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Pattuglia: a tutto social

03/07/2014

Ancor prima che tecnologico, l’impatto dei social media è strategico e ha forti implicazioni organizzative sulle aziende. Cambiano le logiche della comunicazione e del marketing, cambia il rapporto impresa-cliente. Cosa fare per adattarsi ai nuovi paradigmi? Il ruolo centrale della formazione.

di Rosamaria Sarno (1)
Tutti partecipano alla costruzione delle marche e delle loro identità
“La comunicazione d’impresa attraverso i social media deve essere pensata, pianificata e strutturata come ‘attiva’ e coinvolgente, rivolta a quello che viene detto l’engagement del consumatore, il suo ingaggio o coinvolgimento. Tutte le modalità sono consentite. Dalle più tradizionali a quelle ‘non convenzionali’, conferma Simonetta Pattuglia, professore aggregato di Marketing Comunicazione Media all’Università di Roma Tor Vergata, nonché direttore del master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media e del master in Marketing e sport management; autrice di libri sul settore pubblicati da Franco Angeli: Media Management. Convergenza e sviluppo competitivo delle imprese mediatiche; Social Media Marketing (con S. Cherubini); Mobile Marketing & Communication (con S. Cherubini).
“I social necessitano di meccanismi – tesi di volta in volta all’informazione, alla comunicazione o all’entertainment – di approccio ludico, ricreativo, di coinvolgimento partecipante e che alluda, più o meno concretamente, al gioco esperienziale”, spiega la docente. “Il vantaggio principale è che il consumatore, in tal modo, entra nella comunità del brand, non più meramente o solamente ne diviene cliente, e tale comunità vede per la prima volta assieme – attorno a concetti e valori condivisi – i consumatori, i clienti, il prodotto e il servizio stesso, e il marketer-comunicatore, non più in posizione asimmetrica e anche non comunicante direttamente. Tutti partecipano alla costruzione delle marche e delle loro identità”.
In merito alle conoscenze necessarie per essere efficaci sui social media, Pattuglia sostiene che “il ‘marketing innovativo’ deve divenire pane quotidiano delle nuove professionalità: branding, co-marketing, eventing, CRM evoluti sono i capisaldi di questa nuova storia del marketing e della comunicazione d’impresa. La conoscenza approfondita dei singoli strumenti e delle loro peculiarità – tecnologiche e di comunicazione – fa il resto: fare marketing e comunicazione su Twitter non è affatto la stessa cosa che su Facebook o attraverso Instagram! Questo non è ancora chiaro ai più: il marketing deve essere sempre un’attività integrata di tipo analitico, strategico e quindi operativo. Gli strumenti che debbono essere utilizzati non sono capaci di raggiungere obiettivi strategici in maniera indifferenziata. La formazione attuale passa attraverso questo approccio: grande rigore metodologico e grande duttilità e versatilità progettuale”.
I nuovi mezzi non sostituiscono i precedenti ma li integrano
Come e quanto la formazione opera per far capire anche la necessaria integrazione tra on e offline? “Dipende dalla qualità della formazione”, osserva la professoressa Pattuglia. “Tale integrazione fra online e offline è necessaria. I nuovi mezzi non sostituiscono i precedenti ma si integrano, talvolta sussumono finalità e potenzialità, talvolta le enfatizzano. Il buon marketer oggi è sicuramente innovativo, sistematico, capace di integrare costantemente finalità, strategie e strumenti, con forti basi di conoscenza del consumatore e della sue evoluzioni, nonché dei mezzi e delle loro peculiarità. Bisogna anche conoscere bene la concorrenza. È un aspetto meno intuitivo ma su cui noi insistiamo potentemente: non si può fare un buon marketing, tantomeno innovativo, senza analizzare e costantemente monitorare i nostri concorrenti, sia diretti sia indiretti”.
E l’esperta mette anche in guardia dai falsi miti che stanno girando in questo ambito: “Un potente falso mito che gira ancora, nella vulgata sui social media, è indubbiamente la capacità estrema che viene loro attribuita di prendere per mano il consumatore e farlo diventare ‘cliente’ di un brand. La correlazione fra frequentazione dei social network e la capacità che essi hanno di trasformare ipso facto la persona in cliente è ancora tutta da provare, in maniera quantitativamente significativa (in termini di vendite). Certamente, oggi, nessuna impresa e nessun brand di prodotto-servizio può permettersi di rinunciare a ‘coltivare’ i propri consumatori, meglio se clienti, anche sui canali social. Una sempre maggiore integrazione degli stessi, integrazione che le aziende social stanno costruendo (basti vedere l’accordo recentissimo fra Twitter e Amazon per il click sull’acquisto attraverso un tweet) e una ‘rete’ integrata fra mezzi tradizionali e mezzi innovativi, rete che si stringerà attraverso attività coinvolgenti e intriganti, saranno sempre più capaci di guidare il consumatore verso il ‘carrello’, reale o virtuale che sia”.
Ma allora, è vero o no quanto sostengono alcuni recenti studi, ossia che il fenomeno dei social network stia perdendo la sua spinta espansiva? “Certamente, l’onda di riflusso (Facebook sta conoscendo ultimamente il fenomeno consistente della cancellazione dei profili da parte degli utenti) è indubbiamente un fenomeno che tutti i media vivono, al momento in cui l’effetto moda si attutisce”, conclude Pattuglia. “Certamente non è possibile affermare che tale assestamento ridimensioni la portata ‘epocale’ della trasformazione mediale cui stiamo assistendo e partecipando. La convergenza tecnologica, di marketing e comunicazione e di linguaggi è ormai acclarata, da essa non si recederà. I social media/network – nella loro edizione convergente e mobile – sono la vera grande killer application dei nostri tempi. I piani di marketing e comunicazione di tutte le imprese in tutti i continenti non potranno più, d’ora in poi, immaginare se stessi indipendentemente da una integrazione fra mezzi paid, owned e – sempre più – earned. La comunicazione efficace non si compra. Si guadagna, soprattutto”.

(1) Intervista a Simonetta Pattuglia, docente di Comunicazione, Marketing e Media all’Università di Roma Tor Vergata, tratta dall’articolo su “Social media e formazione” di Rosamaria Sarno, pubblicato su Harvard Business Review Italia
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