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La pigrizia di un sistema

01/08/2010

I rapporti tra aziende e lavoratori stanno cambiando e il caso Fiat e Marchionne lo dimostrano. Ma la strada è lunga e c'è bisogno di un modello chiaro. L'opinione di _Dario Di Vico._

di Dario Di Vico
La tambureggiante iniziativa di Sergio Marchionne, dopo aver affrontato i temi della contrattazione sindacale e della localizzazione degli impianti, è giunta al nodo della rappresentanza. L’ipotesi di disdettare o, come sembra, di derogare al contratto è destinata ad esercitare un impatto dirompente sul sistema delle relazioni industriali e sulla stessa «costituzione economica» italiana, incardinata ancora sul binomio grande impresa-grande sindacato. È evidente che quel format non tiene più, non fotografa un Paese che ha acquistato una maggiore articolazione delle competenze e del lavoro in virtù della presenza di quattro milioni e mezzo di imprese, otto milioni di partite Iva e due milioni di professionisti.
Ora però la contestazione di quel format viene anche dall’interno, è la Fiat a picconarlo, forse definitivamente. Bisognava in qualche maniera presagirlo perché la figura e il curriculum di Marchionne segnavano una evidente discontinuità con i suoi predecessori e con la grande cultura industriale torinese del secolo scorso. In linea di principio rimescolare le carte, porsi domande nuove, non può che far del bene a un sistema di regole e di valori divenuto anacronistico. Pensiamo ai bizantinismi di quei congressi sindacali che durano mesi e alla fine si concludono con l’approvazione di pasticciate e deludenti mozioni.
Pensiamo anche a certi convegni confindustriali privi di indicazioni forti e retrocessi loro malgrado a test del gradimento del politico di turno. Molti di questi riti, di queste ipocrisie – e l’ elenco potrebbe essere lungo – hanno fatto il loro tempo ma limitarsi a sostenere che oportet ut Marchionne eveniant, che è bene che le contraddizioni esplodano, non può bastare. Per quello che i posti di lavoro nell’auto e nell’indotto rappresentano per un’Italia affamata di occupazione c’è bisogno anche di delineare una pars construens. I modernizzatori che vogliono lasciare il segno abbattono il vecchio ma contribuiscono ad edificare il nuovo. E francamente l’idea di una società totalmente liquida, in cui i decisori scelgono di volta in volta sulle convenienze del momento, non costituisce la ricetta vincente.
In fondo non deve pensarlo neanche Marchionne, se ha imbarcato nell’operazione di rilancio di Detroit il sindacato Uaw direttamente come azionista. I soggetti della rappresentanza dunque contano e, se vogliono, possono spostare anche le montagne. Se poi dalle vicende dell’auto ci spostiamo a considerare più in generale l’evoluzione della competizione globale non è pensabile che alla sfida cinese – basata su un mix formidabile fatto di capitalismo illiberale, strenua difesa degli interessi nazionali, assenza di vincoli e diritti – si possa rispondere con società atomizzate, totalmente prive di un’idea sistemica. Sarebbe un suicidio. È quindi più che legittimo chiedersi cosa c’è dietro la curva, cosa si deve attendere non solo il mondo delle tute blu ma anche l’intera industria della componentistica che – non va dimenticato – in Italia vale 3-4 volte il fatturato del solo settore automobilistico.
Fortunatamente nella società italiana, complice la Grande Crisi, accanto alle pigrizie vanno registrate anche segnali di novità. La recessione ha mostrato come stia crescendo, principalmente nelle Pmi e nel Nord Est, una complicità tra aziende e lavoratori che già si è dimostrata una risorsa importante e sulla quale si può investire. Sperando che un giorno alla testa della Cgil arrivi un Lama delle piccole imprese.
Conosco già l’obiezione. Il capo della Fiat un modello in verità lo sta indicando e l’obiettivo dell’operazione è creare in Italia un sindacato all’americana. Purtroppo però se per gli esseri umani i trapianti si sono dimostrati una straordinaria occasione di allungamento della vita, la stessa cosa non avviene per le società. L’innesto di una tradizione totalmente diversa assai difficilmente riesce a produrre risultati positivi, molto più spesso genera l’ indistinto. Se proprio vogliamo cercare dei modelli, dei punti di riferimento, è evidente che dobbiamo guardare alla tradizione sindacale tedesca e a quel tipo di «complicità organizzata». Agli occhi di un manager globale, legato a un timing stringente di decisioni, queste potranno apparire digressioni ma le forze che più si sono battute per modernizzare, a cominciare da Cisl e Uil, hanno bisogno di capire. Alla peggio si può imparare a vivere senza la Fiat, ma non si può vivere senza sapere in quale direzione spingere.
Tratto dal Corriere della Sera
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