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L'Italia che trema

22/02/2012

Il freddo dei giorni scorsi ha messo sotto scacco l’intero Paese, facendo emergere, ancora una volta la necessità di una migliore gestione e comunicazione delle emergenze. Approccio che si ripercuote sulla formazione del discorso pubblico, sulla definizione del dibattito e si affronta la crisi. L’analisi di _Vittorio Cino._

di Vittorio Cino
E’ un’Italia che trema, e non solo per il freddo, quella che dà mediocre spettacolo di sé nel discorso pubblico di questi giorni. L’ennesima conferma di un Paese smarrito, irritato e schizofrenico nella gestione di grandi e piccole emergenze, che normalmente dovrebbero rappresentare l’ordinaria amministrazione o quasi ma che oggi ci appaiono eventi imperscrutabili, alla stregua di piaghe bibliche di ingestibile soluzione.
E’ un Paese che si incaponisce nell’arte della deresponsabilizzazione o dello scaricabarile che dir si voglia, apparentemente più interessato alla cause e alle colpe piuttosto che alle soluzioni. E l’agenda o discorso pubblico è d’altronde più interessato alla recriminazione, alla reminiscenza storica, alla piccola ripicca tra le diverse bottegucce politiche piuttosto che alla definizione di soluzioni nuove a problemi antichi.
L’esempio dell’emergenza gas è uno dei più eclatanti, ma anche un perfetto esempio del modo in cui oggi si forma il discorso pubblico, si definisce il dibattito e si affronta la crisi. Dato che negli ultimi anni mi sono occupato della comunicazione del rigassificatore di Brindisi, ammetto di avere il dente avvelenato. Ma non voglio entrare nel merito di un caso che nella sua descrizione spiegherebbe meglio di molte parole il cattivo stato di salute di un sistema Paese che ama rifugiarsi nel rassicurante recinto localistico del no a prescindere, della totale irresponsabilità di classi dirigenti locali miopi e totalmente inadeguate a gestire la modernità.
Ma una breve riflessione sul tema dell’emergenza gas, e di come essa è comunicata, vorrei farla.
E’ un tema, quello di questi giorni, che certamente ha a che fare con la gestione dell’emergenza e quindi dovremmo parlare delle modalità con le quali ci si dovrebbe preparare ad affrontare e superare una crisi. Ma in questo caso siamo proprio sicuri che di crisi, cioè di fenomeno improvviso e imprevedibile come vuole la definizione, si tratti? O non abbiamo a che fare piuttosto con un’inevitabile e periodica non gestione di un tema, quello della sicurezza energetica del Paese, che non ha avuto alcun tipo di riposta nel discorso pubblico di questi anni, né si è imposto seriamente nell’agenda politica e governativa al di là delle dichiarazioni superficiali che di quando in quando rimbalzano sui media. Eppure, regolarmente, ogni due -tre anni questo Paese deve gestire un’emergenza del gas mentre tra una crisi e l’altra i principali attori energetici pubblici e privati si affannano a ribadire che non esiste un problema di approvvigionamento energetico del Paese. La mancanza di una chiara politica energetica e la necessità di doversi affidare a fornitori quali Russia e Algeria, Paesi che hanno un certo grado di rischio geopolitica, aiuta a spiegare quello che è successo negli ultimi anni. La mancanza di alternative e la carenza di rigassificatori spiegano il resto. Qualcuno ha scritto che dovrebbe essere il mercato a stabilire quanti e quali rigassificatori dovrebbero essere realizzati in questo Paese.
Come se in Italia fosse il mercato, la libera competizione tra operatori invogliati a investire sul territorio, a decidere se e dove debba sorgere un’infrastruttura energetica e non il gioco dei veti localistici incrociati, del compromesso politico al ribasso e della diffidenza verso i nuovi operatori. E infatti nessuno dei nuovi rigassificatori sta andando avanti, soprattutto nessuna infrastruttura dei nuovi operatori che vorrebbero entrare nel mercato italiano, bloccati a vari stadi di sviluppo da pastoie burocratiche, veti locali, fenomeni nimby spesso e volentieri creati artificialmente a sostegno di posizioni politiche ostili, mentre negli ultimi tre anni il miraggio (o l’incubo a seconda dei punti di vista) del nucleare ha fatto sparire il tema dell’emergenza gas dall’agenda pubblica e governativa del Paese. Nel frattempo per lunghi mesi la Libia ha interrotto le forniture e al primo starnuto i russi hanno tagliato gli approvvigionamenti mentre l’altro grande esportatore di gas in Italia, l’Algeria, non sembra rappresentare per il futuro un mostro di stabilità geopolitica. Di fronte a questi fatti chiamiamo crisi quella che è solo un mix di imprevidenza, mancanza di pianificazione, superficialità, disinteresse mediatico, deresponsabilizzazione. E anche azione di lobby ben condotta e pienamente legittima, ma purtroppo non compensata da una lobby adeguata dei tanti interessi che pure dovrebbero avere a cuore la liberalizzazione di un settore sostanzialmente immobile, la costruzione di nuove infrastrutture, lo sfruttamento di nuove fonti e il perseguimento di prezzi più competitivi. Anche su questo tema si ripete il fenomeno che contraddistingue la fase di timida liberalizzazione che stiamo vivendo. Gli interessi diffusi sono ben presenti e godono di buono spazio nel discorso mediatico, ma sono troppo parcellizzati e lamentano una scarsa rappresentanza nell’agenda pubblica, che costituisce invece la fonte delle decisioni effettive nelle diverse aree di intervento politico e governativo. Altri gruppi d’interesse, anche grazie a interrelazioni strutturali con la sfera politica, hanno ben maggior margine nella identificazione dei temi dell’agenda pubblica, a volte ne delimitano addirittura i contorni e sono ben piazzati nella costante opera di freno e limitazione ad ogni cambiamento di politica pubblica.
A me pare del tutto evidente che in un contesto così caratterizzato a farne le spese è la maturità dell’opinione pubblica e la responsabilità della sua classe dirigente sui temi della gestione delle emergenze, della comunicazione del rischio, della responsabilità sociale, certamente quello delle aziende verso il territorio ma anche quello che pure dovrebbe crearsi tra comunità locali e comunità nazionale, responsabilità oggi frantumata in aprioristici poteri di veto a tutti i livelli che poco hanno a che fare con la doverosa partecipazione di tutti i soggetti alla decisione pubblica.
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