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Racconti d’Europa

07/06/2013

Mettere a fuoco problematiche e prospettive della comunicazione dell’Europa e il rapporto tra opinione pubblica e istituzioni comunitarie. E’ stato il tema dibattuto al _Festival dell’Economia di Trento_ nel panel promosso dal fondatore di _Slow Communication, Andrea Ferrazzi._

Raccontare l’Europa è un affare complicato. In primo luogo perché l’idea di Europa in realtà ha molte sfaccettature, molte varianti, molte storie che si sovrappongono, intersecano, a volte si scontrano. C’è l’Europa ufficiale dell’eurocreatese, che i cittadini europei poco conoscono e frequentano, quella che racconta di una entità culturale omogenea, che è messa in discussione da troppi movimenti di sapore nazionalistico e dagli stessi governi degli Stati membri, a volte. E infine l’Europa che ha fatto della civiltà la sua bandiera, che ha scelto di fare da contenitore per popoli e tradizioni diverse nel nome di un’idea di governo democratica e illuminata.
Tre storie, tre narrazioni diverse, tre differenti idee di Europa, di “un’entità che ancora non ha una chiara identità” ben riassume Adriana Cerretelli, che quella entità la deve raccontare, ogni giorno, da Bruxelles, ai lettori de Il Sole 24 Ore.
Da dove nasce questa situazione? E quali strade per superarla? Al Festival dell’Economia di Trento, che si è svolto dal 30 maggio al 2 giugno, si è discusso questo tema. Presenti, oltre alla Cerretelli, Andrea Fontana e Alessandra Cosso dell’ Osservatorio Storytelling dell’Università di Pavia e Andrea Ferrazzi, fondatore di Slow Communication e promotore del panel, che aveva trattato questo argomento in due precedenti articoli per Ferpi e in un convegno promosso nell’ambito degli Stati Generali della Comunicazione Politica di Roma.
All’Università Luiss sono intervenuti Piervirgilio Dastoli (autore con Roberto Santaniello del bel libro, C’eravamo tanto amati, edito da Egea), Francesco Tufarelli (Capo di Gabinetto del Ministro per gli Affari Europei), Marinella Bellauti (Università di Torino), Roberto Race (seg. generale di Competere) e Raffaele Marchetti (Università Luiss). In entrambi gli eventi, l’obiettivo era di mettere a fuoco problematiche e prospettive della comunicazione dell’Europa e, quindi, del rapporto tra opinione pubblica e istituzioni comunitarie. Partendo da un dato: dal 2012 al 2013 il sostegno al processo di integrazione tra i cittadini è passato dal 60 al 45 per cento. Ma torniamo a Trento, dove l’attenzione si è concentrata sulle diverse “narrazioni” dell’Europa.
Raccontare l’Europa: dall’illuminismo agli illuminati – L’Europa ha nella sua eredità culturale un grande serbatoio narrativo che però non sembra far vivere. Negli ultimi anni infatti tutto il racconto europeo è stato gestito da un unico codice: l’eurocratese economico che ha portato a confondere l’euro con l’Europa.
Ma euro ed Europa sono la stessa cosa? Economicamente sì, culturalmente no, tanto che il rigetto dell’eurocratese ha sviluppato una contro-narrazione molto forte. L’Europa è frutto di grandi processi storici che hanno lasciato grandi tematiche nel discorso pubblico. In particolare due grandi racconti:
Il racconto “apollineo” – Questo ci presenta l’Europa come patria della civiltà occidentale. Come luogo in cui l’ellenismo, cullato dalla romanità e dalla cultura cristiana hanno dato origine all’Occidente.
Il racconto “illuminista” – Questo ci mostra l’Europa come organismo politico capace di prendersi cura di popoli diversi. Unione democratica di popoli e culture che in ogni caso si riconoscono nello storico motto: Liberté, Fraternité, Egalité (La luce dell’illumismo e della ragione kantiana).
Tale linea narrativa si sviluppata soprattutto negli ultimi anni, nel momento in cui è piano piano diventato chiaro che l’Europa non è l’euro. Quale “racconto” sceglieremo: la comune patria, l’organismo che culla, il dispositivo di egemonia economica cieca e impoverente? Forse tutte e tre, forse nessuna. Certo, il cammino è ancora lungo. E la risposta non scontata. Senza dubbio, le nostre identità di popoli europei vivono e vivranno all’interno dell’alternanza di questi tre racconti che vedranno determinarsi i nostri destini.
L’Europa che creiamo con le narrazioni che scegliamo – Perché di fatto, il modo che scegliamo di raccontarci come europei darà poi forma al nostro modo di rapportarci con l’idea di Europa. E questo, in ultima analisi, darà forma all’Europa stessa come entità, appunto. Scegliere un’identità non è semplice, tuttavia, soprattutto se sembra mancare un obiettivo comune, una missione, che unisca gli Stati europei al punto da far loro rinunciare a parte della propria “unicità”. Forse solo una piena consapevolezza del fatto che una dimensione come quella europea sia il minimo necessario per garantire la propria sopravvivenza come Stato nazionale in tempi di globalizzazione può fare percepire la necessità di andare oltre i propri interessi nazionali.
È necessario valorizzare le unicità e peculiarità delle tante diverse culture europee e stimolare al contempo atteggiamenti cooperativi in nome di un’identità “alta”. Un’idea di Europa che, insomma, unisca i fili narrativi di tutti i suoi componenti per intrecciarli in un disegno che sia da tutti riconosciuto come un riferimento.
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