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Paolo d'Anselmi sui numeri e sulla comunicazione dai ministeri... Tutto da leggere

04/05/2004
Il ministero dà i numeriUn insolito spettro fa capolino dai manifesti elettorali: la pubblica amministrazione romana, i ministeri. "Riduzione Irpef: 28.622.000 italiani pagano meno tasse - fonte: Ministero dell'economia e delle finanze". "Contratto con gli italiani: 1.558.000 pensioni aumentate ai pensionati più poveri - fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali". Chiamata a correo dalla campagna governativa la PA avalla i numeri del capo, salta il parapetto dei timidi tentativi di bilancio sociale fin qui esperiti e s'annuncia alla nazione.Non poche istituzioni infatti si erano spinte in passato verso la trasparenza e la comunicazione, ma sempre con diffusione da samizdat: i Carabinieri redigono un agile rapporto sulla attività operativa in cui si da conto della produzione: arresti e sequestri; idem la Guardia di Finanza, con tortine e colori presenta l'attività dell'anno trascorso; l'Aeronautica militare svolge una serie di articoli sui punti caldi dell'arma e presenta una tavola di bilancio nel proprio rapporto annuale.Bisogna discriminare perché girano molti rapporti sullo stato del mondo, che non vanno confusi con il bilancio sociale della istituzione che li redige: le mitiche considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia non considerano per niente efficienze ed inefficienze proprie; il rapporto sullo stato dell'ambiente poco rapporta dell'azione del ministero competente; solo la relazione annuale del Tesoro – rara come una prova d'autore - racconta indicatori interni alla amministrazione. È vero che le amministrazioni centrali debbono assumere l'intera società come denominatore della propria azione, ma ci vuole senno per distinguere ciò che ho fatto io da ciò che è.I documenti prodotti in questo fervore rapportante non nascono da uno spontaneo moto delle istituzioni verso la accountability, ma sono ben incardinati nelle norme. Si tratta di:

relazioni di accompagnamento ai bilanci contabili, omologhe delle relazioni sulla gestione dei bilanci civilistici;
relazioni sulla attività svolta, che ogni ministero deve inviare al parlamento e ogni ente vigilato deve al proprio ministero;
dati che la Corte dei Conti richiede alle istituzioni controllate per redigere i referti;
output ai sensi del decreto legislativo 286 del 1999 sui controlli interni.
Sono tutte asteniche versioni ante litteram del bilancio sociale pubblico, felice, nuova espressione che ora col sociale generalizza la nozione di prodotto e col bilancio assume il rango del cugino bilancio contabile, così vigilato, così obbligatorio, così inutile. Ci si poteva pure arrivare col buonsenso: avevamo letto spesso sulle (poche) ore di guida  dei macchinisti ferrovieri e sulle (pochissime) ore di volo dei piloti Alitalia, che sono misure di efficienza interna, e il bilancio sociale pubblico altro non è che il luogo della continuità e della sistematizzazione di queste importanti informazioni.Danno misure di output (le contravvenzioni fatte) i rapporti che esaminiamo, danno misure di input (le entrate dell'anno), dividono il budget per programmi, a volte danno la tendenza: mai nello stesso documento. Mai ci si paragona ad altre istituzioni, ma senza continuità né confronti non riesco a capire se sto leggendo delle buone o delle cattive notizie. C'è puzza di immagine e di manipolazione. Chissà che adesso i ministeri non prendano alla lettera l'ordine di scuderia e si mettano a produrre bilanci sociali con un minimo di professionalità nella valutazione dei programmi pubblici. Chissà che non schiodino dalla propaganda ed entrino nella cultura della rendicontazione, adesso che lo chiedono perfino i muri.Paolo d'Anselmi
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