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La fine delle corporazioni parte dall'Europa

04/02/2004

Dal CorrierEconomia di lunedì 2 febbraio, un articolo di Walter Passerini

La prossima settimana, l'11 febbraio, il Parlamento di Strasburgo approverà la direttiva europea sulle professioni. Sarà un giro di boa decisivo per la libera circolazione dei professionisti, per il riconoscimento dei titoli e per la liberalizzazione di un mercato che è ancora oggi largamente dominato dalle corporazioni. Così, mentre in Italia il dibattito sulla riforma degli ordini e sul riconoscimento delle professioni emergenti langue e procede stancamente nel pantano delle «verifiche» e delle discussioni in commissione, in Europa, in attesa del rapporto del commissario alla concorrenza, Mario Monti, previsto per le prime settimane del 2004, è il Parlamento europeo ad assumere il ruolo di protagonista e a imprimere un'accelerazione alla caduta delle barriere. La nuova direttiva europea, che sarà molto probabilmente approvata con una larghissima maggioranza, pur nella sua prudenza formale (è frutto di una lunga mediazione tra socialisti, liberali e popolari, tra i quali vi è il relatore italiano Stefano Zappalà), affronta i nodi cruciali della questione. Innanzitutto, il cuore della direttiva verte sul riconoscimento della «libertà di stabilimento», cioè la possibilità per i professionisti di diversa nazionalità di circolare e di impiantare, a fronte di determinati requisiti, un loro studio in un qualunque Paese europeo, ciò che determinerebbe una sana competizione che, pur salvaguardando i diritti dei cittadini-clienti-utenti, porterebbe una boccata di aria nuova nella qualità dei servizi. Poi, il riconoscimento del concetto di «professioni intellettuali» («knowledge workers»), così tipici e fondamentali nella «società della conoscenza»; e, infine, la libera prestazione dei servizi e il riconoscimento di qualifiche e titoli professionali, alla luce di una griglia di cinque livelli di formazione da acquisire, che diventerebbero determinanti per poter esercitare la propria attività. Senza forzare il riconoscimento, l'Europa sta adottando finalmente una strategia di primo ma sostanziale snellimento delle procedure per ottenere l'autorizzazione allo svolgimento della libera attività, pur con alcune salvaguardie. Tra le quali, per esempio, l'esclusione dalla direttiva delle professioni che hanno già proprie regolamentazioni di settore (tra cui ci sono per esempio gli avvocati, ma non gli ingegneri, che hanno chiesto una direttiva di settore) e il rinvio agli ordini dell'applicazione dei criteri attuativi della direttiva, che potrebbe nei fatti permettere e mantenere un'ampia tutela per le corporazioni. In ogni caso, pur nelle lungaggini di una materia ad alta intensità di «rischio perdita di consenso» per gli interessi che rappresenta e nella prudenza formale dell'Europarlamento, il giro di boa è arrivato. E potrà determinare uno scossone benefico per lo stesso dibattito italiano. Nei prossimi giorni nel nostro Paese riprende infatti in Senato, presso la commissione Giustizia, la discussione sul progetto unificato di riconoscimento delle professioni emergenti, mentre il sottosegretario alla Giustizia, Michele Vietti, ha richiesto, di nuovo, con tenacia, anche se probabilmente inutilmente, che il tema del riordino delle professioni e del riconoscimento delle attività emergenti faccia parte della «verifica» di governo tuttora in corso. Dall'altro lato, va registrato l'attivismo in particolare del sottosegretario al Miur, Maria Grazia Siliquini (An), sull'accesso alle professioni, che sta creando, secondo il responsabile delle professioni della Margherita-l'Ulivo, Pierluigi Mantini, «un ritorno al passato, che irrigidisce di nuovo per via universitaria gli ingressi nel mondo dei professionisti». E quello del ministro per gli Affari regionali, Enrico La Loggia, con il suo decreto sul rapporto tra Stato e Regioni in materia di professioni. Nel frattempo 6 milioni di nuovi e «vecchi» professionisti con i loro dipendenti continuano a operare in un «non mercato».
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