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L’incontro fra Csr e territorio

09/10/2008

La Responsabilità Sociale nella sua dimensione territoriale (RST) è una innovativa modalità di vivere e progettare il territorio in un’ottica di sviluppo sostenibile. Un interessante saggio del Vice Presidente FERPI, Giampietro Vecchiato.

Nelle imprese e nelle organizzazioni la comunicazione e la gestione delle dinamiche relazionali tendono sempre di più a diventare elementi che caratterizzano l’impresa nella sua interezza. La crescente rilevanza di tali fattori nella governance aziendale è ascrivibile ad alcune linee di tendenza che stanno modificando le imprese stesse ed il modo con il quale esse si pongono in relazione con l’ambiente esterno.


Tali tendenze riguardano sia trasformazioni interne, inerenti l’assetto strutturale e organizzativo (vedi l’emergere di strutture sempre meno gerarchizzate, una sempre più frequente delocalizzazione ed esternalizzazione delle attività e il progressivo imporsi di strutture policentriche), sia cambiamenti a livello esterno, quali la globalizzazione dei mercati, lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, l’avvento di una domanda sempre più esigente e informata che attribuisce all’impresa non solo compiti economici ma crescenti responsabilità etiche e di natura sociale.


Le conseguenze di tali processi si sintetizzano nella visione di una dimensione aziendale sempre più aperta e interdipendente con il contesto di riferimento, tanto da rendere confusi e incerti i confini che separano ambiente e impresa. Quest’ultima assume sempre più i contorni di un sistema sociale dinamico, fortemente contestualizzato, ossia immerso in altri sovrasistemi presenti nell’ambiente di riferimento, con i quali è direttamente legata per ottenere le risorse necessarie alla sua sopravvivenza e per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Tali risorse sono rappresentate in primis dai fattori produttivi (come le materie prime, il lavoro, i servizi, il capitale finanziario, ecc.), ma anche da quel patrimonio di asset intangibili quali fiducia, credibilità e reputazione che costituiscono il presupposto fondamentale per garantire la continuità dello scambio fra l’impresa e l’ambiente.
Scambio che, palesandosi in flussi costanti di input- utput, consente all’organizzazione di rigenerarsi e rinnovare le proprie capacità, innescando processi continui di apprendimento e adattamento e che ne permettono la sopravvivenza e competitività nel tempo.


In tale contesto di forte interdipendenza appare chiaro come le possibilità imprenditoriali percorribili da un’impresa siano fortemente dipendenti non solo dai suoi elementi costitutivi e dalle motivazioni che spingono la proprietà ed il management all’azione economica, ma anche, e soprattutto, dalla capacità che essa ha di interagire con il suo ambiente, quest’ultimo concepibile come sintesi di soggetti che possono favorire o ostacolare la dinamica evolutiva aziendale, a seconda che le loro aspettative siano più o meno soddisfatte dall’operato dell’impresa.


In un’economia complessa, l’impresa trae quindi la propria capacità di innovazione e sviluppo non solo dalle proprie forze, ma anche dalle opportunità di cooperare e acquisire conoscenze e competenze specifiche dall’esterno; il processo di generazione del valore assume i contorni di un processo collettivo, frutto di una sinergia di intenti di una pluralità di soggetti il cui supporto è indispensabile al raggiungimento degli obiettivi aziendali.


La compartecipazione di tali soggetti alle finalità aziendali non può però essere data per scontata e dipende dalla percezione che i diversi attori hanno dell’azienda e dalla possibilità di ottenere un beneficio sicuro attraverso la collaborazione.


Per assicurarsi tale compartecipazione, è dunque necessario che l’azienda non solo sappia creare consenso e approvazione attorno a sé, ma sia anche in grado di tradurre il proprio vantaggio in valore per le diverse parti in gioco. Perché ciò avvenga, non può prescindere dal considerare e conoscere i valori e le aspettative dei soggetti con cui interagisce: solo la costruzione di una visione comune che concili i diversi interessi in gioco in un’ottica di vantaggio reciproco può infatti garantire lo scambio di consenso, informazioni e capacità necessario allo sviluppo del sistema-impresa.
Tale costruzione richiede un coordinamento superiore che può essere ottenuto solo attraverso maggiori flussi di comunicazione e un’adeguata gestione delle dinamiche relazionali.


Il ruolo strategico della comunicazione


La comunicazione riveste infatti un ruolo strategico per due ordini di motivi: prima nel contribuire ad affermare e sostenere il progetto imprenditoriale nel territorio in cui l’impresa opera, rendendo percepibili e apprezzabili le sue capacità e competenze distintive; e poi nel concorrere a sviluppare lo stesso progetto imprenditoriale, costituendo il canale privilegiato attraverso il quale può realizzarsi la condivisione di valori necessaria al manifestarsi di comportamenti cooperativi.


Lo sviluppo di legami sociali fondati sull’adesione al progetto imprenditoriale e sull’apprezzamento delle competenze distintive dell’impresa costituisce un presupposto imprescindibile per la sopravvivenza e la crescita dell’impresa nella misura in cui consente:


• di rafforzare significativamente l’identità collettiva e il grado di legittimazione nel territorio, aumentando la reputazione e la credibilità dell’organizzazione;
• di agevolare la circolazione di informazioni e la conoscenza tra gli attori;
• di accrescere lo stock di fiducia nei confronti dell’organizzazione, riducendo l’incertezza delle transazioni e favorendo l’emergere di significati condivisi.


L’insieme di legami sociali intrattenuti da un’organizzazione nei confronti di soggetti esterni può costituire dunque un vero e proprio capitale – il capitale relazionale – a disposizione dell’azienda, nella misura in cui il numero e la qualità di tali legami consentono di ottenere benefici esprimibili in atteggiamenti cooperativi e nel raggiungimento di obiettivi comuni altrimenti non raggiungibili.


L’entità di tale capitale dipende non solo dall’esistenza di relazioni ma anche da come queste vengono considerate e gestite dall’organizzazione; è necessario infatti che quest’ultima intenda i rapporti e le interazioni con i soggetti esterni non come semplici connessioni casuali o isolati momenti di scambio, ma alla stregua di consapevoli e ininterrotti processi comunicativi basati sull’orizzontalità e sull’interattività.


Fondamentale è il ricorso ad un approccio comunicativo simmetrico e bidirezionale basato sull’ascolto, in cui i rapporti di potere siano equilibrati e le diverse parti che partecipano all’interazione abbiano come obiettivo principale la comprensione reciproca. Se gestite in tal modo, le relazioni si qualificano quale strumento privilegiato attraverso cui le organizzazioni possono conoscere e incorporare nei propri obiettivi, gli interessi e i valori di tutti quei soggetti rilevanti che appartengono all’ambiente esterno.


Diviene in tal senso fondamentale per l’organizzazione saper investire nella gestione e nel coordinamento di un solido impianto relazionale, tramite l’attivazione di tecniche di dialogo che prevedano il confronto, la negoziazione e il reciproco riconoscimento nei confronti di tutti gli stakeholder, ossia di quei soggetti che hanno un interesse nell’attività dell’impresa, che manifestano attese nei suoi confronti e che influenzano o sono influenzati dalle decisioni prese.


Tali tecniche sono metodologie di engagement che a diversi livelli consentono di coinvolgere gli stakeholder nei processi decisionali dell’impresa. L’idea che le aziende si relazionino con una serie di interlocutori considerati soggetti chiave per il processi di generazione del valore aziendale trova il suo fondamento nella ‘Teoria degli stakeholder’, elaborata da Robert Edward Freeman negli anni ’80, la quale, contrapponendosi al tradizionale modello inputoutput, promuove una concezione dell’impresa come luogo di mediazione fra gli interessi talora contrastanti degli stakeholder e camera di compensazione in cui ciascuno raggiunge i propri fini: il vantaggio dell’organizzazione è ottenibile e raggiungibile solo attraverso il dialogo costruttivo e il soddisfacimento degli interessi dei suoi molteplii e differenti
interlocutori.


Secondo Freeman, “ognuno di questi gruppi di stakeholder ha il diritto di non essere trattato come un mezzo per qualche fine e, pertanto, deve partecipare alla determinazione della direzione futura dell’impresa in cui ha un interesse”. In tale ottica la teoria degli stakeholder postula che il management debba trattare tutti gli stakeholder come portatori di interessi egualmente importanti e ha un obbligo fiduciario nei loro confronti e non solo nei confronti dei portatori di capitali. Tale teoria porta dunque a prevedere una nuova visione del “fare impresa”, basata sul concetto di fiduciary relationship, rapporto fiduciario tra la proprietà, i manager e gli stakeholder dell’azienda: “il capitalismo funziona”, dice Freeman, “perché imprenditori e manager si uniscono e mantengono accordi o rapporti con consumatori, fornitori, dipendenti, finanziatori e comunità. Il sostegno di ogni gruppo è vitale per il successo dell’impresa”.


In un approccio stakeholder based, l’identità dell’azienda cessa di essere soggettuale e autoriferita per divenire un’identità relazionale, incorporando esigenze e interessi via via più vasti. Il management di conseguenza è chiamato ad assumere decisioni che tengano conto di tale molteplicità di motivazioni, attribuendo rilevanza, nei processi di decision making, a fattori che esulano dai normali indicatori economico-finanziari. Spostando l’attenzione da un unico interesse, quello del capitale, a un insieme di interessi diversificati e parzialmente divergenti, la performance assume dimensioni multiple, che devono essere equilibrate e integrate.
In altre parole, l’area di interesse sociale dell’impresa si amplia fino ad affiancare alla responsabilità economica una responsabilità di tipo etico (che richiede attenzione e ascolto verso gli interessi degli stakeholder) e sociale (che risponde all’attesa di un comportamento da buon corporate citizen, contribuendo alla qualità della vita dell’ambiente circostante).


Adottare un approccio stakeholder based implica dunque un progressivo allargamento della responsabilità fiduciaria dell’impresa dai soli azionisti alla collettività, stimolando una ridefinizione dello scopo e della natura stessa dell’impresa come istituzione sociale a finalità plurime.


Al centro delle relazioni


L’adozione di strategie aziendali che attribuiscano il giusto valore alla dimensione relazionale rappresenta in tal senso il primo passo verso la realizzazione di un tessuto produttivo maggiormente attento e consapevole nei confronti del sistema sociale in cui è inserito. La presa di coscienza circa l’importanza e il valore delle relazioni è infatti la premessa fondamentale per quel cambiamento di prospettiva che deve portare l’impresa ad abbandonare, a livello concettuale e pratico, una posizione autonoma e isolata rispetto al contesto, per giungere a concepirsi come un ‘nodo’ inserito in una rete di relazioni e che, come tale, sceglie di rendere primario il benessere della rete stessa, poiché è conscia che dallo stato e dalla qualità delle relazioni intrattenute con gli altri nodi dipende non solo il suo successo, ma anche la sua stessa sopravvivenza.


La competenza relazionale diviene quindi il presupposto fondamentale per dare vita al ridisegno delle funzioni che un’impresa può svolgere all’interno della società: funzioni che dal mero perseguimento del profitto si estendono ai doveri di un’impresa-cittadino che estrinseca le sue potenzialità e le mette al servizio del sistema di cui fa parte.
Il concetto di impresa-cittadino prevede che l’impresa non sia attenta solamente al rispetto delle leggi, ma partecipi attivamente alla vita della comunità in cui è inserita, contribuendo a farla crescere economicamente e culturalmente e operando per renderla più dinamica e coesa. L’acquisizione di un atteggiamento di impegno civico si concretizza in particolare nell’ascolto dei bisogni della comunità e sulla consapevolezza della necessità di soddisfare tali bisogni attraverso il confronto e il dialogo fra tutti gli attori della comunità stessa.


La soddisfazione delle esigenze comunitarie non può essere infatti ottenuta se non attraverso un’azione collettiva in quanto:


• nessun soggetto, pubblico o privato, profit o non profit, può promuovere, da solo, uno sviluppo che garantisca realmente protezione e promozione ambientale, crescita sociale e aumento delle risorse economiche e finanziarie;
• le responsabilità della singola organizzazione sono difficili da delimitare e solo l’intersezione delle prese in carico fra enti pubblici, organizzazioni profit e non profit, può garantire uno sviluppo armonico e democratico;
• la compartecipazione e il coinvolgimento di soggetti diversi nella creazione di un progetto condiviso di crescita è fondamentale per la riuscita di un qualunque percorso di sviluppo locale.


Tutte le parti sociali devono impegnarsi, ciascuna con le proprie potenzialità, per il benessere del territorio cui appartengono. Ma l’incontro fra le responsabilità e le diverse disponibilità a farsi carico dei problemi della comunità non può essere dato per scontato. Occorre quindi progettare e sperimentare strumenti che siano in grado di costruire la rete delle responsabilità, di esplicitarla, di farla condividere, di comunicarla e di orientarla verso obiettivi comuni. Tali strumenti, che si palesano nella messa in atto di processi inclusivi, di partecipazione e dialogo, non devono essere ‘calati dall’alto’, ma devono nascere dai territori stessi, stimolati dagli attori presenti, che possono agire come ‘teste di ponte’ per coinvolgere un numero sempre maggiore di soggetti, sia individuali che collettivi.


Promuovere tali processi di partecipazione costituisce un compito primario per l’impresacittadino che è chiamata a sfruttare le proprie competenze specifiche e il proprio know-how per attivare meccanismi di governance in grado di coinvolgere gli attori del territorio in percorsi allargati di responsabilità sociale. In tal senso la carica maggiormente innovativa della cittadinanza d’impresa si esplica nel delineare il tessuto produttivo come potenziale promotore, a fianco della pubblica amministrazione, di iniziative in grado di diffondere a livello territoriale modelli di sviluppo sostenibile orientati a realizzare sistemi locali altamente competitivi grazie all’armonica integrazione di crescita economica, benessere sociale e tutela ambientale.


L’adozione di un’ottica territoriale per realizzare processi di sviluppo sostenibile si fonda sul presupposto che lo sviluppo dei sistemi locali è imprescindibile dai legami che si costruiscono tra forze economiche e comunità locale e dall’interazione delle componenti pubbliche e private che operano sul territorio.


In particolare:


• le comunità devono essere in grado di supportare lo sviluppo economico attraverso l’adeguamento della formazione e la diffusione della conoscenza;
• le comunità devono rispondere a criteri di autosufficienza economica e quindi devono cercare di favorire la crescita delle imprese di riferimento;
• le imprese devono saper riconoscere, per perseguire uno sviluppo equilibrato, azioni ‘possibili’ e azioni ‘necessarie’ per sviluppare la propria competenza e competitività sul territorio; alle imprese è affidato il compito di gestire i passaggi di conoscenze tra generazioni differenti, garantendo una corretta implementazione dei saperi;
• per entrambe le categorie è evidente la necessità di identificare i fattori trainanti per lo sviluppo di una comunità, sia dal punto di vista economico che culturale;
• in sinergia i soggetti devono sviluppare le peculiarità che spesso rendono la comunità locale unica e irripetibile.


È evidente quanto lo sviluppo di una comunità sia strettamente legato, da una parte, al livello di efficienza del proprio sistema economico; dall’altra, alla capacità della società di supportare le imprese attraverso politiche adeguate, mirate alla crescita culturale e sociale della comunità locale, senza perdere di vista le peculiarità che caratterizzano il territorio.
Per favorire lo sviluppo locale è dunque necessario intervenire nei rapporti tra società locale e sistema economico, con particolare attenzione allo sviluppo del capitale sociale, alla crescita delle capacità relazionali e al funzionamento dei sistemi istituzionali. Ciò comporta il coinvolgimento dei soggetti privati per la progettazione delle politiche di sviluppo locale. Per questo è necessario che i sistemi locali siano in grado di sviluppare forti capacità di coordinamento e di cooperazione fra imprese e tessuto locale, al fine di coinvolgere tutti gli attori nella condivisione di un progetto di sviluppo sostenibile.


Il coordinamento delle diverse forze in campo corrisponde alla necessità di gestire in modo nuovo le relazioni all’interno della rete territoriale. Vanno infatti promossi strumenti che agevolino la redistribuzione delle responsabilità fra poteri pubblici e privati; vanno ridisegnate le funzionalità dei soggetti pubblici e vanno ridefiniti i compiti dei soggetti privati che vanno coinvolti nei processi decisionali.


Un ‘processo partecipato’


La costruzione di tale piattaforma scaturisce come esito di un “processo partecipato” esteso ai diversi portatori di interesse in cui, a partire dall’esplicitazione chiara e trasparente degli obiettivi perseguiti da ciascun attore, si individui una mission comune e condivisa, orientata a soddisfare i bisogni della comunità in un’ottica sostenibile. Il processo partecipato consente ai diversi portatori di interesse di dialogare e confrontarsi su questioni e problematiche inerenti al territorio, di conoscere le reciproche aspettative, di individuare i punti in contatto e, sulla base di questi, individuare percorsi condivisi di crescita sostenibile.
Esso si qualifica come un’arena dialogica dove gli inevitabili conflitti fra i diversi interessi possono tramutarsi in opportunità di sviluppo, dando vita a una partnership territoriale orientata alla ricerca di una sostenibilità di sistema non ottenibile tramite la semplice somma algebrica delle singole responsabilità sociali.


La costituzione di tale arena dialogica consente dunque di implementare percorsi di responsabilità sociale allargati a livello territoriale (Responsabilità Sociale di Territorio), in grado di coinvolgere tutti gli attori locali in un progetto orientato ad influire sulle sorti del territorio, secondo il principio per cui quest’ultimo appartiene a chi ci vive ed opera, ed è chi ci vive ed opera che deve decidere come gestirlo.


L’opportunità di farsi interprete di tale necessità, attivando percorsi di responsabilità sociale a livello territoriale, si identifica in una precisa scelta per l’impresa che sceglie di affermarsi nel territorio non solo come soggetto economico ma anche come istituzione sociale in grado di coniugare obiettivi di natura economica con obiettivi di utilità sociale. La promozione di percorsi allargati di responsabilità sociale implica l’assunzione di un impegno totalizzante per l’impresa: implementare un’azione di Responsabilità Sociale di Territorio necessita infatti di una progettualità orientata al lungo periodo e che riflette un approccio integrato alla realtà locale e che ingloba programmi e attività nella strategia aziendale.


La Responsabilità Sociale di Territorio è infatti fonte di valore aggiunto perché consente all’organizzazione:


• di perseguire una strategia competitiva equilibrata fra radicamento locale e capacità di interpretare i flussi dell’innovazione e le necessità di un mercato sempre più globale e ipercompetitivo;
• di accrescere la coesione sociale, la stabilità e la crescita nei territori in cui è radicata;
• di ottenere legittimazione e riconoscimento (licenza ad operare) e quindi goodwill da parte di tutti gli stakeholder e per questo propensi a non ostacolarne, ma più facilmente a favorirne, l’operato;
• di creare legami con i principali portatori di interesse locali, così da favorire il manifestarsi di comportamenti cooperativi e avviare un percorso di crescita collettiva;
• di gestire al meglio situazioni di interdipendenza decisionale e/o situazioni di crisi.


La possibilità per un’impresa di svolgere un ruolo innovativo nelle tematiche di responsabilità sociale è quindi legata alla capacità di dare vita a un network sociale nel quale tutti gli stakeholder locali siano attori protagonisti interessati a condividere gli obiettivi da perseguire per la crescita del territorio e, soprattutto, con quali modalità. Sia la costruzione del network che la realizzazione del processo partecipato richiedono azioni ad alto contenuto comunicativo soprattutto per quanto riguarda:


• la ricerca e lo scambio di informazioni; la definizione di modalità relazionali per la condivisione degli obiettivi e per la risoluzione dei conflitti;
• la costruzione di relazioni trasparenti ed efficaci tra tutti gli attori;
• l’adozione di processi decisionali autenticamente democratici ed efficienti;
• l’ascolto della comunità e di tutti gli attori;
• la rendicontazione delle diverse attività e delle risorse utilizzate.


Il contributo delle imprese allo sviluppo di una partnership territoriale è quindi strettamente legato all’adozione di un efficace governo delle relazioni fra tutti i soggetti in campo e che prevede l’attivazione di diversi e articolati strumenti di comunicazione.
Le capacità relazionali, abbinate alla capacità di adottare strategie integrate di responsabilità sociale, rappresentano le risorse imprescindibili di cui i soggetti economici devono dotarsi per poter ricoprire un ruolo significativo nel territorio e per dare avvio all’integrazione fra forze economiche e sociali che costituisce un potenziale ad alto valore aggiunto per tutta la comunità.


In una visione sistemica della comunità nella quale tutti gli attori sono interconnessi e lo stato di ciascuno è inevitabilmente vincolato e dipendente da quello degli altri, è pertanto necessario costruire meccanismi di confronto, dialogo e collaborazione che consentano di condividere visioni e indirizzi, così da trasformare i fattori di debolezza e le interdipendenze in potenziali fattori di crescita.
La Responsabilità Sociale di Territorio rappresenta un ambito di accumulazione e riproduzione di nuove relazioni sociali, nella quale tutti i soggetti detentori di capitale sociale e relazionale – imprese in primo luogo – possono stimolare la comunità a pensare e a pensarsi come “sistema vitale” e favorire la consapevolezza che un approccio congiunto sia la migliore risposta ai problemi del territorio e della collettività.


Giampietro Vecchiato, direttore clienti P.R. Consulting e Vice Presidente FERPI


Hanno collaborato:
Francesco Peraro (presidente di Veneto Responsabile) e Chiara Cattelan



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