visto che così si giustifica un amico parlamentare di quella parte- siamo ormai senza voce e questo provvedimento è assai meno grave di tanti altri' rispetto a quell' assalto dei topi al formaggio', come l'ha platealmente definito lo stesso Ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, andato in scena nel nostro Parlamento).
A che serve dunque parlarne?
A me pare importante per i relatori pubblici ribadire il concetto che regolamentando le lobby non si risolve la questione della corruzione e che una regolazione va impostata secondo il principio prioritario che lo Stato debba incentivare i gruppi di interesse a confrontarsi equamente e con tendenziale simmetria.
A sua volta la declinazione di questo principio induce almeno due conseguenze:
°la trasparenza delle attività secondo il solito principio: ti dico chi sono, quale interesse rappresento, quale obiettivo mi propongo di raggiungere e come intendo perseguirlo, impegnandomi a rendicontare periodicamente quali e quanti risorse impiego nel processo;
°un intervento dello Stato fattuale e in chiave di servizi e di assistenza ai gruppi di interesse più deboli, per agevolare quel processo tendenzialmente simmetrico che assicuri al legislatore di avere ascoltato e preso nota delle aspettative di tutti gli stakeholder attivi su una determinata questione, libero poi di assumere la decisione finale nell'interesse generale.
Come ha scritto sulla prima pagina de Il Sole di domenica 5 Febbraio Marco Battaglini, la nuova norma consente al singolo che riceve il contributo di non dichiararne l'origine se di ammontare inferiore a 20 mila euro, mentre se il contributo è diretto al partito, quel tetto sale a 50 mila. Con il risultato che qualcosa come l'86% dei contributi di soggetti privati alla politica diventa invisibile'. Stabilito che i finanziamenti privati alla politica sono legittimi poiché fanno parte della libertà di espressione dei cittadini (persone, associazioni e imprese), questa rinuncia ad ogni trasparenza va interpretata come una resa alla corruzione, foriera di un ulteriore imbarbarimento del nostro processo decisionale pubblico.
Negli Stati Uniti, ci informa sempre Battaglini, per ogni elezione un cittadino non può elargire più di 2 mila dollari a un candidato e più di 25 mila a un partito nazionale. Non solo, ma l'origine di tutte le donazioni superiori ai 200 dollari è registrata e resa pubblica. Grazie a queste norme, oltre il 90% dei fondi raccolti per la campagna elettorale sono rendicontati e resi pubblici, e questo aiuta gli osservatori indipendenti a rintracciare e denunciare gli intrecci fra interessi particolari (non solo economici) e favoritismi politici.
Naturalmente uno Stato democratico che si rispetti e che tuteli l'interesse generale produce delle norme, comprese di sanzioni, proprio perché prevede che possano essere violate.
Eliminare la norma non elude il fenomeno, lo rende legittimo.
Come relatori pubblici avevamo sperato, dopo la mazzata di Tangentopoli dei primi anni novanta, che la nostra classe dirigente avesse perlomeno compreso il messaggio (per chi non lo ricordasse, la prima proposta di legge per la regolazione dei gruppi di interesse risale al lontano 1976 su iniziativa della Ferpi...).
Qualche segnale non negativo era arrivato anche in alcune piattaforme programmatiche di varie forze politiche. Poi, silenzio, imbarazzo, fastidio e l'avvio di un dagli al moralista' che pervade, oltre al ceto politico, anche quello economico e intellettuale.
Più recentemente, la seria e ben gestita azione di contenimento attuata dalla dirigenza ds in merito alla questione Unipol, lascia anche sperare che la questione non venga del tutto dimenticata.
Insomma, l'auspicata ripresa della credibilità internazionale del nostro Paese non può che passare anche da queste parti, chiunque vinca le elezioni politiche&
E sarebbe bene che Ferpi (il cui Consiglio nazionale si riunisce venerdì 10) riflettesse sulle proprie posizioni in materia, le confermasse magari arricchendole e aggiornandole per essere pronta ad assumere un ruolo attivo e rilevante di accelerazione subito dopo.
(tmf)
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