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Pari opportunità: è reale o meno?

27/05/2009

Quali strumenti applicare in un’impresa per favorire, concretamente, lo sviluppo certamente meritocratico ma paritetico? Domande che necessitano di risposte concrete, di strumenti fattivi piuttosto che di indicatori misurabili per capire se all’interno di una organizzazione (di impresa o altra natura) le pari opportunità sono effettivamente sviluppate.

di Marco Galdiolo


Pari opportunità? E’ reale o meno? Quali strumenti applicare in un’impresa per favorire, concretamente, lo sviluppo, certamente meritocratico ma paritetico?
Queste sono domande che al di là di teorie sociali, prese di posizione ideologiche e forse in taluni casi utopistiche, necessitano di risposte concrete, di strumenti fattivi per favorire tali standard all’interno dell’azienda piuttosto che di indicatori misurabili per capire se all’interno di una organizzazione (di impresa o altra natura) le pari opportunità sono effettivamente sviluppate o meno.


La domanda di partenza è perché le pari opportunità, cercando di fornire delle risposte all’interno di perimetri individuati nel concetto di impresa poiché possiamo ritenere che l’impresa rappresenti il miglior veicolo esistente, ed ad oggi conosciuto, per produrre e distribuire ricchezza con un occhio attento all’economia sociale di mercato che impone alle aziende di riconsiderarsi continuamente nel proprio ruolo di attore economico (il giusto obiettivo della profittabilità e della conseguente soddisfazione dell’azionista), sociale (cioè inserito in un contesto di valori e principi che incidono sulla reputazione, stima, credibilità dell’azienda – elementi fondamentali per la sopravvivenza della stessa -), ambientale (cioè orientato alla conoscenza e tutela responsabile di una risorsa, l’ambiente, sempre più strategica).


Le pari opportunità divengono così strumento di valorizzazione e sostenibilità al posizionamento economico di lungo periodo dell’azienda, poiché in un contesto soggetto a forti, continui e rapidissimi mutamenti (e questa è una strada che certo non avrà più ritorno poiché i processi di globalizzazione sono inarrestabili), la flessibilità intellettuale del capitale umano di un’impresa è la risorsa che più incide sulla competitività.


E la flessibilità si trova nella diversità, nel differente approccio alla tensione emotiva delle scelte aziendali dei due sessi, nella differente schematizzazione mentale che i diversi sessi hanno nel valorizzare ed interpretare la quotidianità, nella diversa sensitività e sensibilità che proviamo nell’interpretare l’evoluzione sociale e quindi di mercato.


Sì, le pari opportunità, la compartecipazione femminile e maschile allo sviluppo di un’azienda è sinonimo di ricchezza, poiché è sinonimo di confronto (anche di scontro in talune situazioni) tra la razionalità (che sembra, e ripeto sembra, essere più una variabile maschile) e la creatività (che sembra, e ripeto sembra, essere più una variabile femminile).
Trovare il giusto equilibrio significa essere dialetticamente e quindi professionalmente pronti al cambiamento.


Questo costa fatica, poiché le organizzazioni fortemente orientate al personale solo maschile (o solo femminile), hanno meno punti di scontro (che poi significa confronto e incontro), sono più “imbinariate” su percorsi di sviluppo in quadri stabili, sono, probabilmente, più efficienti qualora operino in condizioni di stabilità esogena.


Ma il mondo non è così, in nessun settore, la concorrenza, il repentino modificarsi delle abitudini dei cittadini (non mi piace parlare di consumatore), il repentino modificarsi delle caratteristiche socio-culturali della nostra società, lo sviluppo della multietnicità piuttosto che la caduta di ormai qualsiasi barriera alla movimentazione di beni e capitali impone flessibilità, flessibilità ed ancora flessibilità.


E così credo che le pari opportunità, il valoroso, impegnativo scontro che diviene incontro nel vivere quotidiano tra sessi diversi siano la fonte cui l’impresa dovrebbe attingere per beneficiare della migliore posizione sul mercato non solo oggi ma anche domani, credo cioè che le pari opportunità siano un vantaggio egoistico dell’impresa che ha coraggio di affrontare il cambiamento guardandolo in faccia, con il desiderio della sfida, di quella sfida che è il mercato e che deve essere vinta.


Quali allora gli strumenti per favorire le pari opportunità? Riporto una breve elencazione che certo non vuole essere esaustiva ma che offre della strumentazione pratica per passare dal dire al fare:


• flessibilità nell’orario di lavoro (tanto le ore lavorate sono le stesse ed ormai va valutata la qualità – cioè la produttività – e non la sola quantità di ore passate in azienda);
• svolgere gli incontri aziendali, le riunioni all’interno dell’ordinario orario di lavoro e nelle sole giornate lavorative;
• offrire la possibilità di un asilo nido aziendale (o per chi non se lo potesse permettere basterebbe un accordo con strutture convenzionate);
• prevedere (quale processo ufficiale e certificato in azienda) ogni anno un colloquio strutturato, cioè un incontro franco e paritetico tra responsabile e collaboratore dove, liberamente, fare il saldo dell’anno trascorso ed impostare gli obiettivi per l’anno successivo, verbalizzando e congiuntamente firmando tali risultanze;
• monitorare il tasso di turn over sia volontario che complessivo per fasce di età, posizione aziendale e sesso;
• monitorare il tasso di sviluppo per sesso del capitale intellettuale nonché le posizioni di responsabilità in azienda.


… Molto altro si potrebbe aggiungere ma già queste riflessioni ci fanno capire una cosa: le pari opportunità sono un’effettiva e concreta opportunità per l’impresa in primis, le pari opportunità vanno monitorate e gestite, non certo solo comunicate, le pari opportunità sono una via per il benessere in azienda e, credo, non serva aggiungere molto per trovare la giusta equazione matematica tra benessere e produttività.
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