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Tendenze mediatiche di fine d'anno. Un contributo di Mario Caligiuri dalla Rivista Italiana di Comun

21/02/2006
Rivista Italiana di Comunicazione Pubblican. 26/2005 pagg. 156-161Tendenze mediatiche di fine d'annoMario Caligiuri 
È nato prima l'uovo o la gallina? Dubbio amletico e perenne come le inquietudini dell'uomo.
Partiamo con una citazione scontata, però tutt' altro che banale, di Mar-shall McLuhan: Il mezzo è il messaggio, intendendo che la comunicazione forse è più decisiva della realtà sociale e più che dai contenuti dei media veniamo plasmati, "confortati", dal mezzo stesso.
Ogni messaggio è prodotto per essere comunicato e questo va fatto nel modo più adeguato. Una bellissima immagine di un proverbio degli indiani d'America ricorda: "Se un grande albero cade nel bosco e nessuno lo sen­te, ha fatto davvero rumore? ".
Potrebbe allora essere di una certa utilità tentare di individuare emer­genze nascenti o conferme scontate, attraverso qualche esempio di attualità della comunicazione di fine d'anno nel nostro Paese.
Cercando di disegnare una possibile pista di orientamento e per comodi­tà di analisi, individuiamo tre esempi.
Un caso di media che spesso parlano di se stessi, è certamente stato la trasmissione televisiva "Rockpolitic", che ha avuto percentuali di ascolto altissime, a volte come quelle di San Remo.
Alla trasmissione sono state dedicate intere puntate di altre trasmissioni televisive, copertine di settimanali, articoli e commenti a iosa su quotidiani.
Celentano, si sa, fa sempre grandi ascolti in televisione. Infatti, sia nel 1999 con "Francamente me ne infischio" sia nel 2001 con 125milioni di c.zate si è sempre superato il 40% di share.
Secondo Renato Mannheimer 800.000 italiani hanno cambiato opinione dopo aver visto la trasmissione "Rockpolitic", un numero pari al 2% dei te­lespettatori e che quindi rappresenta una percentuale inferiore al margine statistico di approssimazione di un sondaggio.
Inoltre, la trasmissione ha dato l'occasione per fare riaprire alla grande il dibattito tra politica e satira, suscitando quindi nuove inchieste ed articoli e attenzioni. Secondo il massmediologo Klaus Davi l'eccesso di satira favori­sce chi la subisce, com'è avvenuto nelle elezioni politiche del 2001.
Infine, si sono registrati decisi cambiamenti di opinione riguardo a Ce­lentano, com'è avvenuto con Montanelli. Infatti, il Molleggiato fino ad un minuto prima della trasmissione era sempre stato considerato dalla stampa di sinistra un esponente della cultura nazional popolare, mentre oggi è iden­tificato come un campione del progressismo.
Tra i tantissimi articoli dedicati alla trasmissione, Piero Ostellino ha scritto considerazioni su cui meditare. Infatti, in un articolo sul Corriere della Sera del 25 ottobre ha proposto tre moratorie su Adriano Celentano, invitando a non occuparsi della trasmissione rispettivamente il Premier, il leader dell'opposizione ed i media.
Ha poi ricordato le tre funzioni fondamentali del sistema informativo: integrazione per offrire un fondamento etico all'ordine esistente; cambia­mento, per fornire anche gli strumenti concettuali per reagire a quell'ordine e se necessario cambiarlo; conoscitiva, per consentire al cittadino di indivi­duare correttamente i propri interessi e trasformarli in domanda politica.
Altro caso su cui riflettere, è l'omicidio del Vicepresidente del Consi­glio regionale della Calabria Francesco Fortugno avvenuto il 16 ottobre 2005 a Locri.
UEconomist, non so se prima o dopo il Vescovo di Locri, ha scritto: "In due luoghi si uccide nei seggi: in Calabria e in Iraq".
Anche in questa situazione, salotti tv, speciali di settimanali, centinaia di articoli si sono occupati del caso.
Si è andata così finalmente fecalizzando una realtà del nostro Paese cer­tamente nota già prima.
Era già noto che la ndrangheta fosse la più pericolosa organizzazione criminale italiana: circostanza riportata anche negli atti parlamentari.
Era già noto, attraverso una ricerca dell'Eurispes, del potere economico della 'ndrangheta, sulle cui valutazioni ovviamente si discute, che certa­mente non si può stimare attorno al 9-10% del Pii Italiano, ma che di sicuro rappresentano cifre considerevoli e pericolose.
Era già noto che il numero dei pentiti di ndrangheta, per ragioni socio-logiche basate sulla natura familiare delle 'ndrine, erano tra i più bassi d'Italia: i pentiti hanno rappresentato forse uno degli strumenti fondamentali per combattere in profondità la criminalità, così come lo sono stati, e lo sono ancora, per contrastare il terrorismo.
Erano già noti almeno i contatti, compresi quelli della vittima, se non le collusioni tra politica e ndrangheta nei procedimenti giudiziari in corso.
Solo adesso ci si ricorda dei dati, che sono snocciolati quasi come rive­lazioni, come se prima fossero ignoti.
È di 112 il numero delle cosche, mentre il tasso degli omicidi è di 17 volte superiore alla media nazionale.
Sono state 89 le intimidazioni ai politici nel 2004, 30 i Consigli comu­nali sciolti per mafia dal 1995, dei quali 16 nel reggino.
A questo si aggiungono ricostruzioni fantastiche come quelli che nella regione ci sia un affiliato alla ndrangheta ogni 345 abitanti, così come il volume di affari sia stimato in 35 milioni dì Euro che sarebbe addirittura su­periore al Pii dell'intera Regione, valutabile in 29 milioni di Euro.
Questi ultimi dati, forniti sempre dall' Eurispes, sono stati contestati con argomentazioni da Pino Arlacchi, il sociologo già Vicesegretario dell'Orni e studioso del fenomeno della ndrangheta che definiva, già agli inizi degli anni Ottanta, la "mafia imprenditrice", proprio per qualificarne la forza di agente economico di prima grandezza.
Questo è un tema centrale del quale si parla solo in occasioni del genere per poi scomparire dopo qualche tempo, senza ricordare che la presenza in-vasiva della criminalità non solo è incompatibile con lo sviluppo ma che rappresenta un'emergenza planetaria.
Sostiene, infatti, Eckart Wertherback, ex capo del contro spionaggio te­desco: "Con la sua colossale potenza finanziaria, la criminalità organizza­ta influenza segretamente tutta la nostra vita economica, l'ordine sociale, l'amministrazione pubblica e la giustizia, in alcuni casi detta la politica la sua legge, i suoi valori. Se questa evoluzione dovesse procedere, lo Stato sarebbe ben presto incapace di garantire i diritti e le libertà civiche dei cit­tadini ".
Secondo un articolo di Eric Jozsef, corrispondente del quotidiano fran­cese Liberation, ospitato sul settimanale Internazionale del 23 settembre 2005, quindi prima dell'omicidio di Locri, la prima tra le 10 notizie più tra­scurate dai mezzi di informazione italiani riguarda proprio la criminalità organizzata. Titolo dell'articolo è: "In Italia il silenzio di tutti sulla mafia". Credo che siano considerazioni rivelatrici.
Su Il Foglio, il quotidiano che - secondo me - con più sistematicità e lucidità ha commentato i recenti fatti calabresi, ha ospitato il 27 ottobre 2005 un articolo dal titolo: "Sragionare dì Calabria ", col sottotitolo ancora più illuminante: "Se l'informazione impazzisce e la situazione diventa gra­ve ma non seria", richiamando il film di Reinhardt del 1965 con Alee Guinness.
Ecco l'inizio dell'articolo: "Il circuito informativo in tv fa strani scherzi e riflette spesso una situazione di follia. Prendiamo la questione della Ca­labria, la cui importanza non può essere sopravvalutata".
Sono poi individuate tre correnti di pensiero: l'inesistenza della sovrani­tà dello Stato, la necessità di intervenire sullo sviluppo economico e socia­le, la circostanza che la Calabria è anche tante cose buone che non vanno oscurate.
L'articolo termina evidenziando che si tratta di tre atteggiamenti illogici, che creano a posizioni politiche contrapposte: "è così che pensiamo o spe­riamo di lottare la ndrangheta?"
Infatti, tutto si potrebbe fare di fronte ad una situazione del genere, tran­ne che contrapporsi politicamente.
Assistiamo invece a divisioni dannose ed inconcludenti anche sulle que­stioni decisive della lotta alla criminalità.
Circostanza, peraltro, non nuova perché già tra il 1995 e il 2000 non si riusciva a trovare nel Consiglio Regionale della Calabria un semplice ac­cordo neanche per votare all'unanimità un documento contro la criminalità organizzata.
L'ultimo esempio a cui facciamo riferimento è l'influenza aviaria.
Fonte Organizzazione mondiale della sanità: dal 28 gennaio 2004 al 21 ottobre 2005 abbiamo avuto 62 morti in questi quattro Paesi: Cambogia, Indonesia, Thailandia e Vietnam.
In Europa fino alla scrittura di questo articolo si sono verificati questi decessi: 13 cigni in Croazia, un pappagallo in Gran Bretagna (che però era già in quarantena perché proveniente dal Suriname), un'anatra ad Eskilstu-na in Svezia ed un airone nella provincia di Vaslui in Romania.
"I rischi della pandemia ci sono" ha detto Jeremy Farrar dell'Università di Oxford che sta lavorando all'ospedale delle malattie infettive di Ho Chi Min City nel Vietnam, ed ha sostenuto che nel mondo rischiamo 360 mi­lioni di morti.
In Italia ad evidenziare i pericoli è stato Ovidio Brignoli, vicepresidente della società italiana di medicina generale, scienziato finora sconosciuto ai più. Brignoli lo ha sostenuto nel mese di settembre, mentre partecipava ad un convegno a Malta. Nell'occasione, ha affermato che in Italia rischiamo 16 milioni di contagi, 2 milioni di ricoveri e 150 mila morti.
Le prime conseguenze di questi responsabili allarmi è che abbiamo regi­strato 5 milioni di Euro di mancati consumi nelle carni bianche con il 50% in meno di acquisti, con il crollo dei prezzi nel settore, che vanta 180 mila occupati.
Rifacciamoci ancora alla parola della scienza: Mauro Moroni dell'Università degli Studi di Milano. Il 28 ottobre 2005 ha affermato che "nel nostro Paese il virus dell' influenza aviaria non esiste perché al mo­mento l 'H5N1 non è mai stato isolato, fino a prova contraria il timore di consumare sia le uova che i polli nostrani non poggia su alcuna evidenza scientifica".
Il dibattito della comunità medica è ampio c'è chi sostiene che non c'è alcuna prova che il virus possa trasmettersi direttamente alle persone, se non ha chi ha un contatto costante con gli animali infetti in situazioni igie-niche molto particolari.
Nonostante questo, il 2 novembre il Presidente degli Usa George W. Bush ha chiesto al Congresso l'autorizzazione a spendere 7,1 miliardi di dollari per vaccinare 20 milioni di americani e per promuovere la ricerca scientifica.
In Italia il ministro delle Sanità Francesco Storace ha firmato nel mese di agosto un contratto di prelazione con tre aziende del settore farmaceutico per l'acquisto di 35 milioni di dosi di vaccino, dei quali 6 milioni già acqui­stati.
Inoltre, la Banca Mondiale ha previsto che per la prevenzione dell'influenza aviaria saranno necessari tra i 300 e i 500 milioni di dollari.
Vista qual è la situazione, da un lato è pienamente responsabile accende­re tutti i riflettori - nessuno escluso - su questa vicenda, ma dall'altro non possiamo non valutare che forse, a furia di insistere su questo tema, si può creare una specie di psicosi alimentata dai mezzi di informazione.
Non a caso, uno dei primi esempi del genere fu la cosiddetta "beffa dei marziani" del 30 ottobre 1938, quando per radio si stava trasmettendo la sceneggiatura di Orson Welles "La guerra dei mondi", in cui simulava la radiocronaca dell'invasione dei marziani a New York e che provocò un pa­nico incredibile se non addirittura, come qualcuno sostiene, anche suicidi.
Forse memore di questo, Orson Welles nel 1941 girò il film Quarto po­tere, per evidenziare il potere devastante dei media.
Appunto per questo, sarebbe molto interessante studiare, per esempio, come l'informazione si è comportata nel caso della mucca pazza, della Sars e adesso dell'influenza aviaria, effettuando confronti per verificare se si è fatta prevenzione oppure in definitiva, magari senza volerlo, si sono fatti gli interessi di qualche azienda del settore dei farmaci.
Qual è allora in definitiva il comportamento dei media in questi tre e-sempi che ho evidenziato?
Cominciamo da "Rockpolitick". Complici le mancate moratorie a cui abbiano fatto cenno sopra, si è ampliato a dismisura quello che era sempli­cemente un varietà televisivo.
Pertanto, assistiamo ad un classico fenomeno dei "media amplificano i media", ennesimo esempio in cui i giornali rincorrono la tv, con il prevalere del linguaggio televisivo rispetto a quello giornalistico. Lo spettacolo, per­tanto, diventa sostanza del discorso pubblico.
Per quanto attiene la 'ndrangheta, sebbene in ritardo, l'informazione ha posto in evidenza un problema centrale e non più rinviabile che riguarda un pezzo di territorio italiano.
Ha quindi dedicato ampi spazi soprattutto televisivi all'argomento, po­nendo in luce il rischio opposto: la sostanza del discorso politico diventa spettacolo.
Infine, l'influenza aviaria ha confermato il potere di influenza dei media nei comportamenti individuali: da un lato è fondamentale la prevenzione, dall'altro il rischio di alimentare una psicosi e di promuovere di fatto alcuni interessi.
Più ampiamente, è ovvio che bisogna fare l'interesse pieno dei cittadini, però c'è il legittimo dubbio, che possa poi in un certo senso essere alimen­tato l'interesse delle aziende produttrici dei vaccini.
Questo richiama due temi molto importanti: la deontologia professionale di chi produce l'informazione e l'indipendenza degli esperti scientifici, che attraverso le loro opinioni condizionano fortemente il discorso pubblico, orien­tando le istituzioni, i contenuti dei media e i comportamenti delle persone.
Potremmo quindi evidenziare un deficit di razionalità che è alimentato dai media, con istituzioni pubbliche che, attraverso le loro amministrazioni, spesso non pensano e replicano la cultura del precedente in un contesto in cui non ci sono precedenti a cui fare riferimento.
Evidenziando questo deficit di nazionalità che i media contribuiscono ad alimentare, emerge quindi la necessità se non sia proprio il caso di ripren­dere l'idea di Karl Popper di prevedere il rilascio obbligatorio di una paten­te per chi fa televisione, estendendola a tutti i media.
Ciò richiede una formazione adeguata di gran lunga diversa rispetto a quella che attualmente possiedono gli operatori.
Ma alla base di tutto, c'è la necessità di un'educazione ai media come antidoto indispensabile per i cittadini per orientarsi adeguatamente nell' overdose di informazione.
Occorre in definitiva essere consapevoli che oggi, a dirla con le parole di Neil Postnam, "la sfida è tra educazione e disastro ".
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