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Soffrire di vertigini digitali

14/02/2013

Un viaggio anacronistico alla scoperta dei social media con due guide d’eccezione: _Jeremy Bentham_ e _John Stuart Mill. Andrew Keen_ nel suo ultimo libro analizza la fragilità ed il disorientamento da web 2.0, confrontando due posizioni opposte. Il commento del fondatore del _Movimento Slow Communication_ in Italia, _Andrea Ferrazzi._

di Andrea Ferrazzi
La storia si ripete, anche se mai in maniera identica, sostiene Andrew Keen nel suo ultimo libro Vertigine digitale, appena pubblicato da Egea. Ed è sulla base di questo assunto che l’autore, l’Anti Cristo della Silicon Valley, accompagna i lettori alla scoperta del mondo dei social media con due guide particolari: Jeremy Bentham e John Stuart Mill. Due influenti intellettuali del passato, con due visioni opposte sulla società e sugli individui. Il primo è l’ideatore del «panopticon», una casa di ispezione strutturata come una rete interconnessa, «un edificio circolare composto da tante stanzette, ciascuna trasparente e attaccata alle altre, dove le persone venivano tenute sotto costante osservazione da un apposito ispettore». Bentham riteneva che gli individui, più sono consapevoli di essere controllati, più si comportano in modo disciplinato e produttivo. La sua era una visione che andava ben oltre l’architettura carceraria, influenzando anche l’organizzazione della nascente società industriale.
Oggi, all’alba dell’era di internet, quell’idea si riaffaccia prepotentemente all’orizzonte, in modo ancora più incisivo e potenzialmente pericoloso, assumendo «raccapriccianti connotati digitali», tanto che – sostiene Andrew Keen – si sta realizzando, con due secoli di ritardo, il sogno utilitaristico di Jeremy Bentham di tenerci tutti sotto osservazione perpetua. Tra i suoi eredi c’è anche il padre di Facebook, Mark Zuckerberg, ispiratore di un mondo completamente reinventato dalle tecnologie sociali, uno mondo dove l’imperativo è condividere ogni cosa, un mondo dove le persone vivono sempre più su internet, un mondo dove il pensiero solitario sta annegando nel mare delle connessioni perenni, un mondo dove un mega network crea un maggiore livello di conformità sociale e di comportamento da gregge, un mondo dove l’amicizia è ridotta a un bene di consumo, un mondo dove l’ideale della privacy viene sacrificato sull’altare di una società della trasparenza che non è affatto più tollerante e aperta.
I nuovi Jeremy Bentham dell’era digitale del web 3.0 «promettono che separandoci in quanto nodi individuali all’interno della rete collettiva, la tecnologia digitale possa tenerci insieme a beneficio sia della società che dei singoli». Sempre secondo questi cyber-utopisti, stiamo salendo «una magica scalinata che ci porta verso un mondo futuro dove vige grande abbondanza di libertà individuale e armonia sociale». Come è noto, Keen non è tra questi. Anzi. Assolutamente allergico alla prospettiva di un mondo trasformato in un’esperienza sociale, l’autore ritiene probabile che questa «rivoluzione dei social media finisca per rappresentare la discesa, forse perfino la caduta vertiginosa, verso un circolo vizioso caratterizzato da una minore libertà individuale da legami sociali più deboli e da una diffusa infelicità». A soccombere, in questo processo di profonda trasformazione sociale, è soprattutto l’elemento umano. Bisogna perciò rifiutare la visione di Bentham, secondo la quale gli esseri umani sono semplici macchine da calcolo, e salire sulle spalle di un altro gigante intellettuale del passato: John Stuart Mill. Oltre a non cedere alla visione utopica che esaltava il ruolo delle tecnologie nella costruzione di una fratellanza universale, è lui, afferma Andrew Keen, ad aver compreso le conseguenze del nuovo mondo interconnesso sull’autonomia dell’individuo. Ad essere a rischio, oggi come allora, è la capacità dei singoli di pensare e agire per proprio conto, indipendentemente dall’opinione pubblica. Non solo. Per Mill anche la privacy, per qualcuno un reperto archeologico di una civiltà che va svanendo, è, al pari dell’auto-sviluppo individuale, un elemento essenziale per il progresso umano e per un’esistenza positiva. Per scongiurare il rischio di «un’amnesia collettiva su ciò che significa davvero rimanere umani» è perciò necessario impedire che l’utilitarismo di Bentham abbia la meglio sulla libertà individuale di Mill. Non sarà facile. Ma questa contro-rivoluzione culturale può e deve iniziare da ciascuno di noi. Dalla nostra consapevolezza sui rischi di un’eccessiva e acritica esposizione ai social media. E dai nostri comportamenti quotidiani: scegliamo di disconnetterci dalla società per restare un po’ di tempo da soli, con i nostri pensieri, la nostra autonomia e la nostra riservatezza.
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