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Passione e coraggio della verità

08/02/2005

Alcuni spunti di riflessione tratti dall'intervento del Cardinale Dionigi Tettamanzi all'incontro con gli studenti e i docenti delle scuole di giornalismo di Milano (29 gennaio 2005) - di Fabio Bistoncini. A seguire l'intervento dello stesso Tettamanzi.

Il sodalizio intellettuale tra Mario Rodriguez e il sottoscritto dura da tanti anni: quest'anno festeggeremo i 14!Una comunanza di valori di fondo e di "vedute" sulla nostra professione che hanno resistito ai tanti piccoli e grandi eventi che costellano la vita di ciascuno di noi e che ci fanno, nel bene e nel male, crescere (io !) o invecchiare (lui!).Un rapporto fatto anche da tante provocazioni intellettuali.Per questo, quando una settimana fa mi ha inviato l'intervento del cardinale Tettamanzi, con la nota di sempre "perché non lo leggi e scrivi qualcosa?", non sono stato completamente colto di sorpresa.Certo il compito è da un lato improbo - chi sono per chiosare l'intervento di un Cardinale? - e dall'altro stimolante: può un lobbista cinico, amante degli "spin doctor", profondamente laico, "comprendere" un discorso intriso di valori cristiani che comincia con un tratteggio della figura di San Francesco di Sales?Ci ho provato e di seguito le mie riflessioni.La prima parte dell'intervento ruota attorno al concetto di come l'informazione – comunicazione debba essere considerata un bene primario per tutti noi. L'essere informati infatti ci permette di esprimere una delle dimensioni essenziali della persona: quella della relazionalità, ossia quella di entrare in rapporto con il mondo esterno, con gli altri. Da qui discende la considerazione e l'efficace paragone di  considerare l'informazione un bisogno insopprimibile per l'uomo, al pari del cibo.Ma come il cibo, per nutrirci, deve essere "buono", così deve essere l'informazione che diamo e riceviamo: deve cioè possedere tutti gli elementi necessari per conoscere e per comprendere la realtà.La seconda parte è dedicata all'analisi del sistema dei media e al tentativo di dare una risposta alla domanda se l'attuale sistema mediatico favorisce o ostacola "la passione e il coraggio della verità?"Il Cardinale espone una visione molto lucida e straordinariamente chiara del lavoro del giornalista moderno e del sistema in cui agisce. Ma in realtà le considerazioni possono estendersi, senza alcuna difficoltà, all'intero settore della comunicazione e a tutti i soggetti che in esso operano e lavorano.La figura del giornalista si è trasformata profondamente: l'icona "romantica" dell'inviato che viaggia, fotografa, si informa, che "sta sulla notizia" e manda "pezzi"  su quello che sta accadendo nel mondo è stata sostituita dalla figura assai più prosaica del "gatekeeper" del giornalista che seleziona notizie provenienti da altre fonti, che le "cucina", che a volte impone, a volte subisce l'agenda di altri media.L'analisi è resa assai più completa con alcune puntuali considerazioni sui processi di comunicazione, sempre più collegati a sistemi economico - commerciali fino a diventarne dipendenti. Il Cardinale cita al riguardo alcuni passi di un documento elaborato dalla Conferenza Episcopale Italiana che stigmatizza i rischi che derivano dalla concentrazione del sistema dell'informazione in  gruppi oligopolistici. Il moderno giornalista dunque si muove in un mondo mediatico sempre più vorticoso, frenetico,  con l'obiettivo del profitto a qualsiasi costo.Il rischio è dunque la perdita della tensione etica con gli effetti devastanti che sono sotto agli occhi di tutti: ne è esempio la spettacolarizzazione della notizia e cioè la ricerca dello scoop a qualsiasi costo, la produzione dello spettacolo con "lo scopo di vendere e guadagnare sempre più".Un ulteriore passaggio mi preme sottolineare: quello relativo ai codici deontologici.Su questo il Cardinale è tranchant e ha le idee molto più chiare di tanti colleghi che, spesso a sproposito, invocano l'istituzione, la creazione, l'ammodernamento dei codici di condotta.Prima ancora di elaborare dei codici deontologici è necessario "coltivare dentro di sé i valori fondanti della professione."Non mi pare poco, ma soprattutto non mi sembra sia il caso di aggiungere altro…La lettura corre veloce verso la parte conclusiva dell'intervento incentrata sul concetto di obiettività. Anche in questo caso Tettamanzi ricorre citando un documento della CEI.Essere obiettivi non significa essere neutrali. Il giornalista è un mediatore che sceglie, seleziona e anche sottolinea il suo punto di vista. Il problema dunque non è "l'atto" ma il "fine": che per Tettamanzi deve essere quello di ricercare "nessun altro interesse che non sia il vero bene degli altri". L'informazione dunque e l'essere giornalista al servizio del miglioramento dell'uomo. Sì dunque ad un costante impegno ad esercitare una "vigilante funzione critica"; un no deciso a coloro che personalizzano la comunicazione (specificherei informazione), sostituendosi al messaggio. Chissà se gli studenti che ascoltavano il Cardinale, durante questi passaggi, hanno pensato a tutti quegli anchorman televisivi che rientrano pienamente nella descrizione negativa di cui sopra?Il discorso si conclude con un elogio dell'ascolto.Il buon comunicatore deve essere prima di tutto un buon ascoltatore, deve "saper vedere e scrutare, anche al di là dell'immagine che immediatamente si propone".Come non condividere queste parole ?Alcune riflessioni conclusive.Oltre alle considerazioni sopra esposte vorrei concludere questo mie riflessioni con un riferimento alla spettacolarizzazione dell'informazione.Fenomeno che, a mio modesto avviso, ha assunto i caratteri di una deriva soprattutto nel panorama televisivo italiano. Sempre più spesso la televisione (pubblica o privata che sia) ha abdicato alla funzione informativa con l'obiettivo di produrre lo spettacolo allo scopo di attrarre spettatori, pubblicità, profitti. In realtà l'attuale situazione è andata ben oltre: basti pensare al fenomeno delle fiction televisive che ormai stanno soppiantando non più o soltanto i telefilm tanto cari alla nostra infanzia/adolescenza (ebbene si, siamo cresciuti guardando Happy Days e non ce ne vergognamo!) ma soprattutto hanno assunto la funzione di "decodificare" di rendere comprensibile ai più, spettacolarizzando, anche eventi storico sociali drammatici, complessi, che non possono essere trattati con lo stile narrativo di un feuilleton (televisivo).Per essere chiari e espliciti: non mi preoccupo dell'Elisa di Rivombrosa. Mi preoccupo invece, come cittadino che conosce qualcosa di comunicazione, delle fiction su aspetti storici o politico sociali: da "La piovra" e quella sulle foibe (e così siamo anche bipartisan!).L'intervento del Cardinale è comunque una bella lettura per tutti noi: per chi poi, come il sottoscritto, è cresciuto a pane e "compromesso storico", provoca un confronto "solitario", intimo che somiglia tanto a un tuffo nel passato.Fabio BistonciniEd ecco l'intervento del cardinale Tettamanzi.
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