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Temporary Content: la nuova tendenza dei social media

23/01/2014

L’evoluzione dei social media non è scandita dal progresso tecnologico ma dal cambiamento sociale. Dopo anni di approccio “superficiale” al web ci si è resi conto che il web non perdona, perché non dimentica. Nasce da qui un nuovo trend, quello dei temporary content, contenuti che dopo un lasso di tempo prestabilito si “autodistruggono”. Come possono gestire le aziende questa fugacità? La riflessione di _Gabriele Cazzulini._

di Gabriele Cazzulini
I social media non sono una tecnologia: sono un’azione sociale fondata sulla comunicazione. Ciò significa che l’evoluzione dei social media non è scandita dal progresso tecnologico. Ma dal cambiamento sociale. Infatti oggi è in atto l’ennesimo cambiamento sociale. Dopo anni di crescita, sembra rallentare la moda di Facebook, dilagata in strati sociali sempre più ampi e differenti, di condividere, anzi di mostrare, pubblicare, sviscerare, spesso in modo osceno, la vita quotidiana fin nelle sue pieghe più intime. Ma questo è solo un indizio. Gli utenti dei social network continuano a condividere “tranci” della propria vita tramite le caratteristiche foto sporcate dai filtri vintage di Instagram. Ma iniziano a condividere più privatamente e soprattutto più “temporaneamente”.
Ecco il grande cambiamento da mettere sotto osservazione. Finora il web è stato vissuto in modo troppo superficiale e “avventuroso”, senza tenere conto che il web e i social media vogliono dire una memoria indelebile. Con gravissime conseguenze sulla privacy personale e sulla reputazione pubblica delle aziende, dove dipendenti, managers, persino presidenti non sempre hanno compreso la differenza tra privacy e pubblico, tra ruolo ufficiale e opinioni personali. Oggi probabilmente sta avendo luogo questo riconoscimento: col web non si scherza, perché il web non dimentica, quindi il web non perdona. Sillogismo perfetto. Quindi ecco il “temporary content”: condivido sempre, ma fino ad un certo tempo. Dopo, il contenuto condiviso si auto-elimina.
Li chiamano social media “effimeri”: etichetta perfetta. Per esempio Snapchat, il social network mobile rivolto ai più giovani. Infatti Evan Spiegel, il suo Ceo e fondatore ha 23 anni, con buona pace di chi crede ancora che le nuove generazioni abbiano bisogno delle vecchie per emergere. Infatti Spiegel si è trovato a suo perfetto agio alla “Goldman Sachs Technology and Internet Conference” dello scorso novembre, con buona pace di chi crede che le vecchie generazioni non sappiano comprendere le nuove. Snapchat consente di condividere testi, foto e video con un amico oppure un gruppo di amici e poi quel contenuto si cancella da solo nelle 24 ore successive. Anche se mancano dati ufficiali, la base di utenza (“dau”, daily active users e “mau”, monthly active users) di Snapchat è costituita da giovanissimi tra 13 e 25 anni. Le ragazze sono oltre il 70%. Si calcola che quasi il 20% degli utenti iPhone usi Snapchat. A marzo 2013 Snapchat gestiva oltre 60 milioni di foto ogni giorno – tutto favoloso, perfino il rifiuto di 3 miliardi di dollari per cedere Snapchat a Yahoo e a parte la falla di sicurezza che ha violato i database con il numero di telefono di milioni di utenti (che ironia per un social network della riservatezza!).
Usa-e-getta, si diceva una volta. Adesso è comunica-e-getta. La temporaneità di Snapchat è anche la molla che fa balzare alle stelle la propensione a condividere nudità, oscenità, “sexting” e contenuti altrimenti proibiti dai termini di servizio di social network “pubblici”. Lo stesso vale per Whatsapp, l’app. mobile per fare “instant messaging” segue quest’evoluzione “effimera” e temporanea, lavorando molto sul lato della comunicazione peer-to-peer, protetta da sguardi indiscreti e perciò molto più intima e spericolata. E’ l’sms all’ennesima potenza. Come WeChat, per fare chat istantanee in digitale.
E’ la fine degli alter-ego digitali? E’ la ritirata dei grandi social network che fabbricavano identità virtuali e spesso fittizie? Il contenuto diventa temporaneo, fugace ed effimero quanto audace e proibito. “Chissenefrega”, intanto domani si cancella tutto. Intanto i grandi brand non ci pensano troppo e passano all’azione, imbastendo curiose campagne su Snapchat, sfruttando come al solito il vantaggio di essere early-adopters. La logica è semplicissima: tu, utente, fatti una foto snap, cioè istantanea, mandala al brand e il brand ti premia con un’altra foto, che è un buono sconto, altrettanto temporaneo. Spicciati ad usarlo, altrimenti scade. Semplice, personalissimo e veloce per fare redemption. Insomma, l’utente compie un’azione comunicativa verso il brand oppure ne diventa fan ricevendone un premio esclusivo. Così sono tutti contenti.
Tutto perfetto? No. C’è una grossa spina nel fianco: la loyalty, la fedeltà degli utenti. Come incentivare utenti di medio-lungo periodo quando usare Snapchat o un altro temporary social network non cambia nulla? Perché affezionarsi ad un social network in particolare quando posso migrare subito, senza problemi di immagine pubblica e senza perdere followers che nemmeno conosco? Il problema è mostrato con esemplare chiarezza da questo diagramma “Desire Engine” elaborato da Nir Eyal, un arguto interprete della società digitale (v. immagine in basso).
Ecco, ritorna il valore della vita reale. Se A e B sono amici, davvero, lo sono a prescindere dal social network. Loro sono il social network. Poi usano Whatsapp, Snapchat, WeChat, Google Hangouts o quello che c’è. Brutta storia per il management di Snapchat: hanno inventato una delle dieci tendenze tecnologiche più forti di questi anni, secondo la rivista ufficiale del MIT. Ma non sanno come inventarsi un futuro. Già, adesso è tutto temporaneo.
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