Rp e giornalismo: quale futuro?
31/07/2014
Entro dieci o massimo vent’anni la metà dell’occupazione totale sarebbe a rischio. Il contributo emotivo di intelligenza e sensibilità umane è per ora imprescindibile e questo consentirebbe a comunicazione ed informazione di sopravvivere, evolvendosi. Secondo _Roberto Sommella,_ autore di _L’Euro è di tutti,_ occorre interrogarsi su progetti di rilancio dello sviluppo che puntino al lavoro. Il commento di _Gianfrancesco Rizzuti._
di Gianfrancesco Rizzuti
Se non è una “smoking gun”, poco ci manca. Chiamiamoli, prudentemente, nuovi indizi di un rapporto incestuoso. Ma a questo punto sono troppi, gravi, precisi, concordanti, per non fare una prova. Come in ogni buon “giallo”, li sveleremo però alla fine. Andiamo con ordine.
Tireranno un sospiro di sollievo la dottoressa TP, che è la mia dentista. E anche madame FC, insegnante alle elementari, e mister AP, allenatore della squadra di volley della scuoletta di quartiere. E pure il dottor GM, il fisioterapista che cerca di alleviarmi il dolore al ginocchio. 2024, forse 2034. Non sono numeri di una lotteria, ma date entro le quali quasi la metà (il 47%) dell’occupazione totale sarebbe a rischio. In altri termini, una lunga serie di lavori potrebbe letteralmente sparire o essere comunque sostituita da un computer. Il dato è contenuto in The future of employment: how susceptible are jobs to computarisation?, studio del settembre 2013 di due ricercatori di Oxford, Carl Benedict Frey e Michael A. Osborne. Lo spunto è ripreso da un articolo dell’Economist di inizio anno (The onrushing wave), e soprattutto da Roberto Sommella, nel suo ultimo L’euro è di tutti (Fioriti Editore, prefazione di Matteo Renzi, scaricabile su www.europaquotidiano.it).
La probabilità che per effetto della impetuosa rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni scompaiano professioni come quella dei dentisti, allenatori, maestri elementari, fisioterapisti è vicina allo zero. Il contributo emotivo di intelligenza e sensibilità umane è di fatto per ora imprescindibile. In un ranking di ben 702 mestieri censiti dai due studiosi, tra quelli destinati alla “computerizzazione” cioè la sostituzione “ad opera di un pc”, questi citati sono in coda alla black list. Cattive notizie, invece, tra gli altri, per i broker immobiliari, per chi ripara orologi, o per chi si occupa di telemarketing. In quest’ultimo caso la probabilità di essere cannibalizzati dalla tecnologia, è 0,99 in una scala da 0 a 1. Una provocazione? Chissà. Certo è che – come ricorda Sommella, Direttore delle Relazioni Esterne dell’Antitrust, ma anche giornalista di spessore – occorre interrogarsi su progetti di rilancio dello sviluppo che puntino al lavoro.
In società dinamiche come quella americana, al rischio di sparizione di intere categorie lavorative si è associata un’opportunità: lì, come si rileva dal recente The new geography of jobs dell’economista italiano Enrico Moretti, l’impatto della diffusione della tecnologia è stato colto nei suoi aspetti positivi e ha permesso di creare – e non solo sostituire – posizioni lavorative. In Europa, per non dire in Italia il rischio è che dei mutamenti tecnologici si colga solo il lato “luddista”, la “pars destruens” e non anche quella “construens” delle reti, delle chance e delle nuove dinamiche del lavoro, specialmente delle giovani generazioni, i digital native. E’ incoraggiante, comunque, che il presidente designato della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, abbia presentato il suo programma citando i 250 miliardi di crescita addizionale che “un singolo mercato digitale europeo” potrà generare durante il suo mandato alla guida dell’Esecutivo europeo.
Tutto qui? No. E arriviamo agli indizi gravi, precisi e concordanti. Il riferimento è a quello che ormai è definito “churnalism” tra relatori pubblici e giornalisti. Nello studio degli economisti di Oxford la campana dell’ultimo giro ancora non sembra suonare attorno alla comunicazione e alle Rp. Reporters e correspondents resteranno vivi, per i prossimi anni, così come i PR specialists e managers, occupando posizioni con un indice di sostituibilità molto basso. Internet, insomma, e i continui mutamenti tecnologici che costringono ad aggiornamenti permanenti della propria professionalità non li-ci fagociteranno facilmente, ma li-ci spingono sempre di più a cambiare radicalmente il modo di lavorare. Tuttavia il fatto che Rp e stampa siano insieme, nel bene e nel male, nella vita (e non nella morte, a quanto pare), non ci ricorda qualcosa? Non è forse un ulteriore, pesante indizio del “churnalism”, del “simul stabunt simul cadent” e del rapporto “gelatinoso”, “incestuoso”, appunto, che vivono sempre di più a livello globale le due professioni? Aspettiamo la conclusione del processo, comunque. E quindi ne riparliamo tra 20 anni, o trenta – per chi ci sarà – con “l’ultima copia del NY Times”…