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Ma la pubblicità è una cosa seria

16/03/2009

Si sa: la pubblicità è l'anima del commercio… ma possiamo considerare la pubblicità anche come l'anima della democrazia economica?

di Giovanni Valentini


I grandi mezzi di comunicazione che si sono succeduti negli ultimi secoli, dalla stampa al telefono, alla radio e alla televisione, hanno avuto caratteristiche profondamente diverse che hanno consentito loro di integrarsi proficuamente senza che alcuno abbia mai completamente sostituito gli altri. (da “Le due realtà” di Gianfranco Dioguardi Donzelli, 2009 pag. 46)


La pubblicità, si sa, è l’anima del commercio. Ma è anche l’anima dell’informazione, nel senso che rappresenta una risorsa fondamentale per tutti i media, vecchi e nuovi, di carta o elettronici. E se è vero che l’informazione a sua volta è l’anima della democrazia, perché alimenta la libertà d’opinione e il pluralismo delle idee, allora si può dire – senza che nessuno si scandalizzi più di tanto – che la pubblicità è in qualche modo anche l’anima della democrazia economica.


Dobbiamo esserne tutti consapevoli, produttori e destinatari dell’informazione, a cominciare proprio da noi giornalisti che invece abbiamo spesso la puzza sotto il naso nei confronti della pubblicità, quasi fosse un carico da sopportare, un ingombro, una zavorra. La verità è che i nostri giornali, come prodotto industriale a diffusione di massa, senza le pagine o le inserzioni pubblicitarie non si potrebbero stampare e comunque sarebbero brutti, meno ricchi e attraenti.


Ma devono saperlo anche i cittadini lettori e telespettatori, in un rapporto reciproco di trasparenza e correttezza, al di fuori di qualsiasi contaminazione che comprometterebbe altrimenti sia la credibilità dell’informazione sia l’efficacia della comunicazione pubblicitaria. La pubblicità, insomma, è una cosa seria, troppo seria per lasciarla solo agli addetti ai lavori, ai convegni o ai dibattiti di categoria. Tanto più in un momento come questo, mentre la crisi globale minaccia l’economia internazionale, i consumi si riducono, la produzione cala e l’occupazione diminuisce.


È confortante quindi che, proprio dal mondo pubblicitario, arrivi un segnale di fiducia come quello lanciato dagli stati generali della comunicazione che l’Upa (Utenti Pubblicità Associati) ha convocato nei giorni scorsi a Roma, per confrontarsi intorno al tema “Tutto cambia. Cambiamo tutto?”. Non è un caso che, insieme ai professionisti e ai tecnici del settore, vi abbiano partecipato i dirigenti di oltre 250 aziende italiane, in rappresentanza del 70-75% dell’investimento pubblicitario nazionale.
A buon diritto, a conclusione dei lavori, il presidente dell’Upa Lorenzo Sassoli de Bianchi ha potuto rivendicare perciò l’impegno a “rimettere in moto le idee”, coniugando innovazione, trasparenza e responsabilità.


Se la pubblicità è il volano dell’economia, è proprio da qui dunque che può partire la ripresa. La sfida è duplice: per i comunicatori pubblicitari, perché devono sapere che, quando la crisi finirà, nulla sarà più come prima; per gli operatori dell’informazione, perché nell’era di Internet devono rinnovare rapidamente i loro prodotti all’insegna della multimedialità.
All’uscita dalla recessione mondiale, il modello di sviluppo economico-sociale non potrà più essere imperniato verosimilmente sull’iperconsumismo, sui vecchi cardini dell’opulenza e dello spreco; ma piuttosto sulla qualità della vita, sul consumo responsabile, sulla difesa dell’ambiente e della salute, sull’uso delle fonti alternative e sul risparmio energetico.


D’altra parte, ogni forma di comunicazione dovrà integrare i codici e i linguaggi dei vari mezzi, per offrire un’informazione interattiva, on demand (a richiesta) e sempre più mobile. La pubblicità non è un tabù, avevamo scritto qui appena qualche settimana fa. E ora il summit dell’Upa dimostra che davvero il totem si può abbattere. Si tratta, piuttosto, di regolare i flussi pubblicitari nella logica di un mercato equilibrato e moderno, contro i “cartelli”, le rendite di posizione o le posizioni dominanti, nell’interesse innanzitutto del cittadino consumatore.
La buona informazione ha bisogno di buona pubblicità e una società democratica ha bisogno di entrambe.


tratto da il Sabato del Villaggio di Repubblica – del 14 marzo 2009
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