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InspiringPR, conosciamo gli speaker: intervista ad Antonella Mariani

24/04/2025

Emanuela Fregonese

Antonella Mariani parteciperà ad InspiringPR 2025 portando l’attenzione sulle donne e la necessità di un dialogo inclusivo per arrivare alla pace.

 

È il primo gennaio 2024 quando Antonella Mariani, Lucia Capuzzi e Viviana Dalosio vengono ispirate dalle parole di papa Francesco : "Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono" per scrivere il libro Donne per la pace. Voci che hanno cambiato la storia.

 

Il libro, con lo stile rapido e vivace dell’intervista giornalistica,  offre un viaggio intorno al mondo e all’umanità. Le storie di queste donne sono ricche di coraggio, inventiva e tenacia, e rappresentano un potente esempio di come la vulnerabilità possa essere trasformata in forza. Le donne dei racconti trasformano la vulnerabilità in forza e impegno, la passività in attivismo, la minaccia in coraggio, l’emarginazione in centralità, la ferita in un pungolo per il cambiamento, il dolore in solidarietà e compassione. Le parole chiave che emergono dai loro racconti parlano del valore dei legami, dell’importanza di umanizzare l’altro, della potenza del perdono. Queste donne, pur essendo diversissime tra loro, condividono l’esercizio delle virtù cardinali: fortezza, temperanza, giustizia e prudenza. Grazie a loro, la speranza acquista spessore e concretezza.

 

Le parole chiave che emergono dai racconti delle donne parlano del valore dei legami, dell’importanza di umanizzare l’altro, della potenza del perdono. Queste donne, pur essendo diversissime tra loro, condividono l’esercizio delle virtù cardinali: fortezza, temperanza, giustizia e prudenza. Cosa ti è rimasto dai loro racconti?

Penso che il mondo avrebbe più chance di vivere in pace se facesse sedere ai tavoli delle trattative e dei negoziati le donne che le guerre le hanno vissuto sulla loro pelle. Le donne che in Israele e in Palestina hanno superato l’odio e tentano di vivere un dialogo, in decine di organizzazioni come Women Wage Peace (Israeliane) e Women of the sun (palestinesi). Le madri e le mogli dei soldati in Ucraina e in Russia. Penso che sia uno sbaglio epocale che la metà del mondo sia esclusa dalla costruzione della pace: sia perché è dimostrato che laddove invece ci sono le donne, i trattati sono più duraturi, sia perché le donne nella società civile sanno costruire percorsi di pace dal basso, e infine perché dove ci sono le donne ci sono tutti coloro che sono tenuti ai margini, i fragili, gli anziani, i piccoli. La forza delle donne, la loro resilienza, gli “sguardi umani e i cuori che vedono” danno un contributo enorme alla pacificazione dal basso; tenerle fuori dai vertici dove tutto si decide pone un’ipoteca spaventosa al futuro del mondo. 

 

C’è una donna in particolare che ti ha colpito? Un aneddoto raccontato o un messaggio che ti ha lasciato? 

Mahbouba Seraj, nipote di re, figlia del popolo afghano, candidata al Nobel per la pace nel 2023, fondatrice dell’Afghan women’s network, rete di organizzazioni che gestiscono strutture di protezione per donne vittime di violenza. Lei, già, anziana, ha deciso di restare a Kabul dopo la conquista del Paese da parte dei talebani, pur avendo anche un passaporto americano. Non ha paura di essere uccisa, l’unico modo per ucciderla sarebbe quello di  farle interrompere il suo lavoro. Mi ha detto anche che ci sono giorni in cui non si alzerebbe dal letto per la disperazione di ciò che accade alle donne in Afghanistan, ma dopo aver versato lacrime ricomincia a sperare. 

 

Le notizie delle guerre in corso riempiono la nostra quotidianità. Oggi vediamo diverse donne al potere politico, ma queste sicuramente non avevano gli stessi ruoli prima che questi conflitti iniziassero. Pensi che le donne oggi al potere possano portare quella diversità necessaria al processo di pacificazione?

Bisogna cambiare paradigma, sostituire la logica dello scontro con quella dell’incontro. Dobbiamo notare che mai come oggi in Europa al potere ci sono donne (la Commissione, la Politica estera, il Parlamento, la Banca centrale), eppure non sono state trovate vie diplomatiche per affrontare la crisi ucraina. E’ prevalsa una logica di riarmo, di escalation bellica e questo ovviamente non solo per responsabilità europea. Solo la storia giudicherà se davvero in questi anni non ci siano mai stati spiragli di dialogo da allargare o se invece il proseguimento della guerra fosse l’unica via praticabile. La “diversità” di cui parli nella tua domanda, insomma, non si è vista. Ma non è mai troppo tardi, e la speranza, finora assolutamente disattesa a giudicare dai nomi che compongono le delegazioni negoziali di Russia e Stati Uniti, è che le donne possano entrare in un futuro e auspicabile processo di peace building per l’Ucraina e per le altre crisi che attraversano il mondo.

 

Avvenire ha firmato la “Petizione al Parlamento Europeo per l’adozione di una risoluzione in materia di promozione di interventi di “diplomazia riparativa”. Che sviluppi ha avuto?

La Petizione al Parlamento Europeo è stata elaborata per Avvenire da un team di giuristi di eccellenza dell’Università Cattolica di Milano. L’idea era di rinforzare ciò che prevede la storica Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 2000 su “Donne, pace e sicurezza”, la prima a chiarire l’impatto delle guerre sulle donne e a valorizzare il ruolo delle donne per la soluzione dei conflitti e per una pace durevole. Con la nostra Petizione, sottoscritta da migliaia di persone singole e da esponenti di associazioni, abbiamo chiesto agli Stati europei di implementare l’Agenda dell’Onu Donne, pace e sicurezza e di agevolare la partecipazione delle donne nei ruoli di negoziazione. La Petizione è stata registrata dal PE, e ora dobbiamo fare un po’ di azione di lobby per cercare di farla approvare. E’ comunque significativo che un giornale cattolico si ponga capofila di una richiesta di questo tipo.

 

Qualche consiglio alle donne per far sentire la loro voce, per trovare la forza ed il coraggio necessari per fare realmente la differenza.

Non sono certo io a poter dare consigli alle donne, se non umilmente e in base a ciò che ho imparato da questa avventura giornalistica e umana. Penso che noi donne dobbiamo impegnarci - e già lo sappiamo fare! - a umanizzare il piccolo pezzo di società in cui viviamo. Ciò vuol dire innanzitutto “disarmare le parole”, un’altra esortazione felice di papa Francesco, e poi coltivare la logica della cura e dell’accoglienza: vuol dire sentire che l’altro ci è affidato, ci viene incontro. Penso a quello che ci hanno raccontano le donne africane, nel mezzo di società patriarcali, di conflitti tribali apparentemente irrisolvibili. Oppure le madri arabe e israeliane dei Parent circles. Le donne hanno un potere, più forte se esercitato insieme: non rinunciamoci. Insieme, con i nostri “cuori che vedono”, possiamo fare la differenza nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nei nostri quartieri, nelle nostre città…

 

Un’ultima domanda: spesso vediamo donne che usano codici maschili pensando che questo sia il modo per affermarsi. Come possiamo formare le nostre giovani correttamente, far loro capire che i codici femminili non sono sinonimo di fragilità, ma anzi possono portare la diversità necessaria all'inclusività.

Non sono una sociologa, quindi posso offrire una risposta basata sulla mia esperienza professionale. Penso che le qualità che una donna può portare nel mondo del lavoro siano fondamentali, a patto che rimanga se stessa. Se l’aggressività e l’autoritarismo sembrano essere qualità vincenti, adeguarsi a questi codici non sempre è la scelta giusta. Meglio puntare sull’autorevolezza e sul lavoro di squadra. Il mondo del lavoro è cambiato e queste qualità sono sempre più apprezzate, così come l’ascolto e l’inclusività. Certo, talvolta le donne hanno qualche difficoltà a essere ascoltate perché spesso in contesti dirigenziali sono in minoranza. La mia esperienza è che per farsi largo le armi migliori sono le proprie competenze e le proprie idee, non l’imitazione di modelli altrui. Penso che man mano che le donne saliranno nelle gerarchie, sarà più facile che si consolidi un modello inclusivo di leadership. Anche le donne leader devono dare fiducia ad altre donne, facendo da “ascensore” per altre e scardinando un certo modello maschile “da spogliatoio”, dove si premiano gli amici e gli amici degli amici.

 


 

 

Vi aspettiamo il 16 e 17 maggio a Venezia!
Iscrizioni qui: https://inspiringpr25.eventbrite.it

 

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