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Rp Lab - I social media in cerca di empatia

24/10/2012

Prosegue l'analisi di _Gabriele Cazzulini_ sul valore dell'empatia nella comunicazione politica delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. I contenuti hanno ormai nuovi filtri, vengono scelti sulla base delle emozioni che suscitano. Un concetto di fondamentale importanza anche per le Relazioni pubbliche.

Prosegue qui il ragionamento sul ruolo e il valore dell’empatia individuato nella comunicazione politica a proposito delle elezioni presidenziali in America. La contesa elettorale sta dimostrando che al di là dei programmi e dei budget contrapposti, la variabile decisiva, fino a questo momento, diventa la capacità dei due sfidanti, Obama e Romney, di capire e farsi capire dagli elettori su un piano fortemente emotivo. “Feel my pain, Mr. President”: il grido di dolore dell’America in crisi tocca il cuore del presidente, che risponde a sua volta parlando al cuore del suo popolo. Ne discende la tesi per cui l’empatia diventa un ponte comunicativo per ricollegare società e politica, una società fiaccata dalla crisi e dalla sfiducia nella politica, e una politica polarizzata sulla caccia agli indecisi. Polito logicamente per vincere uno “swing state”, uno stato incerto elettoralmente, l’empatia diventa una risorsa molto più potente che il martellamento con gli spot negativi, per esempio.
Ora il ragionamento diventa ancora più utile se trasferito sul piano più ampio dei social media. Ogni sessanta secondi vengono pubblicati 1500 nuovi post sui blog, arrivano 600 nuovi video su YouTube, 6600 foto sono caricate su Flickr e su Facebook la gente pubblica 795000 aggiornamenti di stato. Tutto ciò in un minuto. Come scrive con arguzia Brian Solis: non abbiamo un problema di information overload, ma sono i nostri filtri che sono saltati.
I classici filtri “testuali” non bastano più ad arginare questa pluralità di contenuti in continua espansione. Non c’è bisogno di più filtri, bensì di nuovi filtri. Come l’empatia: scelgo un contenuto perché cattura la mia attenzione con un’emozione diretta e immediata. Quindi si stabilisce un’empatia e all’improvviso quel contenuto è già stato interiorizzato. I social media hanno bisogno di contenuti “hot”, con tutto il rischio che ciò generi un’inflazione di “junk” content di bassa lega, un po’ come capita oggi con gran parte della tv generalista.
Non è un caso che i contenuti dei social media siano sempre più visuali. L’immagine ha un potenziale emotivo nettamente superiore alle parole. Infatti le immagini sono uno dei contenuti più “divorati” sui social media. Ovviamente non sono foto qualunque. Sono opere grafiche costruite col preciso scopo di colpire l’emotività e di scatenare una reazione, un feedback, fondato sull’emotività piuttosto che sulla razionalità. Se prima il rischio era quello della bassa qualità dei contenuti “hot”, ora c’è da aggiungere che usare le emozioni come leva per generare attenzione rischia di sacrificare tutto quanto è razionale e dialogico. L’emozione non cerca dialogo o confronto: l’emozione va vissuta e fatta rivivere.
Con questo ragionamento focalizzato sulle relazioni pubbliche, anche qui gli spunti non mancano. Come si fa a creare pubblici di riferimento usando il lato emotivo come leva principale? Come si impostano le social media relations quando un marchio, un’azienda, un prodotto si trovano a dover comunicare in un quadro più emotivo che informativo? Non è una sfida da poco. Eppure è già realtà. Pinterest e gli altri social media visual, come Instagram, fanno della comunicazione visuale il supporto principale dell’emotività. Al punto tale da spingersi ben oltre il loro perimetro formale, lanciandosi in narrazioni “out of the box” e “spin off”, a caccia di “engagement” e curiosità, passioni, partecipazione – in chiave emotiva.
Nella selva sempre più fitta e oscura dei social media, c’è sempre più bisogno di un faro che illumini questi fasci di relazioni sociali. Le emozioni sono il canale più antico per comunicare. Infatti la componente visuale dei social media l’ha capito benissimo. E’ la vecchia storia: guardiamoci negli occhi per riuscire a capirci. “Sentiamoci” reciprocamente e iniziamo a comunicare: i social media hanno bisogno di empatia. Chi c’è dietro un profilo lavorativo o un curriculum online? Come faccio a fidarmi, specialmente in campo lavorativo? Devo dipendere da un thread chilometrico di messaggi privati?
W l’empatia! Però bisogna ora imparare a fare empatia senza rinunciare ad ogni altro contenuto. Altrimenti i social media si riducono solo ad una “corrispondenza di amorosi sensi”. Andava bene la tempo di Foscolo. Ora l’empatia può diventare il nuovo canale di mediazione per capirci tra di noi e poi iniziare a comunicare, sul serio, senza più barriere tra online e offline.

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