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La Cross Generation conquista il Marketing

27/01/2009

Qual è la relazione tra il marketing e le comunità migranti? Lo spiegano Enzo Mario Napolitano e Luca Massimiliano Visconti, autori del volume “Cross generation marketing” appena pubblicato dalla casa editrice Egea.

di Enzo Mario Napolitano e Luca Massimiliano Visconti *


Un libro che rappresenta una tappa del percorso avviato nel 2006, quando abbiamo iniziato a pensare e scrivere insieme sulla relazione tra il marketing e le comunità migranti. È stato occupandoci in senso allargato della relazione tra marketing, consumi e migrazioni che abbiamo cominciato a prendere coscienza di una lunga serie di trasformazioni in corso. Tra queste, la crescente presenza di giovani detti, in senso estensivo, di “seconda generazione”.
Ragazzi e ragazze a volte nati in Italia da uno o entrambi i genitori stranieri, a volte arrivati soli in Italia (i minori non accompagnati), a volte infine giunti al seguito dei genitori o a essi ricongiunti. Una popolazione “nuova” per l’Italia, che è comunque contesto piuttosto unico anche sotto il profilo delle migrazioni tout court. Una fascia vitale, critica, attiva su cui si giocano molte delle sfide che definiranno la società che ha da venire.


Sotto il profilo numerico, si tratta già di 767.060 giovani, di cui 461.205 nati in Italia (Caritas 2008). Solo nel 2007 si contano circa 63.000 nuove nascite di seconde generazioni, dato equivalente all’11% delle nascite complessive. Una presenza significativa, soprattutto per il mondo della scuola, dove gli inserimenti scolastici sono stati nell’anno 2008-2009 pari a 640.000. Soprattutto, un fenomeno di trasformazione della società italiana con trend particolarmente dinamico, se si considera che le presenze aumentano a un tasso del 18-20% annuo.


Dalla curiosità di approfondire e di imparare direttamente da questi giovani la ricostruzione del loro mondo, mediato dalla relazione con i consumi, ha preso avvio nel 2007 il progetto di ricerca “G2Marketing”, che ci ha confermati nella scelta di guardare oltre l’emergenza e visionare il futuro della società italiana e del marketing. Un percorso solo agli inizi, che comincia dalla sfida di trovare una definizione calzante su questo spaccato di realtà, sufficientemente precisa da non scadere nelle generalizzazioni ma abbastanza ampia da accoglierne la forte varietà.
Nel febbraio 2008 abbiamo deciso di abbandonare una categoria che percepivamo come superata e caricata di eccessive aspettative politiche – la G2 – e inventare, con consapevole sventatezza, il termine cross generation che ci pare in grado – meglio di altri – di ricomprendere, pur con inevitabili forzature, giovani migranti, migrati, nomadi, adottati e figli di famiglie miste. Ragazzi e ragazze per molti aspetti simili e diversi, come sono i loro coetanei italiani.


In questi mesi abbiamo avuto la fortuna di entrare in contatto con un mondo ricco di bellezza, energia, orgoglio ma anche rabbia, trovando conferma alla nostra iniziale ipotesi: i giovani di origine migrante e nomade possono diventare il ponte tra le culture, tra le nazioni, tra le generazioni. Tra la società italiana attuale e quella del futuro.


Perché incrociare le traiettorie della cross generation con quelle disciplinari del marketing? Non ci muove tanto il desiderio di stanare l’ultimo, luccicante target da proporre alle imprese come la nicchia da conquistare, la miniera da scavare in cerca di non meglio precisati (e forse sin troppo intuibili) tesori. Siamo convinti che la cross generation avrà un ruolo sempre più centrale nel mercato del futuro. Anche per la contaminazione che attiverà nei modelli di consumo dei loro coetanei italiani “senza trattino”.


Si tratta di ragazzi e ragazze (futuri uomini e donne), che non si limiteranno a ricevere dal mercato quello “che viene”, ma che interpelleranno il mercato, lo useranno, se ne faranno parte attiva. Già ora sono soggetti protagonisti e liberi di (ri)orientare le proprie scelte di consumo verso offerte monoculturali, meticcie, fusion, etniche, identitarie o interculturali. Nella piena libertà di ridefinire le priorità identitarie (e forse anche le appartenenze) in relazione al momento e alla situazione che si trovano a vivere. Senza trovarsi prigionieri d’eredità culturali, di scelte irreversibili o di categorie di marketing comode solo per marketer e comunicatori incapaci di mettersi in gioco.


I giovani migranti, ben prima di quanto siamo in grado di immaginare, si affrancheranno dal fascino della marca assimilante o approssimante e diventeranno creatori di tendenze, riti, media, marketing e linguaggi. Diventeranno i protagonisti della società liquida teorizzata da Zygmunt Barman e del societing. Saranno loro a scegliere in quale città vivere operando scelte globali sulla base di criteri personali e mutevoli. A breve, non sarà più sufficiente pensare e attivare l’accoglienza. Le città italiane dovranno attrarre i nuovi italiani facendo leva sui plus individuati dall’economista Richard Florida opportunità, servizi di base, leadership, valori, estetica e qualità di vita.


Del resto, i segnali ci sono già tutti. Iniziative come le reti “secondegenerazioni.it” e Associna, i mensili come Yalla Italia, artisti di cross generation come il rapper Amir, o esperienze di web-tv come CrossingTV sono già espressioni di questa volontà di giocarsi in prima persona, di essere nel mercato protagonisti e non solo spettatori.


Comprendere meglio chi sono i giovani della generazione ponte, capire come usano il consumo in termini sia espressivi sia costitutivi dell’identità, apprezzare le relazioni di scambio che fanno cortocircuitare schemi mentali e materiali consolidati sono alla base del mercato prossimo venturo.


Il cross generation marketing deve essere ancora inventato ma rischia di diventare l’ennesima e inutile panacea sino a quando non sarà in grado di coinvolgere concretamente i giovani migra(n)ti come attori protagonisti (ricercatori ma anche professionisti del design, del marketing e del societing, della comunicazione e delle relazioni pubbliche), smettendo di considerarli esclusivamente come target passivo o comparse in grado di colorare location, comunicazioni e team aziendali, convegni e media.
La scommessa non consiste nell’inventare l’ennesima etichetta di marketing o nello scoprire la formula magica per conquistare i consumatori stranieri, per accogliere i migranti, per servire i nuovi italiani o per districarsi con stile nel groviglio di lingue, etnie, religioni, comunità, generazioni, tribù, network.


La scommessa consiste nel giocare, e divertirsi, a costruire creativamente una parte del futuro del marketing. A noi piace immaginarlo multiculturale e interculturale, contaminato e contaminante, virtuale e materiale, profittevole e politico, tradizionalista e visionario, moderato e rivoluzionario, serio e scanzonato.




Enzo Mario Napolitano – Presidente di Etnica, il network per l’economia interculturale
Luca M. Visconti – Direttore del Master in Marketing e Comunicazione dell’Università Bocconi
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