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Ma quale esame di stato, scrive Katia Zorzenone? Perché non prendere esempio dalla Svizzera? Replica

17/02/2004
Katia Zorzenone -in replica al mio articolo della scorsa settimana sull'opinione di Edward Bernays in favore di una (da lui) auspicata introduzione di una licenza di Stato per esercitare le relazioni pubbliche- scrive:ciò di cui il mondo delle pubbliche relazioni (solitario passero sic! ndr) ha bisogno non è certo di un esame di Stato, né tantomeno di un altro albo, registro o certificato. Credo piuttosto che il vero bisogno vada in direzione di una rivoluzione culturale.La necessità di rinnovamento si ripropone identica all'interno del mondo industriale, di quello bancario, quello finanziario e nella stessa politica, ambiti nei quali le pubbliche relazioni ( a..risic!ndr) la "fanno da padrone". Non sono le autorità che possono cambiare il substrato culturale, non sono i controllori dei controllori. Non è istituendo registri e certificati che si riporta la comunicazione in una dimensione etica. L'obiettivo si può raggiungere solo stimolando il senso di responsabilità in ciascuno di noi. Abbiamo tutti bisogno di responsabilità etica e di auto-coscienza. L'obbligo morale è dimostrare a noi stessi di essere motori del cambiamento. Cari saluti.Katia ZorzenoneSi tratta di opinioni certamente apprezzabili, ma viste dalla prospettiva del relatore, e non dell'interesse pubblico.Proprio per le stesse ragioni di cui tu scrivi, l'interesse pubblico potrebbe essere indotto (anzi, è frequentemente indotto) a tutelarsi introducendo nuovi vincoli e nuove regole.La questione quindi non è tanto se sia o meno auspicabile per noi, quanto se sia o meno auspicabile (e soprattutto efficace...) per la tutela dell'interesse pubblico.Come ho già scritto, personalmente ho i miei dubbi che la regolazione erga omnes della professione sia utile; ma sono dubbi e non, come erano fino a poco tempo fa, certezze.Nei due paesi in cui la licenza di Stato esiste da anni (Nigeria e Brasile) il panorama pratico non è certamente migliore del nostro: al contrario, c'è una diffusa ipocrisia per cui i relatori pubblici, per non essere obbligati all'esame di Stato e alla licenza si chiamano diversamente (comunicazione, relazioni esterne, immagine...). Un po' come si fa da noi, sempre per ipocrisia, ma per altre ragioni...Piuttosto c'è da chiedersi se la regolazione della professione tout court non finisca per essere un gradito alibi per le associazioni che così scaricano sullo Stato il dovere di sorveglianza (quasi sempre impossibile nei fatti) sui comportamenti degli operatori.Assai interessante appare invece la situazione Svizzera, dove l'associazione professionale, per conto e su delega del Governo Federale, gestisce gli esami di accesso al titolo di esperto in relazioni pubbliche.Nessuno può mettere quel titolo sul biglietto da visita senza avere superato l'esame di Stato, ma non esiste alcun divieto ad alcuno di esercitare le relazioni pubbliche dicendo che le esercita.In sostanza, viene lasciato all'associazione professionale il compito di qualificare lo stesso esame e il conseguente titolo di stato, e si stima che oggi sia in possesso del 50% degli operatori esistenti, i quali sono anche ovviamente stimolati a divenire soci dell'associazione.Una vera operazione win-win che potrebbe essere interessante analizzare e valutare se non sia il caso di tentare di introdurre anche da noi.Toni Muzi Falconi
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