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Riposizionare la porchetta

03/09/2010

Un'analisi cinica e disincantata di un fenomeno sempre più diffuso: la richiesta di una "nuova immagine" e di comunicazione da parte di categorie spesso lontane dalla realtà delle relazioni pubbliche. Di _Pierluigi Battista._

di Pierluigi Battista
Ho sentito un venditore ambulante di generi alimentari di conforto, uno di quelli che sui loro furgoncini verandati a Roma vendono panini con la porchetta, patatine fritte e bottigliette da mezzo litro d’acqua minerale al prezzo di un litro, dire che la loro categoria ha urgente bisogno di un “riposizionamento di immagine”. Ma come parlano, chi gli ha messo in testa di “riposizionarsi”? E qual è la nuova immagine che vorrebbero acquisire, scalzando quella vecchia e consunta che gli si è appiccicata addosso?
Il nuovo mito è la “comunicazione”? Modo moderno e di tendenza per dire che occorre darsi una riverniciata, un volto meno sgradevole e squalificato? Per questo cresce a dismisura l’esercito dei pr, degli addetti all’immagine, dei responsabili della comunicazione, degli uffici stampa, degli organizzatori degli immancabili “eventi”.
Ci sono quelli che vengono assunti dagli stabilimenti balneari perché i loro titolari sono stufi di passare per meri allestitori estivi di sdraio e ombrelloni, ma vogliono essere considerati come paladini del turismo eco-sostenibile. I ristoratori dei posti più sperduti, un tempo portabandiera dei prodotti tipici locali, adesso esibiscono cartelli, mostre, eventi, fiere, happening per valorizzare la cultura del cibo come complementare al cibo della cultura” (cronaca vera) e quindi sponsorizzano premi letterari promettendo la presenza di star della letteratura alle prese con il vinello della zona, il formaggio delle nostre parti, la pasta come soltanto qui sappiamo fare, con tutta la “cultura del cibo” di cui siamo provvisti.
I commercianti sono stufi di essere considerati come soggetti interessati soltanto al volgare commercio, perciò assoldano in ogni angolo di Italia persone esperte in comunicazione allo scopo di mostrare la loro attività come parte di una più generale opera di “riqualificazione urbana e paesaggistica” (anche questa cronaca vera). Anche loro alle prese con un drammatico passaggio: il “riposizionamento di immagine”. D’estate, catturati dal miraggio di un premio seppur piccolo, di un soggiorno in località amena tutto spesato, transitano per l’Italia carovane di scrittori e giornalisti impegnati ad intrattener un folto pubblico in “eventi” dai titoli fantasiosi e finanziati da categorie (osti, veterinari, costruttori, società di manutenzione degli impianti di riscaldamento). Stanche della loro immagine tradizionale. “fare comunicazione” diventa più che un imperativo, un marchio. Un simbolo di stato. Il mezzo per sentirsi parte di una società in cui darsi un’immagine più accattivante di ciò che si è effettivamente è una chance molto importante. Sempre più importante. Anche la comunicazione deve “riposizionarsi”.
Tratto da “Style Magazine*

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