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Rp Lab - Dove va la professione dopo le amministrative?

09/05/2012

La politica ha un volto sempre più sfuocato davanti agli occhi dei cittadini che, complici Internet e i social network, stanno imparando molto in fretta le regole dell’attivismo sociale fai da te. Tutto cambia, afferma _Gabriele Cazzulini_ ma dove vanno le relazioni pubbliche?

di Gabriele Cazzulini
Le notizie sono due. La prima è che la politica non c’entra. Sembra di dire una sciocchezza. Ma in questo voto amministrativo c’è molto di più della politica. Almeno di quella politica a cui eravamo abituati fino a pochi giorni fa. La lettura politica dei risultati di questa tornata di elezioni amministrative, e degli infuocati ballottaggi che seguiranno, è andata in corto circuito e come un animale ferito non fa che rantolare e contorcersi su se stessa. Scusate il paragone, ma è la situazione a richiederlo.
Infatti la seconda notizia è molto più rilevante. Dobbiamo trovare nuovi riferimenti. Sia teorici, sia pratici. Specialmente chi lavora nel settore della relazioni pubbliche. Perchè? Il dato di fatto, che forse non è stato messo a fuoco in tutta la sua portata, è che siamo di fronte ad uno sgretolamento dei punti fissi validi fino a ieri. Ho scritto “relazioni pubbliche” e non politica o consulenza politica, perchè qui la nuova realtà è che abbiamo una plateale invasione di campo della società nella politica. Non è, come si scrive e si legge sui manuali, la “società civile” come insieme, anche un pò disorganizzato e improvvisato, di associazioni che placidamente chiedono un dialogo alla pari con la sfera politica. No. Oggi la società è una folla di singoli cittadini che hanno imparato ad alzare la voce, a protestare, a mobilitarsi, fregandosene della mediazione partitica, per battere i pugni sul tavolo della politica. Hanno frustrazioni, ansie, problemi e un’inconfessabile paura del futuro. Nessuno con un’età superiore ai sei anni, crede che Mario Monti sia il futuro di questo paese. Quelli che lo credono devono avere un’età superiore ai novant’anni. Quindi sono già fuori gioco. Allora, che si fa? I partiti non fanno fatto nulla. E anche dove vincono, non vincono grazie alla loro funzione. Vincono con candidati di spicco, capaci di pensare e agire senza benedizione delle segreterie di partito. E’ palese che questa invasione sociale nella politica richieda un nuovo quadro teorico e una nuova cassetta degli attrezzi per fare comunicazione e relazioni pubbliche.
C’è anche un dato critico: la gente, come scritto sopra, persino in Italia, sta imparando il fai-da-te dell’attivismo sociale. Anche in forme elementari, troglodite, imparano a diffondere i loro messaggi. Saranno rozzi, ma qualcosa funziona. Se questo diventa il trend, che fanno i professionisti delle relazioni pubbliche? Si sciolgono il nodo della cravatta, si slacciano i polsini e iniziano ad alzare cartelli di protesta come succede un pò ovunque nelle piazze italiane? Ritorno, purtroppo, con la domanda sul futuro: dove stiamo andando? La politica, come nel biennio 1992-93, sta guardando colare a picco le sue strutture con la colonna sonora dell’orchestrina del Titanic. Bye bye partiti, coalizioni, leaders, slogan triti e ritriti. Pure l’antipolitica rischia di maturare così in fretta da aver bisogno di un progetto politico. Sennò come governano? A colpi di barzellette e proteste? Ma a differenza del 1992 non si sente voglia del nuovo in politica.
Si sente la voglia di andare via dalla politica. Punto e basta. Non mi importa, non ora, se questo sia un bene o un male. Mi interessa molto invece capire come orientare le nostre professionalità in questo momento cruciale. Di fronte a questo panorama destrutturato, ma non ancora ristrutturato, non ho risposte. Solo tante domande e un’unica certezza: cambia tutto. E noi?

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