Rappresentanza, rappresentatività e rilevanza dei pubblici influenti delle organizzazioni
23/09/2008
Ma chi decide chi sono gli stakeholder? Una interessante e più che mai attuale riflessione sulla questione della rappresentatività che Toni Muzi Falconi ci presenta da una prospettiva specificamente professionale.
1.
Molte vicende di questi giorni, nazionali e internazionali, inciampano scompostamente sulla questione della rappresentatività, testimoniando che la crescita della società liquida ha modificato anche questa variabile, assai rilevante per noi relatori pubblici:
° dal punto di vista ‘normativo’ (quale senso attribuirle, nella nostra analisi continua delle dinamiche sociali?);
° dal punto di vista ‘operativo’ (come valutare la rappresentatività dei diversi pubblici con i quali interloquiamo?).
2.
Voglio provare a ragionarci senza alcuna pretesa di dire cose particolarmente nuove, ma con lo spirito di chi riflette da una prospettiva specificamente professionale, e invita i suoi colleghi e interlocutori ad esercitarsi in una razionalizzazione che ci aiuti a lavorare con i piedi meglio posati su un terreno fragile, ove gli altri, compresi i nostri clienti e datori di lavoro, paiono inciampare con crescente frequenza.
3.
Alcuni, pochissimi, riferimenti alla cronaca per inquadrare questo ragionamento generale:
° il segretario della CGIL motiva la sua decisione sostenendo, fra l’altro, la non legittimità di una sua firma di accordo su una intesa, in assenza di una rappresentanza nella sua organizzazione di alcuni segmenti specifici di lavoratori (piloti e hostess nello specifico).
Soltanto qualche anno fa una simile dichiarazione, che smentisce e cancella una grandissima parte del negoziato sindacale dal dopoguerra ad oggi, sarebbe stata temeraria e impensabile.
Non è un caso che Pietro Ichino, lungi dall’unirsi alla gogna mediatica scatenata contro la Cgil, solleva però sul Corriere di domenica scorsa tutta la sopita, anche se sempre presente, issue della rappresentatività reale del sindacato.
Una motivazione, quella di Epifani, gravida di conseguenze sul futuro del negoziato sociale e sindacale di questo Paese….
° la decisione dell’Amministrazione Americana di intervenire d’urgenza, con somme senza precedenti storici, per ripianare i guai che hanno messo in ginocchio l’economia mondiale, prodotti da un sistema finanziario, da anni privo di regole e controlli.
Ma l’amministrazione americana chi rappresenta oggi? Di chi sono quei soldi?
Diciamo subito che è corretto sorvolare sul fatto che il Governo di quel Paese, in scadenza fra 50 giorni, ha il consenso di poco più del 20% dei suoi stessi cittadini (mi pare che il principio di responsabilità prevalga in questo caso rispetto al valore dei sondaggi…).
Ma quella decisione produce conseguenze, e non poche, su ciascuno di noi, che di certo a Novembre non ha diritto di voto.
Una inestricabile conseguenza della globalizzazione…..
° il micidiale e criminale assalto ai Ghanesi innocenti (fino a prova contraria…e anche se non fosse così…) a Gomorraland, e la conseguente esasperazione locale degli africani che, dopo aver chiesto scusa per la scomposta reazione, invocano l’intervento dello Stato (straordinario il reportage di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica di domenica )
Ma, in questo caso, chi rappresenta chi?
Sia pure a titolo personale, io non mi sento affatto rappresentato in questo assoluto vuoto spinto istituzionale e sono rimasto, ad esempio, emotivamente sconvolto dall’urlo di rabbia di Moni Ovadia dagli schermi televisivi durante la manifestazione milanese di Sabato: ma che ci sta succedendooooo?
Terrificante realtà e prospettiva di immediato futuro…
4.
In linea generale, come nelle altre democrazie occidentali, abbiamo ne dopoguerra sempre fatto rotta sul concetto che le elezioni dei nostri rappresentanti fossero lo strumento che li autorizzasse a prendere decisioni per nostro conto.
Questo non vale soltanto come cittadini, per il Parlamento e le altre Istituzioni pubbliche elettive; ma anche, come azionisti, per i Consigli di Amministrazione delle aziende quotate in Borsa.
Coerentemente, la base comune è stata una condivisione collettiva dei criteri di accesso all’elettorato attivo.
E’ chiaro che – pur pessima, come diceva Churchill – questa semplificazione si è finora dimostrata la migliore possibile.
Come sapete, da molti anni studiosi del diritto, sociologi, storici, politologi, e analisti delle organizzazioni discutono se non esistano altri percorsi decisionali capaci di assicurare maggiore rappresentanza e rappresentatività ai singoli.
5.
Dalla prospettiva di relatori pubblici – e arriviamo dunque al nostro specifico – la questione si ingarbuglia ancor di più nella babele interpretativa che investe la crescente abitudine delle organizzazioni, con le quali o per le quali lavoriamo, di avviare percorsi organizzati e consapevoli di ascolto (engagement, come si dice oggi) dei rispettivi pubblici influenti o, per dirla tutta e meglio, stakeholder e pubblici influenti (e adesso vediamo perché). Per la verità, almeno fin dagli anni sessanta, il corpo di conoscenze delle relazioni pubbliche indica l’environmental scanning e l’issue management come percorsi di ascolto della società e quindi anche dei pubblici delle organizzazioni, ma è anche vero che questi processi si sono, pur con dovute eccezioni, nella organizzazioni, più orientate al marketing e al modello delle relazioni pubbliche definito della persuasione scientifica
6.
Ricordo solo (per civetteria, lo confesso) che di questo tema della rappresentatività avevo già discusso(Ottobre 2005)su questo sito con Giovanni Moro, ricevendo in merito anche interessanti opinioni di Nicoletta Cerana e Gian Paolo Pinton che potete leggere qui.
7.
In sintesi:
se accettiamo il principio, autorevolmente confermato anche pochi giorni fa da James Grunig in una infuocata polemica scoppiata su http://www.prconversations.com/?p=471 che ha scritto:
“apprezzo la definizione di Post, Preston e Sachs (su Redefining the Corporation- Stanford University Press 2002) secondo cui stakeholder è chiunque detenga qualcosa che ritiene a rischio in conseguenza di un comportamento di una organizzazione…. Quindi, sono gli stakeholder che decidono di essere tali. L’organizzazione può anche ritenere di sapere chi sono i suoi stakeholder, ma non è quasi mai così. E’ compito delle relazioni pubbliche identificarli, dalla loro prospettiva, prima che creino conseguenze negative all’organizzazione come un danno alla reputazione, publicity negativa, litigiosità, regolazione o legislazione. Ed è anche loro compito quello di identificare quegli stakeholder che beneficiano di conseguenze positive….”
È chiaro che, contrariamente a quanto fa il 90% delle organizzazioni che conosco, gli stakeholder non li decide l’organizzazione ma sono questi che decidono di essere tali.
8.
Senza volerla fare troppo lunga, se impariamo a segmentare i nostri stakeholder e i nostri pubblici influenti, non solo potremo – assai meglio di quanto facciamo oggi – impiegare la nostra cassetta degli attrezzi relazionale e comunicativa con efficacia (intesa come rapporto fra costi e benefici). Soprattutto, potremo anche affrontare, con maggiore serietà e autorevolezza, la questione della loro rappresentatività/rappresentanza – applicando indicatori sia oggettivi (alcuni fra quelli, ad esempio, indicati da Giovanni Moro e riportati nell’articolo citato) che valutativi, in ordine alla rilevanza che decidiamo autonomamente (secondo il principio di responsabilità) di attribuire loro. Il nostro lavoro può quindi essere rendicontato con modalità con-vincenti, sia con gli stessi stakeholder ma, e soprattutto con le coalizioni dominanti delle organizzazioni per cui e con cui lavoriamo.
9.
Ed ecco lo schema di segmentazione che più di tutto mi convince:
- stakeholder attivi –
coloro che sono consapevoli delle finalità e degli obiettivi specifici perseguiti dall’organizzazione e sono interessati a interloquire con essa (pro o contro, anche situazionalmente);
- stakeholder potenziali –
coloro che non sono consapevoli e quindi non sono interessati a interloquire con essa, ma che la nostra valutazione di induce a ritenere che se fossero consapevoli, sarebbero interessati (pro o contro, anche situazionalmente;
- influenti sulle issue –
coloro che influenzano le variabili prioritarie che, a loro volta, ostacolano o facilitano il raggiungimento delle finalità e degli obiettivi perseguiti dall’organizzazione (pro o contro, anche situazionalmente);
- opinion leader e maker –
coloro che esercitano una influenza sugli orientamenti e sui comportamenti dei nostri interlocutori finali (pro o contro, anche situazionalemente);
- interlocutori finali –
I clienti, i cittadini, gli utenti…
10.
Non c’è alcun dubbio che esiste qualche sovrapposizione fra i componenti di questi cinque segmenti.
Ma è altrettanto indubbio che nessun segmento si sovrappone completamente all’altro.
E, soprattutto, che ciascuno richiede approcci relazionali e comunicativi diversi.
Toni Muzi Falconi