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Product placement nei film

20/01/2004

Il governo ne combina un'altra... ma nessuno dice niente?Il Consiglio dei Ministri di Venerdì 16 ha approvato il decreto di riforma del cinema che legittima il product placement...

All'art.9 il decreto dà legittimità istituzionale al product placement. L'editoriale di Toni Muzi Falconi. Come dice il testo illustrativo:una novità di particolare evidenza è rappresentata dall'ammissibilità della particolare tecnica di comunicazione pubblicitaria denominata "product placement" (la presenza di un prodotto/servizio nel contesto di una storia, come si fa in teatro, in tv, sui giornali...). La previsione, innovativa rispetto al divieto di qualsiasi finalità pubblicitaria dei film, contenuta nell'articolo 25, comma 2, della legge n. 1213 del 1965, è parsa opportuna in quanto consente di disciplinare e contenere entro margini non contrastanti con la normativa di cui al decreto legislativo n. 74 del 1992, in tema di riconoscibilità della pubblicità, un fenomeno comunque presente nella prassi e largamente diffuso nella produzione cinematografica straniera. Le modalità tecniche sono rimesse ad un successivo decreto ministeriale. Per la verità, a noi non risulta che in altri Paesi leggi dello Stato regolino questa materia, lasciata interamente all'autodisciplina delle diverse professioni coinvolte. Eppure, la giustificazione di questa novità viene proprio dalla asserita opportunità di allineare la prassi italiana a quella vigente negli altri Paesi.E' un modo di ragionare fuorviante e sospetto, a maggior ragione adesso che la Casa della Libertà si è rassegnata a ridurre del 20% l'ammontare complessivo delle risorse che vanno a costituire il tetto del Sistema Integrato della Comunicazione della Legge Gasparri! (sulla Legge Gasparri vedi articolo pubblicato questa settimana sul nostro sito) Esisteva una norma (del 1965) che andava abolita, per consentire alle produzioni italiane di allinearsi a quelle di altri Paesi? Perchè non la si è semplicemente abolita? Qualcuno si è davvero accorto in questi 40 anni che la produzione cinematografica italiana, a differenza degli altri Paesi, non pratica il product placement?. Suvvia!Invece qui il governo abolendo la vecchia, introduce una nuova norma, rimandandone però la definizione ad un regolamento di attuazione che non dovrà neppure essere approvato dallo stesso Consiglio dei Ministri (lasciamo stare il Parlamento, completamente esautorato). Non sfuggirà a nessuno che il settore cinematografico italiano, così come quello della raccolta degli investimenti pubblicitari, è -diciamo così- uno di quei settori dove il nostro Premier ha qualche interesse...Ecco così che si apre un nuovo e lucrativo mercato: ottenere dalle produzioni l'esclusiva di presenza di prodotti/servizi nei film e poi vendere alle imprese spazi e tempi interni alle storie. Altro che 'interrompere l'emozione'...E' un mercato nuovo perché fino ad oggi, e in tutto il mondo, il mercato del product placement è governato da apposite e specialistiche strutture professionali che rispettano propri codici deontologici, fanno parte delle relazioni pubbliche e non rientrano fra le voci comunemente ritenute pubblicitarie.Non è un caso: il relatore pubblico specialista nel product placement (a Hollywood, come a Londra; a Parigi come a Roma o Bollywood) è competente nella raccolta di informazioni in merito ai programmi di produzione dei film; sviluppa network relazionali con registi, produttori e altre figure professionali del cinema; è competente nelle integrazioni sempre più frequenti fra produzioni per canali diversi (cinema, tv, dvd, cassette etc..) e, soprattutto, la sua creatività si esplica nel trovare, inventare, suggerire gli opportuni inserimenti/adattamenti che non stravolgano ma che anzi esaltino e siano sinergici con la storia raccontata, il buon gusto dell'opera,la dignità degli attori e l'attenzione dello spettatore.In effetto non v'è differenza fra il normale lavoro di 'ufficio stampa di prodotto' e questo.Al di là dei legittimi sospetti indicati sopra, l'introduzione di questa nuova norma rischia davvero di trasformare i film italiani in vetrine pubblicitarie. Sarebbe come se il Corriere della Sera affidasse alla sua concessionaria interna l'esclusiva di ogni citazione di prodotto/servizio anche indirettamente dotato di connotazioni commerciali sottraendola all'autonomia giornalistica.E' proprio vero che articoli 9 (ricordate l'art.9 della 150/2000..quello che riserva ai soli giornalisti l'esclusiva degli uffici stampa dell'amministrazione pubblica?) non fanno bene alle relazioni pubbliche...Possibile che nessuno si sia accorto di queste, a dir poco, incongruenze? Toni Muzi Falconi
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