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Quella negoziazione fra giornalista e intervistato: un commento di Franco Carlini

25/08/2004

Riprendendo l'editoriale di due settimane fa di Toni Muzi Falconi sulla prassi del relatore pubblico di rileggere le interviste rilasciate alla stampa dalle organizzazioni, interviene il giornalista Franco Carlini.

Ma perché noi giornalisti accettiamo-subiamo, la penosa imposizione descritta due settimane fa da Toni Muzi Falconi? Ovviamente non tutti accettano di farsi ricorreggere e rileggere l'intervista debitamente concordata e, come in tutte le negoziazioni, la spiegazione strutturale (quella di fondo, al di là delle soggettività dei singoli e delle singole organizzazioni e testate) sta nei rapporti di forza: se una delle due parti ha un interesse forte (o persino spasmodico), allora quella parte è oggettivamente predisposta al ricatto, ovvero a cedere alle pretese dell'altra. Dunque Luciano Benetton, per citare una persona amica e mai "ricattatoria", può non avere alcun particolare bisogno di essere da me intervistato, anzi può avere deciso di rallentare il ritmo delle sue apparizioni in pubblico. Io invece posso avere voglia-bisogno di valorizzare me stesso presso il mio giornale e il mio pubblico intervistando un personaggio importante e dunque potrei essere ben disposto a ingoiare le revisioni del testo che mi venissero richieste.Oppure può succedere il contrario: che il sindaco tale o talaltro sia tristemente consapevole che la sua popolarità è calante e che dunque valuti che un'intervista, anche non particolarmente amicale, sia meglio del silenzio. In tal caso sarà lui a cedere alla mia richiesta di uscire integrale, senza correzioni né modifiche a posteriori.Resta il fatto che la prassi è comunque indecorosa, sia per chi la chiede che per chi la subisce e che non fa bene al giornalismo né all'organizzazione. Corrisponde infatti a un livello di intimità-complicità tra due soggetti che di per sé hanno un ruolo (pubblico) distinto e tale distinzione di ruoli è un valore altrettanto pubblico, in una democrazia discorsiva e aperta.C'è poi un terzo soggetto nascosto che andrebbe tirato in ballo: editori e direttori che spesso fingono di non vedere e che magari, nei casi più disdicevoli, accettano o persino sollecitano prassi di questo tipo che sono meno gravi delle pubblicità occulte su cui di recente è intervento saggiamente anche l'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, ma che gli assomigliano penosamente.Questo credo di aver capito frequentando il sito Ferpi e le molteplici elaborazioni qui ospitate. Ma altrettanto credo di avere ben inteso che questi come altri comportamenti di fatto non sono correggibili per via di codici deontologici. Essi al massimo possono essere attivati nel caso di deviazioni gravi dalle norme che una comunità di professionisti si è data. Difficile e improponibile, se non in regimi di polizia, intervenire puntualmente sui gesti "micro", sulle sfumature, spesso condotte sul filo dell'ipocrisia o del non detto. La soluzione (ammesso che esista) sta probabilmente solo nella crescita della cultura e anche dell'orgoglio dei soggetti, di entrambi i soggetti. Occorre più autostima, persino un po' di sana presunzione, se non altro perché rispettando e facendosi rispettare, si accresce comunque la propria reputazione: dunque conviene, sia al business (dell'organizzazione) che alla carriera (del giornalista). E al tempo stesso sarà consigliabile anche un po' di distacco: un'intervista persa non è la fine del mondo, in un mestiere come quello dei giornalisti, dove ogni giorno è un altro giorno. Franco Carlini
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