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Sum of Us

26/09/2012

Un sito che porta i consumatori al potere. _E’ Sum of Us,_ un movimento internazionale dal basso, che stimola le grandi aziende a essere più responsabili.

di Andrea Di Turi
In un altro secolo si sarebbe potuto dire: «Consumatori di tutto il mondo, unitevi!». All’inizio del terzo millennio, invece, aggiornando il linguaggio e adattandolo all’era di Internet e dei social media, si potrebbe meglio dire:«Consumatori di tutto il mondo, mettetevi in rete!». Il concetto, tuttavia, sostanzialmente non cambia ed è su questo concetto che si basa una delle piattaforme online forse più interessanti e dirompenti apparse sulla scena del web. Almeno per chi crede (spera?) che il potere dei consumatori possa essere utilizzato per cambiare il mondo.
La piattaforma si chiama Sum Of Us e può già contare su quasi 770mila iscritti da tutto il mondo. Ovviamente è presente anche sui principali canali di social media come Facebook, Youtube e Twitter: su quest’ultimo l’account @sum_of_us è seguito da quasi 3.800 follower.
Dietro la piattaforma c’è un movimento che si descrive come un movimento dal basso e worldwide, che stimola le grandi corporation a essere più responsabili, che utilizza le potenzialità della Rete per raggiungere i suoi scopi. Si tratta di persone che decidono di condividere battaglie, campagne di sensibilizzazione, lotte. La forma scelta è quella della petizione da sottoscrivere online a migliaia, a centinaia di migliaia, e da inviare poi ai responsabili delle grandi aziende dicendo “siamo in tanti a pensarla così, regolatevi di conseguenza”. Obiettivo: promuovere un cambiamento nel modo in cui agiscono le multinazionali e così cercare di controbilanciarne il crescente, sempre più smisurato potere. Un cambiamento nel senso della responsabilità sociale, dunque, dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, dei diritti umani. In una parola dell’etica in economia.
In quello che si può considerare il manifesto di Sum Of US, è scritto che il movimento allo stesso tempo afferma e chiede che:
• i governi devono rispondere ai cittadini e non alle corporation
• i lavoratori siano trattati e pagati in maniera adeguata, per poter condurre una vita dignitosa
• i consumatori hanno diritto a prodotti realizzati in modo etico, sostenibile e trasparente
• le comunità hanno diritto a proteggere le loro riserve naturali e i loro ecosistemi
• sono necessari modelli di business non retti dall’avidità ma attenti alle persone e all’ambiente.
Per il movimento è affermando tutto questo che si possono evitare casi, anzi, tragedie planetarie come quelle di Fukushima, o della Deepwater Horizon di BP, l’inquinamento del pianeta, la stessa crisi finanziaria che ha travolto economie e popoli.
La proposta è rivolta ai consumatori, ai piccoli investitori, ai lavoratori di tutto il mondo. E riafferma il loro potere, quando però sono capaci di mettersi insieme e di fare da cani da guardia (“watchdog”) delle pratiche di business delle multinazionali, facendo pressione quando queste pratiche non sono socialmente responsabili. Ecco qualche esempio.
Più di 140mila sottoscrizioni (obiettivo 150mila) ha raccolto la petizione rivolta a Apple per migliorare le condizioni di lavoro nella sua catena di fornitura, ad esempio negli stabilimenti cinesi della Foxconn finiti nell’occhio del ciclone dopo la catena di suicidi dei propri dipendenti. Soprattutto in vista del prossimo rilascio di iPhone 5. Interessanti le opzioni che vengono poste in calce alla petizione: la si può sottoscrivere come clienti di Apple, come utilizzatori di iPhone, iPad o iPod, ma anche come possessori di azioni Apple, o semplicemente come persone che abitano vicino a un Apple Store. Il messaggio è chiaro: mettersi insieme si può e si deve fra consumatori, investitori, cittadini, tutti uniti dalle stesse motivazioni nella stessa battaglia.
La campagna rivolta a Shell titola: «You break it, you pay for it», traducibile come “chi rompe, paga”. Nel mirino c’è il fenomeno dell’oil spill (fuoriuscite di petrolio) legato all’attività della compagnia petrolifera nella zona del Delta del Niger, accusato di aver provocato immani danni ambientali e catastrofiche conseguenze per le persone. Si dice che la petizione (che ha raggiunto l’obiettivo delle 75 mila firme) era destinata ad essere utilizzata da Amnesty International e da Friends of the Earth nelle negoziazioni che avevano in programma con l’azienda. E si mettono a disposizione una quantità di risorse online per chi intende documentarsi sull’argomento.
La petizione per Ikea, invece (quasi 110mila i firmatari al momento, 125mila l’obiettivo), chiede di interrompere lo sfruttamento delle foreste più antiche presenti nel territorio della Russia, di cui è accusata da Ong e associazioni ambientaliste, per salvaguardare l’ambiente ma anche le specie animali che vivono in quel particolare habitat. La lettera è rivolta direttamente a Mr. Ohlsson, Ceo di Ikea, e anche in questo caso si offre a supporto il link a una recente inchiesta sull’argomento pubblicata dal britannico The Guardian.
Fra gli altri destinatari di campagne ci sono anche Adidas, Walmart (poteva mancare?), Pfizer, Bank of America, gli organizzatori delle Olimpiadi di Londra (per aver accettato fra gli sponsor la Dow Chemical, il cui nome tristemente ricorda l’apocalisse di Bhopal del 2-3 dicembre 1984), Verizon. E c’è posto anche per la creatura di Mark Zuckerberg, Facebook. Non mancano però le petizioni in positivo, come il messaggio di ringraziamento a Starbucks per aver preso posizione in favore dei diritti dei gay (650mila i messaggi di ringraziamento!).
Non ci sono, tuttavia, solamente grandi campagne (una cinquantina quelle visibili sul sito nella sezione Campaigns) rivolte a grandi aziende per conseguire grandi obiettivi. C’è anche la richiesta di partecipare («take action») per chiedere, ad esempio, che venga riassunta una dipendente dell’hotel Hyatt Regency a Indianapolis, licenziata dopo aver denunciato le difficili condizioni di lavoro dei lavoratori dell’industria alberghiera. Piccoli e grandi obiettivi insieme, dunque. E in questo caso si può firmare la petizione anche come frequentatori di hotel Hyatt.
Bastano delle petizioni per impedire alle grandi corporation di continuare nelle pratiche di business non responsabili di cui troppo spesso si rendono protagoniste? Probabilmente no. Ma il messaggio di Sum Of Us è che bisogna almeno provare a farlo e che una strada possibile è quella di unire intorno a buone cause le forze di consumatori, lavoratori, investitori, cittadini: tutti quelli che ci stanno perché sentono che il cambiamento deve esserci, nell’interesse di ciascuno di noi.
Oltre a registrarsi sul sito e a firmare le petizioni, per chi crede che il modello di Sum Of Us abbia un futuro e possa esse efficace nel favorire la costruzione di un “better world”, c’è anche un modo forse meno emozionante ma ugualmente importante di dare il proprio sostegno: fare una donazione, secondo il modello del crowdfunding. Lo stesso modello che ha permesso a ProPublica.org, e al suo giornalismo d’inchiesta direttamente finanziato dai lettori-sostenitori, di aggiudicarsi per due anni consecutivi il premio Pulitzer.
People have the power: è la Rete, bellezza!
Fonte: EticaNews
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