Ferpi > News > Le start up hanno un deficit di comunicazione

Le start up hanno un deficit di comunicazione

10/10/2012

Il nuovo slancio verso le startup, per la prima volta al centro dell'agenda politica, raccoglie consensi anche dal mondo economico e finanziario. Lo sviluppo di una nuova impresa, mai come oggi, ha nella comunicazione e nelle Rp un elemento strategico fondamentale. E chiama i professionisti a nuove sfide. L'analisi di _Giovanni Iozzia,_ tra i più autorevoli giornalisti economici italiani.

Molte start up non riescono a decollare o affermarsi per un deficit costituzionale di comunicazione. Fare start up è molto di più che “mettersi in proprio”, significa passare, attraverso un lavoro di gruppo, da un’idea a un progetto concreto che possa diventare un’impresa redditizia. E’ un fatto economico ma anche culturale, soprattutto in un Paese come il nostro ricco di decine di migliaia di piccole imprese. La comunicazione ed in particolare la capacità di sviluppare relazioni pubbliche efficaci diviene un elemento strategico fondamentale per una nuova impresa. 
di Giovanni Iozzia
Le start up sono entrare nell’ordinamento giuridico italiano. Con il Decreto Sviluppo bis del 5 ottobre per la prima volta viene definito l’identikit dell’impresa innovativa, i suoi limiti economici, i vantaggi fiscali, persino una speciale disciplina del lavoro.
Bisognerà attendere il passaggio parlamentare, nei prossimi due mesi, per capire che cosa dei buoni propositi del governo diventerà legge. Comunque vadano le cose, siamo di fronte a una svolta per tutto l’ecosistema dell’innovazione e non solo, visto che in diverse occasioni lo stesso Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, ha ricordato che le start up possono essere uno degli strumenti fondamentali per la fase della crescita che dovrà seguire quella del rigore.
Siamo ai primi passi della trasformazione dell’Italia in un Paese ospitale per le start up. E nel cammino non potranno mancare i professionisti della comunicazione, per apportare le loro competenze ma anche per “prendere” dalle start up idee, modelli di business e di gestione, strumenti operativi, capacità creativa. In una sola parola: innovazione. Sono convinto che le start up abbiano bisogno di comunicazione e che il mondo della comunicazione non possa fare a meno delle start up. E cercherò di spiegare perché.
Cinque concetti indispensabili:
1) Fare start up è molto di più che “mettersi in proprio”
Significa passare, attraverso un lavoro di gruppo, da un’idea a un progetto concreto che possa diventare un’impresa redditizia. E’ un fatto economico ma anche culturale, soprattutto in un Paese come il nostro ricco di decine di migliaia di piccole imprese. Non a caso nel rapporto della task force insediata presso il ministero dello Sviluppo economico (Restart) ampio spazio è stato dedicato al ruolo dei centri di formazione pubblici (scuola e Rai in testa). Il Decreto non sviluppa questa parte, ma ciò non annulla la questione.
2) Le start up coinvolgono prevalentemente giovani, creano nuova occupazione (e a confermarlo ci sono i report della Kaufmann Foundation), mobilitano risorse finanziarie spesso inespresse (e il crowfunding, previsto dal decreto, è in questo senso lo strumento principe), valorizzano talenti. Sono una palestra di sviluppo imprenditoriale. E una fucina di cervelli e competenze a cui guardare con interesse.
3) Le start up stanno già attirando l’attenzione di enti pubblici locali, università, compagnie telefoniche assicurative, banche. Diventano quindi occasione di incontro, confronto e partnership con stakeholder importanti del mercato della comunicazione.
4) La start up digitale, con un business fondato sul web, deve essere potenzialmente un’impresa globale. Scalabile, come si dice in gergo, quindi pronta a crescere oltre i confini nazionali e capace di affrontare e confrontarsi con mercati diversi. Anche in termini di comunicazione.
5) La mitologia delle start up è tutta americana. Il primo fra gli dei resta Steve Jobs, il profeta di Apple che voleva cambiare il mondo. Il business riesce meglio se c’è una forte motivazione, un’ambizione che va oltre la semplice ricerca della ricchezza. La tecnologia, e in particolare il web, ha rilanciato il mito americano del self-made-man. E le start up il ruolo egemone degli Stati Uniti (vedi Google, Facebook, Amazon, e via digitando).
Tre ipotesi di lavoro
Comunicazione istituzionale. Le start up hanno costituzionalmente un deficit di comunicazione. «Fatevi conoscere, parlate di voi», è stato l’invito rivolto dal ministro Passera dal palco del primo StartUp Day la scorsa primavera. Quando si crea una nuova impresa, e con risorse limitate, comunicare non è tra le priorità, ma con un nuovo quadro legislativo in via di definizione e nuove esigenze di accreditamento istituzionale, diventerà sempre di più una necessità. Due le criticità: l’esigua disponibilità di budget e lo stato embrionale del “prodotto” da comunicare. Servono quindi idee di aggregazione e format diversi da quelli utilizzati per le imprese consolidate.
Comunicazione corporate. Ogni start up è una straordinaria storia di incontri, esperienze, opportunità. Ha tutti gli ingredienti per un’efficace narrazione (storytelling) con una forte dimensione umana. Obiettivo: costruzione di una mitologia nazionale in grado di proporre modelli di riferimento che funzionino da stimolo e indirizzo per nuovi imprenditori.
Comunicazione di prodotto. Ogni start up contiene una notizia. Che di solito si annida nella tecnologia utilizzata, nell’idea di servizio, nelle modalità di distribuzione. Chi la possiede di solito la vede solo in un’ottica di business e non ne sviluppa le potenzialità di comunicazione.
Le start up sono di moda e rischiano di restare solo una moda. Per evitare questa deriva vanno iscritte nella più generale evoluzione del nostro Paese verso l’economia digitale. C’è molto da fare. Tim Berners Lee, il più noto fra i padri di Internet, si è inventato l’Internet Index per misurare ogni anno l’impatto economico, sociale, culturale e politico della Rete in ogni Paese del mondo: nel 2012 al primo posto c’è la Svezia. L’Italia è l’ultimo dei Paesi occidentali, con un paradosso: abbiamo un alto numero di connessioni alla Rete, soprattutto mobili grazie alla grande diffusione di telefoni cellulari, ma l’impatto nella vita di tutti i giorni è ancora molto basso. Ecco, le start up possono diventare non solo un volano della crescita, ma anche una finestra verso il nuovo mondo possibile. Aiutarle e sostenerle, quindi, significa far crescere parallelamente il mercato generale dei servizi digitali. E l’attenzione delle imprese tradizionali. Le più avvertite hanno già aperto gli occhi. Qualcuna anche la borsa. Per cogliere l’opportunità di comunicare anche così la loro voglia (e ricerca) di innovazione.
Eventi