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Rete, Intelligenza artificiale e comunicazione. Un fil rouge per creare identità

04/08/2020

Michela de Faveri

La visione di Tatiana Coviello, HR manager e esperta di intelligenza artificiale, sui cambiamenti della comunicazione dopo l’esperienza del lockdown.

La testimonianza di Tatiana Coviello ha concluso giovedì 30 luglio la prima edizione dei CafFERPI, organizzata da Ferpi Triveneto. Venti gli appuntamenti mattutini, nati in tempo di isolamento da pandemia, che come una sferzata di caffeina da marzo a luglio, hanno contribuito a  raccogliere stimoli, riflessioni e approfondimenti sul nostro mestiere di comunicatori.

Tatiana Coviello, Esperta di strategie di sviluppo di HR, gestione del capitale umano e trasformazione digitale, autrice del libro “Nemmeno gli struzzi lo fanno più” ha concluso i CafFERPI parlando di intelligenza artificiale e delle sue incursioni (frequenti) nel mondo della comunicazione. Questo è quanto è emerso.

Tatiana, secondo te come ci ha cambiati questo periodo di isolamento?

Tre mesi di isolamento fisico e di massiva apertura al digitale hanno cambiato la nostra percezione di normalità. Abbiamo vissuto un ampliamento della realtà, o meglio, dei diversi livelli di realtà. Attraverso l’uso continuo dell’universo digitale, (quasi unico mezzo di contatto con il mondo esterno per tre mesi), la nostra realtà di riferimento ha conosciuto nuovi confini amplificandosi ed espandendosi da una dimensione reale concreta, a quella meno palpabile ma onnipresente della rete, affermandosi come un “non luogo” dal peso molto preponderante in vari ambiti della nostra vita.

Qual è la relazione tra l’identità dell’individuo fuori dalla rete e nella rete?

Qui vi rispondo raccontandovi la lezione di Simba. Simba è un masai che ho conosciuto a Zanzibar. Simba non sa esattamente quanti anni ha, circa 30, e non conosce il suo cognome. Nella sua cultura, quando un individuo nasce non lo si iscrive nei registri anagrafici, perché quando l’individuo nasce sa che “non è nessuno ma sa che vive”.
Il racconto di Simba mi ha profondamente toccato e fatto riflettere sul concetto di identità. Mi sono domandata se effettivamente sia un’iscrizione all’anagrafe che definisce la nostra identità o se piuttosto lo siano le nostre azioni, il nostro pensiero, i contatti e le persone che incontriamo che tutti insieme la costruiscono…
A questa riflessione si è aggiunta la quotidiana presenza di internet e l’essere costantemente sui social media, vissuti come un oltre-mondo. Il mondo reale fatto di giorni e persone e l’oltre-mondo virtuale della rete si uniscono e diventano un tutt’uno. La nostra identità è fatta anche di quello che siamo in rete. L’abbuffata di digitale ci ha fatto vivere un’esperienza diversa della nostra identità, facendocela percepire come un’identità aumentata. Noi siamo anche ciò che siamo in rete.

A molte persone è venuta la Sindrome del Nido! Così in psicologia si definisce l’insicurezza mista a paura e confusione che si percepisce nell’uscire di casa incontrare gente e agire in modo diverso da cui si era abituati a vivere. Cosa ne pensi?

Mesi di isolamento, di smart working, di relazioni solo virtuali in rete o al massimo telefoniche, hanno cambiato la percezione del nostro benessere e delle modalità comportamentali. Il luogo in cui siamo stati rinchiusi ha ridefinito la mappa dei nostri bisogni contestualizzando il luogo del benessere (o l’assenza di possibili traumi) all’interno di spazi domestici o virtuali. Gli psicologi la chiamano “Sindrome del Nido o capanna” ed è largamente diffusa soprattutto tra i ragazzi adolescenti che faticano a riprendere normali contatti fisici con i loro simili. E’ invece fondamentale riprendere i contatti personali e alimentare le relazioni tra individui per continuare a sviluppare la nostra intelligenza emotiva e non restare esclusivamente nella dimensione online.

Cosa suggerisci per riprendere contatto la propria identità?

Viaggiare è un modo che io uso per conoscere e aumentare la mia identità. Attraverso il viaggio entro in contatto con persone diverse e il viaggio allarga i suoi confini ai  luoghi e alle persone.
Io non ho smesso di viaggiare nemmeno durante il lockdown anzi. Non potendo esplorare fisicamente luoghi nuovi, l’ho fatto attraverso il digitale. Il tempo sospeso in casa mi ha permesso di visitare posti interessantissimi accompagnata da guide digitali a costi limitatissimi.
Anche il concetto di globalizzazione, attraverso le restrizioni della pandemia è mutato, non più tendente all’estremo distante bensì convergente a scoprire, attraverso la rete, le risorse a noi vicine, dando luce a borghi, opere d’arte, e città vicine a noi e permettendoci di aggiungere tasselli della nostra identità andando all’interno del nostro paese e della nostra cultura.

Dopo l’esperienza di responsabile di HR e comunicazione hai deciso di prendere una direzione diversa: ce ne vuoi parlare?

A partire da settembre, una nuova esperienza mi attende, partirò per un anno con mio figlio dodicenne per un viaggio professionale nel settore informatico e aerospaziale come Chief People and Communication Officer in una holding di cui ancora non svelo il nome. E’ un ruolo particolarmente interessante perché nella posizione che andrò a ricoprire si uniscono gli ambiti della comunicazione (comunicazione interna ed esterna) e la gestione del personale.
Sono convinta che la comunicazione passi per prima cosa attraverso i collaboratori interni e che tra comunicazione e gestione del personale ci debba essere un solido allineamento.
La mia nuova avventura si svolgerà in una holding del settore high-tech e aerospace. Qui darò vita ad un esperimento di comunicazione e innovativa gestione del personale attraverso i social.  Il mio progetto, accettato come sfida dall’AD di questa azienda, è raccontare il mio inserimento in azienda e i miei viaggi con un racconto sui social media. Attraverso i miei racconti emergerà l’azienda.
Due sono gli obiettivi che mi sono posta con questo progetto:
Il primo è di fare Employer Branding. Con i miei racconti voglio coinvolgere i tantissimi collaboratori che non si conoscono (ci sono più di mille dipendenti provenienti da aziende diverse), voglio creare le condizioni affinché si conoscano creando reti relazionali e diventino i primi fondamentali follower della società per cui lavorano.
Il secondo obiettivo è attrarre giovani figure professionali, come ingegneri e tecnici che attraverso i racconti che leggeranno sui miei social, scoprano il core business di questa holding ne siano attratti e tra loro, io possa individuare figure di talento.

Da quello che racconti emerge che è fondamentale curare la propria presenza nella rete. Come secondo te, deve essere gestita la presenza in rete?

Con modalità di comunicazione immediata, e semplice. Perché l’identità personale e l’identità digitale alla fine coincidono.
Ritengo che le figure professionali di rilievo non possano più permettersi di essere assenti dalla rete, anzi a loro spetta il compito di presenziarla con contenuti interessanti, ispirativi, costruttivi e curati in prima persona.  
A mio avviso l’immagine che di noi creiamo in rete, dovrebbe essere autentica e mai artificiosa ricordandoci che quanto di noi postiamo, sarà visibile per sempre. Attraverso i nostri contenuti creiamo un rapporto fiduciario con il nostro pubblico.  Dell’immagine che di noi creiamo nella rete ne beneficia (o ne subisce le conseguenze) anche la nostra azienda. Quindi comunicare contenuti di valore è fondamentale.
Ai comunicatori spetta il compito importante di spiegare al management aziendale questi concetti in modo che comprendano  che il modo in cui comunicano sé stessi ha una ricaduta diretta sulla reputazione dell’azienda per cui lavorano.

Quali secondo te i social sui quali essere presenti in rete?

Per me  i social sui quali essere in questo momento sono, LinkedIn, Facebook e Instagram ognuno con i propri  linguaggi diversi per raggiungere il target di riferimento. Suggerisco però di crearsi un Personal Learning Method e carpire da chi seguiamo nei vari social, metodi, stimoli ed ispirazioni ed alimentare quotidianamente di contenuti i nostri canali social sulla rete.

Tatiana, secondo te era meglio la realtà prima del lockdown o questa nuova dimensione?

Non esiste una realtà migliore dell’altra ma dobbiamo essere consapevoli che il modo in cui ci rapportavamo alla realtà prima del lockdown si è concluso, ne è iniziato uno nuovo.
Ma è fantastico perché abbiamo davanti a noi una meravigliosa opportunità che possiamo costruire e gestire con positività e fiducia e soprattutto con una visione ottimistica del futuro.

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