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Imprenditore paga gli operai per il volontariato

23/03/2009

Regala cinque ore di permesso mensile purchè utilizzate in progetti di sostegno sociale. La particolare idea di un imprenditore torinese che, in controtendenza rispetto al periodo di recessione economica, unisce la responsabilità sociale d’impresa al successo in termini di reputazione positiva.

“Voglio che della mia azienda si parli bene”. In fin dei conti sta tutta qua la decisione di Davide Canavesio, classe 1971, amministratore delegato della Saet, azienda torinese impegnata nella progettazione di impianti su misura per il trattamento termico a induzione, di liberare il lavoro e convertirlo, in una piccola quota, in una azione di volontariato.


Ciascuno dei 250 dipendenti della filiale italiana (secondo stabilimento in India) ha cinque ore di permesso mensile, tre delle quali retribuite dall’azienda. Permesso utilizzabile e scaricabile dal monte ore. Spendibile però solo come un voucher sociale. Quel tempo si può utilizzare per destinarlo in due progetti di sostegno sociale: il primo rivolto ai bambini down; il secondo alle famiglie in difficoltà.


“La mia azienda segna un più nel suo fatturato e anche quest’anno avremo le nostre soddisfazioni. La crisi non l’avvertiamo, di cassa integrazione non se ne parla. Perciò mi son detto: ecco, questo è il momento di fare una cosa strana”.


Canavesio è giovane e indubitabilmente ottimista: “Quando lavoravo a Londra ho avuto modo di seguire alcune attività sociali supportate dall’azienda. Ho sempre apprezzato questo tipo di impegno, poiché l’età media di chi pratica volontariato è tendenzialmente al di sotto dei 25 anni, e al di sopra dei 60. Quando lavori e magari hai anche una casa e una famiglia di cui occuparti, è impossibile trovare il tempo per fare altro. E allora, ecco: un po’ di tempo te lo regalo io. Esci prima dalla fabbrica a patto che non te ne torni subito a casa. La sfida è stata proprio quella di introdurre questo progetto innovativo rischiando di essere frainteso da dipendenti e sindacati e di essere considerato pazzo. In effetti quando sono andato all’Unione industriali a illustrarlo hanno sgranato gli occhi: “Le costerà un sacco di soldi. E proprio adesso lei…”. Proprio adesso, sì. Ero pronto a retribuire tutte e cinque le ore di lavoro dedicate al volontariato. Ma i sindacalisti mi hanno detto: “Lei ne paga tre; due le consegna al lavoratore. Sono disponibili e utilizzabili ma non vengono pagate. Così è più giusto ed anche più serio”.


Così è stato. “Credo fermamente nella dimensione sociale dell’imprenditoria e in più voglio che le persone che lavorano in Saet siano orgogliose della loro azienda. Conto di recuperare la spesa aziendale per la retribuzione di tutte queste ore liberate e sottratte al lavoro con l’entusiasmo e la motivazione. Secondo me è una spesa utile. Di Saet se ne parlerà bene e io sarò felice”.


tratto dalla rubrica Piccola Italia - la Repubblica
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