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Quando i brand non si comprano ma si amano

30/03/2004
Ci sono prodotti e marchi verso i quali si sviluppa una particolare affezione, prodotti il cui brand esercita un vero e proprio fascinum e conquista oltre alla fedeltà dei consumatori anche il convincimento della loro indubbia superiorità rispetto ai concorrenti, così da trasformare i consumatori in veri e popri "evangelizzatori". Secondo la definizione apparsa nel recente libro del Ceo di Saatchi & Saatchi Worldwide Kevin Roberts, questi non sono dei semplici brand, ma dei lovemarks in quanto "ispirano una fiducia al di là della ragionevolezza". Questa realtà è così assodata che negli ultimi tempi sono fioriti numerosi libri di marketing che suggeriscono i modi per trasformare qualsiasi prodotto o marchio in un lovemarks. In un bell'articolo apparso sul Financial Times, John Gapper analizza i limiti di questa teoria passando in rassegna i tre saggi più indicativi sull'argomento: Purple Cow: Transform by being Remarkable di Seth Godin, Re-Imagine! Business Excellence in a Disruptive Age di Tom Peter e appunto Lovemarks di Kevin Roberts. La tesi sostenuta nell'analisi di Gapper è che non si possano amare molti prodotti, essendo l'amore un sentimento che tende all'esclusività, e che le aziende hanno due opzioni a disosizione riguardo il proprio brand: creare dei prodotti di nicchia destinati a pochi ma appassionatissimi clienti, o creare prodotti di massa che però non hanno chanche di diventare lovemarks, al di là delle pur cospicue vendite.Ogni lovemark però, come tutte le cose amate, corre un grosso pericolo: tradire la fiducia dei suoi amanti, perchè in tal caso l'amore si trasformerà in odio e nessuno risparmierà le critiche, come recentemente avvenuto in occasione dela presentazione delle nuove serie (5 e 7) della Bmw.Gabriele De Palma - Totem
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