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Lobby, democrazia e competitività

08/03/2012

La rappresentanza d’interessi, se regolamentata, fa bene al Paese. E' necessario un quadro di norme per evitare la confusione. La riflessione del Presidente, _Patrizia Rutigliano,_ pubblicata anche su _Panorama Economy_ seguita alla presentazione della proposta Ferpi al Governo.

Partiamo da un assunto: il confronto e il legittimo dialogo tra gruppi d’interesse e processo decisionale è importante per la salute della democrazia. “La Repubblica riconosce l’importanza della rappresentanza degli interessi sociali, culturali ed economici, e facilita la disponibilità e l’utilizzo di tutti gli strumenti d’informazione utili ai decisori per una più efficace convergenza di tali interessi con obiettivi di carattere generale”, recita la Costituzione. Quel che ci differenzia, soprattutto dalla cultura anglosassone, è che in Italia l’attività di lobbying è riconosciuta di fatto ma non di diritto. Ecco perché si richiede da più parti – da tempo, vista la quantità di proposte di legge presentate, quella di Ferpi compresa – la regolamentazione dell’attività di rappresentanza d’interessi, presupposto fondamentale per garantire la trasparenza dei processi decisionali.
E’ interesse di tutti, bisticcio di parole a parte, che l’attività di rappresentanza sia svolta solo da soggetti qualificati. La selettività tutela entrambi, portatori d’interessi e decisori. Professionalità, esperienze e competenze giuridiche e settoriali, oltre che integrità, devono essere requisiti base. Come i limiti temporali per evitare la trasmigrazione continua dall’attività di rappresentanza a incarichi all’interno di istituzioni e viceversa.
E la “registrazione” dei rappresentanti d’interessi, contenuta nelle linee guida del Presidente Schifani e prevista dal Ministro Catania, lungi dall’evocare la costituzione di nuovi albi, assicura la conoscibilità dell’attività di rappresentanza e consente la raccolta di elementi utili a prendere decisioni nell’interesse generale. La pubblicità dei dati, delle informazioni e dei documenti prodotti dai rappresentanti d’interessi sancisce la democraticità di accesso alle istituzioni e consente la partecipazione alla fase di elaborazione di disegni di legge e regolamenti – come previsto dal decreto del MiPAAF, che richiama procedure di consultazione già in vigore presso altre istituzioni – e impedisce gli assalti alla diligenza cui si è assistito negli ultimi giorni fuori dall’aula della 10a Commissione in Senato. Un meccanismo premiale per i registrati ma che al contempo dev’essere sanzionatorio per chi si sottrae agli obblighi previsti.
Che il tema sia entrato, o tornato, a pieno titolo, nell’agenda politico-istituzionale è evidente. E la rinnovata attenzione alle regole, alla trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e alla credibilità dei ruoli fa ben sperare che questa sia la volta buona. Una regolamentazione completa, seria e credibile in materia rafforzerebbe ulteriormente il ruolo delle istituzioni.
Anzi, l’auspicio di Ferpi è che si proceda a un intervento normativo da parte della Presidenza del Consiglio, in grado di garantire uniformità nell’approccio ed evitare che ciascuna istituzione potenzialmente coinvolta proceda autonomamente, determinando una proliferazione di provvedimenti. Anche perché, se un ulteriore strumento di trasparenza può essere l’obbligo, da parte dei registrati, di presentare una relazione periodica dell’attività svolta, pena la cancellazione e la non partecipazione alle consultazioni, si rischierebbe un ingorgo burocratico fra tanti elenchi d’iscrizione e moltiplicate relazioni. In più, tale intervento normativo potrebbe rappresentare un riferimento anche per le istituzioni regionali, limitando pure in questo caso le produzioni individuali.
Fin qui si è parlato della necessità di garantire una partecipazione adeguata dei portatori d’interesse al processo decisionale e di accuratezza e completezza della fase istruttoria dei provvedimenti, invocando normative in linea con quanto già accade in altre democrazie occidentali. Ma la rappresentanza d’interessi, all’estero, è anche un’attività che accresce la competitività delle aziende. Gli anglosassoni parlano di Public Affairs riferendosi a tutte le attività strategiche di un’impresa dirette ai suoi numerosi stakeholder. Quello che in gergo si chiama pre-mercato. Ovvero tutte quelle forze – fattori sociali, politici e legali – che direttamente o indirettamente creano il contesto competitivo in cui un’azienda deve muoversi, utilizzando in modo sinergico tutte queste leve.
La loro corretta interpretazione, e conseguente riconoscimento e regolamentazione, anche nel nostro Paese, può rappresentare un ulteriore motore di crescita e di sviluppo.

Sullo stesso tema, leggi la lettera aperta sul Corriere della Sera del presidente Assorel, Beppe Facchetti.
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