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Le nuove sfide della comunicazione d'impresa

09/08/2005

Una pacata riflessione estiva di Toni Muzi Falconi.

1.Cento anni di comunicazione delle organizzazioni ai rispettivi pubblici influenti -secondo il modello etnocentrico della comunicazione di marketing, della pubblicità e delle relazioni pubbliche avviato intorno agli anni 20 del secolo scorso negli Stati Uniti da Edward Bernays e Walter Lippman integrando le nascenti discipline della sociologia e della psicologia - hanno enormemente stimolato le economie, la crescita culturale e sociale delle nostre società occidentali e hanno largamente orientato i modelli di crescita e di consumi nel resto del mondo.2.L'accelerazione dei processi di globalizzazione degli ultimi venti anni, proprio perché spinti dalla comunicazione istantanea, ha consentito l'emersione delle tante diversità di cui è composto il pianeta assai più di quanto non abbia contribuito a consolidare standard globali nella comunicazione delle organizzazioni (pubbliche, sociali, private).3.Il tradizionale modello di origine statunitense, basato prevalemente su una comunicazione unilaterale, erga omnes, persuasiva e asimmetrica, da quando i corpi di conoscenza, i metodi, gli strumenti e le tecnologie consentono una quasi puntuale identificazione degli interlocutori insieme alla relativa semplicità ed economicità di avvio di sistemi di relazione e di comunicazione (anche virtuali) uno-con-uno, uno-con-pochi e perfino uno-con-molti è entrato in una profonda fase di ripensamento.E' sufficiente confrontare il clamoroso insuccesso delle politiche di comunicazione-a dell'amministrazione americana in Irak con l'altrettanto clamoroso successo della politica di comunicazione-con le minoranze religiose americane sviluppata dalla stessa amministrazione (Karl Rove) che ha consentito a Bush di vincere le elezioni.E, al livello di organizzazioni private, è sufficiente confrontare la caduta di fiducia dei consumatori e dei media verso le attività comunicative di molte grandi imprese con le 'lune di miele' che gli stessi consumatori sembrano concedere a quelle altre grandi imprese che esplicitamente sviluppano relazioni e comunicano i loro comportamenti con gli stakeholder: da Unicredit, che senza ostacoli insormontabili acquisisce una grande banca tedesca; a Granarolo che, espressa da molti mesi la volontà di assorbire quel che resta di Parmalat, trova sì ostacoli ma non ostilità né dalle associazioni dei consumatori né dalle autorità. Anche la Fiat, in una fase così delicata, ha ritenuto necessario diffondere per la prima volta la sua rendicontazione triple bottom line senza incontrare grandi ostacoli: sono tutti esempi che indicano che la comunicazione-con, se realizzata con consapevolezza, è assai più efficace della comunicazione-a, perlomeno per consolidare la legittimità di quella 'licenza ad operare' di cui ogni organizzazione necessita per perseguire i suoi obiettivi. Non c'è bisogno di citare esempi di comportamenti contrari recenti: si pensi solo alla opacità delle vicende del risiko bancario di queste ultime settimane e dei comportamenti di alcuni suoi protagonisti, alcuni dei quali hanno abbondato in comunicazione-a, per avere una cartina di tornasole di quanto abbiamo affermato.4.In realtà, la comunicazione-con è sempre stata più efficace di quella a, ma fino a qualche anno fa non esistevano né le conoscenze e neppure gli strumenti per poterla attuare al di là della tradizionale comunicazione interpersonale. Oggi invece non è più così e la nostra comunità professionale dei comunicatori si trova alle prese con una nuova grande sfida: quella della comunicazione post moderna, come è stata definita da alcuni studiosi sud africani a Trieste qualche settimana fa. Se ciascuno è 'diverso' dall'altro, le organizzazioni devono attrezzarsi per sviluppare programmi di comunicazione-con adeguati, ora che è possibile.5.A Trieste, oltre 60 relatori hanno contribuito a produrre una straordinaria e coerente melting pot di teorie, di processi, metodi e strumenti che vanno oggi a costituire un nuovo modello globale della comunicazione delle organizzazioni che, integrando la scuola americana (già descritta e sempre importante, se non altro perché ancora dominante); con quella europea (con enfasi sulla crescita del valore della relazione e della quantità di sfera pubblica); con quella asiatica (che sottolinea il ruolo determinante dei governi sulla vita delle organizzazioni, recuperando anche la retorica e la dialettica delle culture asiatiche); e con quella africana (concentrata sull'imperativo per le organizzazioni private, pubbliche e sociali del continente di stimolare coesione sociale acquisendo un minimo di legittimazione che tenga anche conto di quel paradigma del prendersi cura degli altri componenti delle singole comunità così poco comprensibile dalla cultura privatistica occidentale), trova le sue fondamenta in almeno tre paradigmi condivisi:°per una organizzazione la comunicazione più efficace con gli stakeholder (in termini di costi/benefici) è quella bilaterale e tendenzialmente simmetrica che precede la decisione dei suoi obiettivi operativi. Non per buonismo o consociativismo, ma perchè abbrevia i tempi di attuazione e migliora la qualità della decisione;°per una organizzazione la comunicazione più efficace (sempre in termini di costi/benefici) è quella che sviluppa valore e ricchezza organizzativa grazie al miglioramento delle relazioni con i pubblici influenti e quindi tiene conto delle tante diversità esistenti partendo dal presupposto che ogni soggetto è diverso dall'altro;°la comunicazione delle organizzazioni è una funzione manageriale e lo stato di avanzamento della teoria e delle ricerche non offre più alibi. Tutti i programmi di comunicazione sono misurabili, valutabili e rendicontabili alla pari di qualsiasi altra funzione, grazie ad una ampia pluralità di metodi e strumenti a disposizione;°se è vero che la responsabilità sociale è un imperativo per le organizzazioni di successo (pubbliche, sociali e private), è altrettanto vero che la funzione di comunicazione di queste organizzazioni, prima ancora di aspirare a dirigere gli stessi programmi di responsabilità sociale, deve di per sé essere socialmente responsabile. Nessun comportamento comunicativo di una organizzazione, né di rendicontazione e meno che mai di intenzioni, può sfuggire a questa regola.6.La strada è ancora lunga, ma la parte più consapevole delle comunità professionale italiana, almeno quella che era a Trieste, ha oggi utili strumenti e conoscenze per percorrerla con efficacia.Toni Muzi Falconi
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