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Quel gran lobbista di Obama!!!

06/03/2009

Nel suo ultimo discorso, il Presidente degli Stati Uniti ha rilanciato il dibattito sul ruolo delle lobby nei paesi democratici, che tocca da vicino la professione del relatore pubblico, non solo negli States.

di Toni Muzi Falconi


Per quanto si possa e si debba essere nervosi e ansiosi rispetto ai mille e uno provvedimenti della Presidenza Obama per le inevitabili (ma, per ora, imperscrutabili..) conseguenze che la loro attuazione produrrà sulla vita quotidiana di ciascuno di noi… che viva a Roma, Johannesburg, Delhi o Los Angeles (mai l’impatto della globalizzazione è stato così forte..), resto davvero ammirato e, lo confesso, terrorizzato dalla scelta del Presidente di giocare con determinazione la carta dell’attuazione del suo programma elettorale: un programma così di sinistra che nessun americano prima di lui aveva mai osato proporre, e che fa sembrare quelli dei partiti della sinistra europei di oggi come innocui placebo.


Nessuno si sarebbe stupito più di tanto se a causa della recessione, che certo non era fra le ipotesi più probabili quando si avviò la corsa elettorale, Obama avesse preferito soprassedere e attendere tempi migliori.


Al contrario, con una tempra da autentico giocatore e (spero… ma lo sapremo fra qualche anno) da autentico leader, ha deciso di approfittare di questa imprevista discontinuità per cogliere la straordinaria opportunità di innestare nelle misure anti-recessive (giuste, sbagliate… chissà?) provvedimenti socialdemocratici ancora più ambiziosi del welfare europeo del secondo dopoguerra.
Come dire… speriamo davvero che abbia visto giusto.


Una delle tante questioni che ci riguardano più da vicino come relatori pubblici ha a che fare con la sfida pubblica che ha lanciato nel suo discorso di Sabato 28 Febbraio contro le lobby.
Nulla di nuovo, poiché durante tutta la campagna elettorale sia Obama, sia McCain hanno scelto di usare la figura del lobbista come quella del nemico da combattere.


Retorica pura, direte voi, e avete ragione.


Ma la decisione, l’insistenza e la determinazione del discorso di Sabato scorso hanno gettato una luce nuova su quella figura retorica ben nota a noi relatori pubblici, rappresentata dalla necessità per il leader che incontra serie difficoltà di uscire dall’angolo scegliendosi e costruendosi un nemico ben identificabile al quale attribuire tutte le sacche di resistenza incontrate nel suo cammino attuativo.


Così il liberista repubblicano, il creazionista della middle america, l’operaio bianco o afroamericano il cui posto di lavoro è insediato dall’onda d’urto dei migranti messicani, il direttore della clinica privata, il docente di università privata … tutti questi a altri soggetti, che avrebbero mille e una ragione per essere scontenti dei uno dei tanti provvedimenti assunti dalla Casa Bianca in questo frenetico primo mese di Presidenza, il momento in cui danno voce per esprimere la loro protesta vengono tranquillamente accumulati nello stereotipo pubblico (spregevole, nelle intenzioni) del lobbista, quel professionista che si fa profumatamente pagare per mantenere lo status quo per conto dei grandi interessi economici, finanziari, pubblici e sociali: insomma tutto il male che impedisce agli americani di riprendersi dalla recessione.


L’intento è chiaro e la prova fa tremare i polsi.


Se fossi, ma non lo sono, un suo avversario mi darei da fare per dimostrare esattamente il contrario: e cioè che il più grande di tutti i lobbisti è proprio lui, Barack Obama.


Ogni tecnica retorica e discorsiva usata dal Presidente in questo mese è estratta da un ottimo manuale del giovane lobbista: dalla creazione di coalizioni (tutti contro il lobbista); alla argomentazione dell’interesse generale (la ripresa) del proprio particolare (l’attuazione del proprio programma elettorale).
Con uno stile che assomiglia molto a quel che accadeva fino all’anno scorso da noi per la finanziaria, Obama è riuscito, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, a infilare nel secondo stimolo economico una infinita quantità di provvedimenti che non centrano nulla con la ripresa.


Quello che preoccupa, ma è ben poca cosa rispetto alla dimensione degli avvenimenti, è che nessuno pare rilevare come la lobby sia anche uno strumento fondamentale a disposizione di chiunque (e non solo dei più forti) per indurre il cambiamento, e non solo per mantenere lo status quo.
Questo dovrebbe indurre noi che questa professione la pratichiamo a ricordarcene e ad insegnarlo agli altri.


E’ in qualche modo un dovere civico in una democrazia: non si ha cambiamento sociale se non si coinvolge la decisione pubblica e il coinvolgimento della decisione pubblica è efficace soltanto applicando le tecniche della lobby, che non è né buona né cattiva. È una tecnica.
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