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Quando la paura si rappresenta graficamente

04/02/2010

Michael Kimmelman presenta dalle pagine del _The New York Times_ un’interessante panoramica di come “la paura dell’altro” si possa leggere anche attraverso i manifesti dei partiti politici. Partendo da quando è accaduto in Svizzera, analizza la situazione in tutta Europa. Arrivando anche a Rosarno.

La Svizzera ha davvero sbalordito non pochi europei, compresi anche alcuni svizzeri, con i risultati del referendum che, verso la fine dell’anno scorso, ha bandito la costruzione di nuovi minareti: una ben comprensibile disapprovazione della xenofobia svizzera, anche se non mancano dati che ci dicono che indagini del genere darebbero ovunque più o meno gli stessi risultati.
Molti hanno sostenuto che a galvanizzare i voti sulla scelta svizzera sia stato soprattutto un manifesto, accusato anche di aver acuito l’ostilità verso gli immigrati e di aver istigato i media e l’ambiente legale. “Noi facciamo manifesti, il resto spetta ai giudici” ha affermato Alexander Segert, nel corso di una intervista. “Mi piace quando ci sono reazioni”.
E’ stato lui a immaginare il manifesto in questione: è manager di Goal, la società di relazioni pubbliche del Partito del Popolo Svizzero, e ha supervisionato diversi manifesti per varie campagne. Questo, per il referendum, mostra dei minareti che spuntano dalla bandiera svizzera come se fossero missili (“funghi” ha obiettato Mr. Segert: poco credibile). Oltre ai missili c’è una donna che occhieggia da un niqab. E in basso, a grandi lettere nere, è scritto “Stop”.
L’ovvio messaggio è: i minareti portano alla Legge della Sharia. Non importa che, tanto per cominciare, in Svizzera ci siano solo quattro minareti e che i musulmani, ca. 340.000, o il 4% della popolazione, provenienti soprattutto dai Balcani e Turchia, non siano mai stati particolarmente zelanti.
In questo paese a forte immigrazione il Partito ultranazionalista del Popolo Svizzero è oggi il partito principale, favorito nei sondaggi da incidenti quali l’aggressione, per mano di un immigrato musulmano somalo, in Danimarca, il giorno di Capodanno, a Kurt Westergaard, l’artista la cui caricatura del Profeta Maometto, con una bomba nel turbante, è stata pubblicata nel 2005 da un giornale danese provocando violente proteste in tutto il mondo. In tutta Europa stanno crescendo i partiti populisti che si ispirano, cosa che non avviene dall’altra parte dell’Atlantico, ad un tipo di propaganda molto antiquata. Oggi, in America, le notizie che arrivano 24 ore su 24 via cavo e su Internet, le dimensioni del paese, le regole alla base degli incontri pubblici, per non parlare dei due soli partiti maggiori che hanno, o fingono di avere, il desiderio di conquistare il centro politico, tutto questo tende a scoraggiare il tipo di propaganda che oggi possiamo trovare in Europa.
Riesce, se non altro, ad evitare legge razziste. In Italia, dove gli attacchi ai lavoratori extra-comunitari a Rosarno in Calabria hanno segnato uno dei più gravi momenti di tensione degli ultimi anni, la Lega Nord, partito al Governo nella coalizione del Premier Silvio Berlusconi, ha fatto circolare diversi manifesti anti-immigrati. Uno di questi, prendendo spunto da un manifesto del Fronte Nazionale francese, partito di estrema destra di Jean-Marie Le Pen, mostra un indiano d’America, suggerendo che tra poco gli immigranti ridurranno gli europei a minoranza sconfitta rinchiusa nelle riserve.
Il Fronte Nazionale ha anche distribuito un manifesto di Charles de Gaulle corredato da una osservazione che questi aveva fatto (nel contesto dell’occupazione algerina) per dar da intendere che oggi un vero gollista voterebbe per Le Pen. “E’ un bene che ci siano francesi gialli, francesi neri e francesi marrone”, si dice abbia detto De Gaulle. “Sono una dimostrazione che la Francia è aperta a tutte le razze,” e ha aggiunto “a condizione che rimangano una piccola minoranza. Altrimenti la Francia non sarà più la Francia”.
In Austria, il partito di estrema destra, Partito della Libertà, è uscito con un manifesto che dice, con termini gergali “Casa anziché Islam, noi con voi” (“Daham Statt Islam, Wir Für Euch”). E il partito neo-nazista inglese, che ha anche conquistato due seggi al Parlamento Europeo, ha creato non poco imbarazzo nei leader politici del paese, avendo scippato l’idea del manifesto svizzero nel quale ha sostituito la bandiera elvetica con l’Union Jack. Tutto questo non ha fatto molto piacere né al signor Segert né al Partito Svizzero del Popolo: i nazionalisti sono una cosa, i neo-nazisti un’altra.
Agli americani riesce forse difficile capire l’effetto che manifesti del genere possono avere, perché negli Stati Uniti l’affissione usa toni molto diversi e più pacati.
Alexander Segert è il numero uno di questo tipo di propaganda: tra le sue realizzazioni più contestate, prima di quella dei minareti, c’è stato un manifesto che rappresentava tre morbide pecorelle bianche che calciavano via dalla bandiera svizzera una pecora nera con lo slogan “Per maggior sicurezza”. E’ stato spesso accusato di razzismo, è stato sottoposto a procedimenti legali, ma ne è sempre uscito indenne e persino il divieto, in certe città come Basilea e Ginevra più di sinistra, di esporre quei manifesti, non ha fatto che incrementarne la riproduzione. Insomma, il dibattito sui manifesti porta attenzione nei giornali e in TV e questo è l’obiettivo di chi li commissiona e di chi li realizza.
Jacques Séguéla, direttore creativo della seconda più grande agenzia di pubblicità francese e personaggio assai noto non solo nell’ambiente pubblicitario, commentando, da un punto di vista estetico questi manifesti ha detto “50% Stalin, 50% Norman Rockwell. Le immagini sono aggressive, non sono divertenti, non hanno fascino, vanno dirette al punto, sono chiare e assolutamente non radicali. Sono il contrario della maggior parte della pubblicità che vediamo oggi. Si rivolgono esclusivamente al loro target specifico”. Ed è a questo che servono.
Alexander Segert così spiega le sue scelte: “Sembra facile, ma la maggior parte dei partiti politici non sa quale sia il suo messaggio”. E’ un problema per quelli del centro e per molti di quelli che tendono a sinistra.
In contrapposizione, invece “tutti sanno a che cosa aspira il Partito del Popolo Svizzero. E’ contro l’Unione Europea, a favore della neutralità, tasse più basse, no all’immigrazione illegale. Può piacerti o no, ma il messaggio è chiaro”. Quel messaggio deve poi essere perfezionato. “Probabilmente l’80 o il 90% della gente non ha interesse per le elezioni. E allora il nostro compito è di dire loro: Interessati a quello che non ti interessa, prendi posizione anche su qualcosa di cui non ti importa, agisci, vota. Sono tanti messaggi da trasferire con un solo manifesto. E il nostro successo è dovuto al fatto che sappiamo come ridurre l’informazione al livello più basso affinché le persone rispondano senza pensare”.
E’ questo l’aspetto più importante, ha insistito: “Il messaggio deve andare diritto allo stomaco, non al cervello e deve suscitare precise emozioni riferite alla paura, ai soldi, alla salute, alla sicurezza. Possiamo mirare proprio al nostro target e quindi parlare un linguaggio particolare che centra delle emozioni che queste persone hanno già. Non riusciamo a coinvolgere chi questi sentimenti non li ha. Nel caso specifico il nostro target ha bassi introiti, bassa scolarizzazione. Ma hanno lo stesso diritto di votare di quelli del Partito dei Verdi che leggono tre giornali e dieci riviste alla settimana”.
Tratto dal The New York Times
traduzione di Florence Castiglioni
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