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Sassoli de Bianchi: per tempi difficili, voci forti

10/07/2012

“Il 2012, per i consumi, è l'anno piu' difficile dal dopoguerra e anche la pubblicita' mostra un un calo a due cifre". Lo ha affermato _Lorenzo Sassoli de Bianchi,_ presidente UPA, durante il Summit della Comunicazione che si è tenuto nei giorni scorsi a Milano. Ma il 2013 potrebbe essere l'anno della svolta, che metterà in luce “l’epocale rivoluzione, anche culturale, in corso, che sta modificando le abitudini di consumatori, imprese e mondo della comunicazione”.

di Lorenzo Sassoli de Bianchi
In tempi difficili occorrono pensieri e voci forti. Ho pensato allora di iniziare con le parole dell’artista italiana oggi più popolare al mondo. E’ una voce potente, viene da un piccolo borgo dell’Emilia e Romagna. Regione che, messa in questi mesi a durissima prova, non si arrende e reagisce con esemplare coraggio. E’ la voce di Laura Pausini.
Benvenuto a chi sorride, a chi lancia sfide,
a chi scambia i suoi consigli con i tuoi.
Benvenuto a chi non cambierà mai
E a chi è qui per cambiare
Benvenuto a chi si trucca in macchina,
a un minuto pieno di sorprese
e benvenuto sia questo lungo inverno,
se mai ci aiuta a crescere.
Benvenuto a chi ha coraggio e a chi ancora non ce l’ha.
Benvenuto a tutto quello che verrà.
Liberamente tratto da Benvenuto di Laura Pausini
Benvenuto a questo 4 luglio il giorno in cui, nel 1950, l’Europa ha lanciato il suo primo vagito con la nascita di Radio Free Europe e il giorno in cui, nel 1971, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti ha preso forma digitale con il primo eBook della seconda era Gutenberg.
Benvenuto a voi che rappresentate il 90% degli investimenti in comunicazione, circa sedici miliardi di neuroni che innervano l’intero sistema italiano dei media e benvenuto a tutti voi che ci aiutate a rendere più efficaci i nostri investimenti.
E’ dimostrato che la pubblicità attiva il 15% del nostro Pil. Investimenti pubblicitari che si irradiano verso mutevoli orizzonti.
Siamo oggi in grado di misurare l’accesso a ben dieci device: dalla televisione che si muove nel web, al web che contamina la tv, al settimanale che leggiamo sul tablet e calcoliamo le audience di quindici piattaforme: dai quotidiani on line, alla tv digitale.
Stiamo elaborando l’algoritmo più complesso che mai sia stato pensato nella pianificazione degli investimenti pubblicitari: dieci alla quindicesima, come dire: la comunicazione al tempo di una frammentazione senza precedenti.
Il compito è arduo: si tratta di calcolare la frammentazione del tempo sociale, dobbiamo seguire la dispersione di quelle che una volta erano le “grandi platee”, mettendo a punto strumenti sofisticati con cui governare al meglio un caos a cui ci stiamo affezionando.
Osserviamo, affascinati e preoccupati, come il rapporto tra media e investimenti pubblicitari sia diventato un universo frastagliato fatto di multicanalità, interconnessioni, giochi collettivi e collisioni. Il nostro obiettivo resta chiaro: disperdere il meno possibile le nostre risorse.
Peccato che un incubo stia travolgendo la classe media, cioè gran parte dei nostri consumatori. Le prove della crisi sono ovunque: il sistema economico, come in ogni recessione, è preda di corsari e il sistema finanziario pare manovrato da appetiti rapaci. La tempesta perfetta ha mortificato ogni teoria economica spazzando via miliardi di euro di pensioni e risparmi, risorse svanite nel nulla che nessuno può dire quando saranno ricreate.
Non possiamo che resistere mutando di continuo la nostra stessa ragione di essere. Al tempo stesso non possiamo permettere che ci si specchi troppo a lungo nell’austerità. Troppo rigore può essere una terapia che, invece di guarire, intossica.
Non possiamo permettere che pochi irresponsabili speculino sulla polizza antincendio della nostra casa solo perché hanno sentito un minimo odore di bruciato. Non possiamo più permettere che oscuri gnomi mettano a rischio i nostri investimenti e i nostri risparmi.
Oltre la crisi si va rompendo schemi usurati, riannodandoli con il filo dell’innovazione, perché il futuro non sarà certo una prosecuzione lineare del presente.
Viviamo in un cambio di civiltà: è finita un’epoca ed è iniziata l’epopea della crisi. Dalla Cina arrivano fiori finti, ombrellini scadenti e scalate azionarie. Perché non importare invece una parte del loro pensiero? Sforziamoci, come fanno i cinesi, di cogliere i segnali deboli, di ascoltare gli impulsi più lontani e, prima che questi siano manifesti, agire. Altrimenti, di questo passo, il ceto medio rischia di polverizzarsi innescando un pericoloso domino sociale.
Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a ripetere gli stessi gesti sperando in un risultato diverso: la crisi deve essere un’occasione per sperimentare, per maturare nuove scoperte ed elaborare nuove strategie.
Per quel che ci riguarda, come investitori pubblicitari e quindi come aziende esposte alla concorrenza, non ci resta che adottare il motto delle streghe del Macbeth: “rifletti, riorganizza, rilancia”. E quando hai un prodotto che innova l’azione di acquisto, chiama una buona agenzia di pubblicità e se sono bravi risponderanno come le streghe del Macbeth: “apparite, apparite, apparite”.
Per superare le difficoltà dobbiamo ritrovare l’enzima dell’entusiasmo. La crescita per chi investe in pubblicità, cioè nella fiducia verso il futuro, non è il paravento dei teorici del declino: è azione immediata, efficace, creativa. Allora perché non trasferire una parte degli sterili incentivi dispersi in comparti non strategici nella nascita di nuove imprese pensate e guidate da giovani che operano in settori all’avanguardia? Per vederne un esempio non andate troppo lontano, accendete il vostro iPhone, scaricate una applicazione e quando la vibrazione diventa informazione avrete scoperto uno spettacolare prodotto dell’ingegno italiano: i sensori inerziali della ST di Agrate Brianza. Stanno conquistando il mondo dell’elettronica.
La formazione dei nostri giovani comunicatori è, purtroppo, ostaggio di una pletora di facoltà della comunicazione. L’azione del comunicare nel mondo complesso così descritto, può diventare eccellente anche nelle solide mani di un brillante matematico, di un filosofo, di un chimico, di un poeta solitario o di un manager eretico.
Imprese, media e consumatori sono tutti impegnati nella ricerca del proprio “code breaker”, cioè nella rottura del codice attuale e nella sua virtuosa ricomposizione.
Le aziende che investono in pubblicità stanno imparando a convivere con il paradigma “fare più con meno”, ogni grp diventa prezioso e determinante sarà lo scarto nel linguaggio: il protagonista non sia più l’eccesso di prodotto che allontana lo sguardo, ma l’azione che coinvolge il consumatore.
Nelle campagne pubblicitarie di Air France, Vodafone e Citroën C3 il cielo resta il posto più bello della terra e non si vede neppure un aereo, dal cielo piovono iPad invece che tariffe e un’automobile diventa un gioco onomatopeico che ci riporta all’infanzia. Giochiamo per farci raccontare una storia, non solo per misurare noi stessi.
Sono i segnali di una svolta verso un modo di comunicare che prende le distanze dalla materialità e si focalizza sull’azione e sulla narrazione.
Chi produce articoli per l’infanzia starà già progettando un’applicazione per insegnare ai papà come tenere tra le braccia un bambino senza anchilosarsi. I produttori di malto hanno il segreto: non è importante quanta sete abbia il consumatore, ma quanto la tua birra riesca ad interpretare lo spirito di un Paese e ci sono pochi Paesi che hanno domeniche come quelle descritte dal recente spot della Peroni.
Per creare un prodotto serve la saggezza del contadino stanziale, per comunicarlo la fantasia del marinaio curioso e il cane dell’esperienza vissuta viene fatto scodinzolare dalla coda, su Facebook.
Il segreto di una buona narrazione sta negli ingredienti e nella capacità di combinarli come aveva ben raccontato Mogol in Rossetto e cioccolato.
Ci vuole passione
molta pazienza
sciroppo di lampone
e un filo di incoscienza
ci vuole farina del proprio sacco
sensualità latina
e un minimo distacco
si fa così
rossetto e cioccolato
che non mangiarli sarebbe un peccato
si fa così
si cuoce a fuoco lento
mescolando con sentimento
da Rossetto e Cioccolato di Mogol – Lavezzi
Insomma, ci vuol passione per trovare nuove modalità espressive che raccontino il lungo oggi del consumatore, quella labile attenzione da catturare nel labirinto dei dieci device e delle quindici piattaforme.
Quali opportunità nasconde uno scenario simile? Una suggestione c’è: _essere granulari. _
Un termine alchemico, una materia per cercatori d’oro tutti alle prese con lo stesso filone: quando sullo schermo televisivo invece dei canali apparirà il menu di un tablet? In quel giorno non lontano l’inoculazione sarà avvenuta.
Essere granulari perché siamo consapevoli che accessi, applicazioni e software sono la continuazione della battaglia dei contenuti, con altri mezzi. Nessun progresso tecnologico, per quanto potente sia, potrà cancellare la calda voce di Ornella Vanoni.
Quando questa rivoluzione sarà compiuta, manderà il verbo consumare sul viale del tramonto, sostituito dall’azione del condividere e dall’ambizione del partecipare.
Già otto milioni di consumatori affidano le loro decisioni di acquisto alle opinioni che circolano sui social network e sui blog.
Il consumatore, il lettore, lo spettatore, il navigatore e infine il nostro eroe che lotta contro i mulini a vento dell’austerità, va avvolto di nuova vitalità. Bisogna recuperare lo spirito del più grande eroe Barocco: Don Chisciotte, il quale opera una rottura contro la presunzione, con un linguaggio denso di euforica vitalità e, come nei migliori videogiochi, il nostro eroe è sempre in viaggio.
Contro l’oppressione della realtà sono determinanti, come ci ha insegnato Cervantes, l’inconscio che solletica l’intuito, la fantasia che diventa moto perpetuo e il gioco che attrae e emoziona.
Esiste infatti un inconscio televisivo. E’ semplice: basta progettare un impianto confessionale come quello del Grande Fratello per trasformare la rivincita dell’uomo qualunque in un’ipotesi di consumo.
Esiste poi una fantasia seriale, è semplice: è bastato narrare le gesta del capitano Ultimo per trasformare l’illegalità in un pensiero penultimo.
Esiste un gioco televisivo: è semplice, prendete dei buoni autori, metteteli in una casa ben arredata, dieci suocere e dieci generi, e vi sfido a trovare il meccanismo vincente in questa tempesta emotiva.
Il reality è un punto di “svista” sulla realtà, l’osservatorio emotivo dal quale seguire il contorno indeciso tra il pianto e il riso.
La fiction è poi strumento per decodificare lo scibile sociale, nuova forza narrativa che può, ad esempio, parlare di ambiente e territorio con una storia semplice: mettere al centro una guardia forestale, ma che sia finalmente una donna! La fiction può perfino spingersi a svelare alcuni meccanismi di se stessa: nasce una situation comedy, due famiglie reali si incontrano e intrecciano rapporti, nascono amori tra i figli, si svelano tresche, sono tutti vegetariani e naturisti e scoprono, col tempo, di custodire lo stesso segreto: sono due famiglie di Auditel.
E’ un paradosso, però dobbiamo ricordare che il nostro cinema d’autore, quello di Risi, Germi e Monicelli varcava le frontiere della provincia profonda e arrivava in America.
Nel ’72 bastò la storia di una mortadella e il volto di Sofia Loren per scrivere una commedia che smontava tutti i luoghi comuni del sistema economico, politico e sociale americano. Tanto fu sufficiente all’Alcisa di Zola Predosa per entrare in quel mercato e al mondo per conoscere Trevico.
L’ispirazione seriale è una straordinaria opportunità per dare forma di racconto ad una visione del mondo e aprire nuovi mercati con storie che prima erano appannaggio solo di cinema e letteratura. E quanta Italia ci sarebbe da raccontare al mondo!
Se la televisione vuol restare il perno centrale del gioco mediatico, deve rigenerare l’empatia, cioè il marketing dei sentimenti, evocare appartenenza e allargare il respiro universale delle sue storie. La televisione può continuare ad essere il volano narrante del nostro tempo se compirà continui cambi di direzione, se dimostrerà pionierismo nei contenuti e senso dell’avventura nell’accettare la sfida del meticciato con il web.
C’è gioco e fantasia anche per il più antico dei device, la carta stampata, c’è un marinaio curioso in ogni editore. Ci saranno sempre un editore che rischia, un direttore che organizza e dei giornalisti professionisti pieni di idee.
In un mondo in cui il cyberspazio è ormai il settimo continente, in cui si trasferiscono più bit che atomi, nessun grande editore oggi può ignorare l’importanza del social reader e cioè di quel nuovo veicolo pubblicitario dato dalla grande quantità di utenti che condividono su Facebook articoli tratti dalla stampa professionale. Attenzione: quel semplice meccanismo di condivisione è la coda lunga di una potenziale fonte di ricavi.
Sempre per restare al web nessuno può ipotizzare code di investimenti sui social network, senza considerare che su Facebook mentiamo a persone conosciute e su Twitter diciamo la verità a degli sconosciuti. Gli investimenti sulla rete sembrano avere molti pregi e qualche stortura: occorre selezionare i punti di accesso e monitorare meglio le redemption. Le marche stanno organizzando la loro presenza sui social media ma il costo/contatto sta rivelando una dispersione superiore alle attese.
E’ chiaro che la rete è un grande mezzo, ma se oggi Kant postasse la Critica della Ragion Pura a puntate su un blog, alla seconda puntata qualcuno scriverebbe: “Crucco, non capisci niente”. E’ magnifico il fatto che in rete un elettricista possa criticare un Nobel per la fisica dicendo che le lampadine non funzionano. Si possono sempre argomentare tesi contrarie, rendere eretica una marca con un’ anonima riga di insulti o con una diceria orecchiata, ma tutto ciò rende spesso il web uguale alla cattiva informazione.
Per orientarci in questo magma in continua ebollizione servono ricerche per le quali vale l’esortazione all’umiltà di San Bernardo: osservare bene, ascoltare tutti, pazientare molto e non confondere l’insolito con l’improbabile.
Oggi il consumatore è un poliedro, cambia il suo punto di vista a seconda del luogo di osservazione. E’ sfuggevole, infedele, impegnato a comunicare in una orizzontalità senza fine.
Una volta la soluzione era chiara: in una stanzetta con dei telefoni, in un “non luogo” come direbbe Marc Augé, c’era un direttore di rete che faceva cento telefonate ogni ora, chiedeva alle persone cosa vedessero e perché e la morale era chiara: si mandava in onda ciò che faceva audience, perché la sua opinione era irrilevante e non c’era nulla di perverso nella maggioranza. Si facevano programmi emozionanti: la gente vuole essere felice, posare gli occhi su cose belle, sognare. Un mondo pieno di persone entusiaste della prossima vacanza che oggi cinguettano della qualità del tour operator su twitter e i figli si spostano su Facebook per immortalarne i momenti felici.
Questo andirivieni compulsivo tra un mezzo e l’altro implica una svolta: in una fase come questa dove regna l’incertezza, a noi investitori preme catturare l’attenzione di persone in continuo movimento, quando inseguono un nuovo sito di informazione, quando si appassionano al ruggito di un coniglio o si perdono negli occhi di una modella su un manifesto, per ritrovare se stessi, sfiniti dal rumore di fondo, nel silenzio dell’ora in cui sono sconnessi da tutto, nel momento della scelta. Oggi occorre immaginare cosa fa il consumatore in quel tempo dilatato, perché è in quel frangente che la pubblicità convince soprattutto se promuove un’identità mescolando, con responsabilità e trasparenza, valori, informazioni ed emozioni.
Dobbiamo liberarci dagli asterischi maliziosi, dobbiamo attenuare la portata delle promesse roboanti, deve crescere il nostro rispetto verso un consumatore che ha sviluppato meccanismi di difesa sempre più sofisticati.
Un dato emerge con chiarezza: la tecnologia sta diventando una diversità di massa; in Italia abbiamo già due milioni di tablet, il doppio rispetto a soli sei mesi fa.
Senza dimenticare che l’occhio umano è sfuggente, repentino, irrequieto e imprevedibile e tale resterà. Solo contenuti toccanti, graffianti sono decisivi nella scelta tra consumare il nulla o farti un regalo.
Nell’immagine simbolo di Mad Men, l’uomo che si getta nel vuoto, c’è tutta l’energia vibrante dei sogni che vengono dal cielo e tutta la dolcezza malleabile della terra che li realizza. Pensando al protagonista, Don Draper, viene in mente la grande responsabilità delle agenzie: traghettare i nostri prodotti dal mondo fisico all’universo della marca psichica, ciò implica un comune denominatore: se rinuncio alla gara è solo perché ho scelto un partner affidabile con cui condividere la strategia a monte, perché a valle sarebbe tardi.
Come corrispettivo di una duratura alleanza ci aspettiamo uno sforzo di trasparenza, perché i diritti di negoziazione restano di un’opacità intollerabile per l’intero sistema. Una partnership nel lungo periodo non può che tradursi in campagne che rispettino il delicato equilibrio tra le nostre esigenze aziendali e quelle dei consumatori, una comunicazione che esca dal banale quotidiano e segni con la firma del mio prodotto uno sguardo polare tra tanti sguardi stellari cadenti.
Cosa ce ne facciamo della tecnologia in un Paese che perde punti di Pil nella competizione internazionale perché non investe nella banda larga? E’ come stare al buio in un mondo in cui tutto è illuminato. E’ purtroppo la condizione di arretratezza con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. E’ l’oscurità tecnologica, l’oscurantismo politico, il buio di una guerra che stiamo perdendo.
In Italia servono almeno i famosi 800 milioni persi nella penombra dei ministeri per, come minimo, portare l’ADSL a quelle 400.000 aziende che ne sono ancora sprovviste.
La banda larga spronerebbe il progresso tecnologico e la produttività nel settore dei servizi. Ricordiamoci che oggi i due terzi della crescita del mondo industrializzato vengono dall’information technology e dal settore delle telecomunicazioni.
Due sono le questioni su cui non ci stancheremo di insistere: banda larga e Rai.
La Rai è, ancora oggi, la maggior industria culturale del paese, ha un grande patrimonio di competenze, è ricca di talenti e di immensi giacimenti che riflettono l’identità nazionale. Non basta, purtroppo, fare scelte di vertice professionali e indipendenti per garantirne la sopravvivenza economica, civile e sociale attraverso bilanci trasparenti e pluralismo di espressione, liberandola dall’oppressione della partitocrazia e dalla schiavitù dell’audience. Per rafforzare il suo ruolo di servizio pubblico è necessaria una riforma che le assicuri un nuovo meccanismo di governance e una piena autonomia. Auspichiamo che il nuovo corso sia la giusta premessa per una riforma che tenga conto degli equilibri gestionali e del rilancio editoriale dell’azienda. La Rai deve restare pubblica, svincolarsi dalla patologica ingerenza politica e giustificare il canone con una rete senza pubblicità. Va conferita ad una Fondazione espressione dell’articolata realtà sociale, culturale, economica e istituzionale del Paese, con l’obiettivo di favorirne la modernizzazione. La finalità ultima è quella di educare, informare e intrattenere, facendo evolvere l’immaginario collettivo esattamente così come la Rai fece alle origini della sua storia.
Mi rendo conto che, se avvenisse tutto ciò, la notizia avrebbe dell’incredibile anche per Dagospia.
Crescere, invertire le tendenze, semplificare le procedure, ascoltare le imprese per rilanciare i consumi, rischiare per le proprie idee: questi sono i temi del nostro Summit.
E’ inutile nasconderlo: per i consumi il 2012 è l’anno più difficile dal dopoguerra. E’ inevitabile che la pubblicità segua questa tendenza: l’investimento segna un numero negativo indicibile, una cosa mai vista prima, un calo a due cifre. Un numero che è una ottima ragione per confrontarci in questo Summit. Per dirla con Rilke, a ognuno di voi tocca il compito di prendere l’indicibile numero, aggiungere se stessi e, da quel momento, cancellarlo. Non dobbiamo aver paura, non siamo il Paese della finanza. Abbiamo grandi imprenditori, ne cito uno per tutti: Michele Ferrero, colui che ha sempre creduto che la pubblicità fosse il modo migliore per dare il buongiorno al mondo, nella consapevolezza che il successo non sta nella quantità di cacao, ma nel dente che incontra la nocciola.
Non siamo il Paese della finanza, siamo artigiani, facciamo cose, vestiamo gente, rendiamo dolce il pianeta, diamo montature agli occhi più belli. Nel mondo c’è il tatto delle stoffe di nostri stilisti, l’odore delle solfatare e la voce forte e inconfondibile di un amico che ci ha lasciato la canzone italiana più ascoltata nel mondo: Lucio Dalla. Ho aperto in musica e desidero chiudere in musica perché penso che se l’Italia vuol tornare a crescere, deve darsi una nuova prova d’orchestra in cui i musicisti non si picchino, ognuno suoni per gli altri e ciascuno di loro sia conscio di far parte di un’armonia futura. Un’armonia dove la differenza dei caratteri faccia sprizzare le scintille della sfida e la reciproca comprensione accenda lampi di verità.
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