L’amico in un click
15/06/2010
I social network stanno cambiando il modo di intendere le relazioni umane. Il concetto di amicizia, per esempio, non indica più una condizione effettiva ma futura, fa riferimento a potenzialità ancora da esplorare. _Alessio Jacona_ ne ha parlato con il noto sociologo _Derrick de Kerckhove_.
di Alessio Jacona
«Oggi parole importanti come “amicizia” e “amico” non indicano lo status effettivo di una relazione, ma le sue potenzialità ancora tutte da esplorare», un futuro possibile che non si è ancora verificato. Derrick de Kerckhove, direttore del McLuhan Program in Culture and Technology, docente e sociologo di fama internazionale, sorride divertito mentre spiega come l’avvento dei social network, e in particolare di Facebook, stia modificando radicalmente il nostro modo di intendere i rapporti sociali, così come il significato che diamo alle parole usate per descriverli.
«Certo – chiarisce – l’avvento di Internet e dei network sociali ha indubbiamente il merito di aver portato una certa effervescenza nei rapporti interpersonali, aiutando a socializzare persone che altrimenti sarebbero restate chiuse in casa, consentendo ad altre di trovare l’anima gemella e creare legami nuovi». Ciò non toglie che, proprio a causa di Facebook, l’idea stessa di amicizia stia cambiando nel nostro sentire: in passato, almeno nel suo significato più nobile, il termine identificava una relazione stabile, basata sulla fiducia costruita in anni di consuetudine. Oggi è quasi una promessa: quando un utente di Facebook ci chiede di aggiungerlo agli amici, spesso è solo l’inizio di un rapporto umano tutto ancora da costruire.
Cambia il modo di vivere e intendere le relazioni. Cambia la maniera in cui vengono create e fruite le informazioni. Siamo ormai immersi nel cosiddetto real-time web, ovvero un luogo dove i contenuti sono come un fiume che scorre sempre più veloce e che appare sempre meno profondo. Difficile dire se sia un bene o un male: quando chiediamo a de Kerckhove se non si rischi un impoverimento dell’esperienza umana, egli risponde focalizzando sugli aspetti positivi di un «fenomeno in continua evoluzione e comunque inarrestabile».
E lo fa identificando in Twitter e nella sua capacità di far circolare le informazioni, l’espressione forse più brillante della nuova rete: «Grazie alla velocità con cui fa circolare piccoli pezzi di informazione – spiega – il sito di micro-blogging consente la creazione di relazioni “sinaptiche” tra le persone, dove ognuno di noi è il nodo di un grande ipertesto. La possibilità di comunicare in tempo reale – spiega – determina una diffusione del messaggio che è al contempo “omeopatica” e “ipertinente”: omeopatica perché il messaggio più piccolo (appena 140 caratteri) può avere un impatto su scala globale. Ipertinente perché, grazie alla natura stessa della rete come la conosciamo oggi, il messaggio nella bottiglia gettata nell’oceano è letto da tutti e trova sempre il suo vero destinatario».
Parlando con Derrick de Kerckhove ci si rende rapidamente conto di come, più dell’evoluzione delle tecnologie e degli strumenti, a contare sia il cambiamento che nell’essere umano determina la loro adozione: l’uomo moderno, digitale e iperconnesso, è diverso da quello “analogico” perché ha la possibilità di «manifestare la propria umanità senza limiti spazio-temporali grazie a strumenti come Skype e, più di recente, Chatroulette, in cui si riproduce perfettamente la casualità degli incontri che si fanno nella vita reale». È cambiato perché grazie a Internet, pc e device mobili «ha accesso ovunque a fonti di ogni parte del mondo» ed è diventato un produttore di contenuti potenzialmente fruibili da tutti.
E ancora, perché è diventato un “cliente” molto diverso da quello con cui le aziende erano ormai abituate a interagire: «Il cliente è sempre più co-creatore del servizio o del prodotto – conferma de Kerckhove –. Partecipa alla sua definizione insieme con chi lo produce e, come insegna il caso della Fiat 500, fa dell’iper-personalizzazione una delle caratteristiche principali del rapporto con il produttore». Soprattutto, «ha una voce potente come mai prima d’ora per esprimere la propria insoddisfazione e farsi ascoltare dal mondo», in barba al desiderio di ogni azienda di controllare e gestire la circolazione dei messaggi che la riguardano.
Sul versante opposto, questo uomo nuovo descritto dal sociologo canadese entra in azienda portando in dote l’attitudine alla condivisione della conoscenza che ha sviluppato vivendo nella «parte abitata della rete». Grazie a essa, diventa promotore e attore dell’apertura e della libera circolazione delle informazioni come valori chiave nello sviluppo del business. Diventa, insomma, «un information broker, ovvero colui che non protegge le proprie conoscenze, ma anzi si presta naturalmente allo scambio delle informazioni che servono a tutti». Un «essere sinaptico, capace di creare connessioni, che in futuro assumerà un ruolo sempre più importante nella comunicazione corporate, interna ed esterna, integrandola con una pluralità di voci che parleranno liberamente a nome e per conto dell’azienda». Certo, ci vorrà del tempo prima che un simile cambiamento attecchisca e germogli anche da noi, ma de Kerckhove si dice certo che openness e condivisione siano il futuro del business. E perché ciò sia possibile, è importante e assolutamente desiderabile che l’attitudine, l’orientamento fisico, mentale, psicologico dentro l’impresa si orientino decisamente verso l’apertura e la trasparenza.
Tratto da Nova24