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Vecchiato: Pr, i cantastorie del terzo millennio

07/12/2011

Come funziona la comunicazione sui social network? Come un’azienda può comunicare efficacemente se stessa? I relatori pubblici sono i cantastorie del terzo millennio e devono creare e mantenere senso attraverso la narrazione. Lo ha affermato _Giampietro Vecchiato,_ durante il convegno _Social Media Marketing. Consumatori Imprese Relazioni_ che si è tenuto lo scorso 6 dicembre a Roma.

di Giampietro Vecchiato
In questi pochi minuti voglio offrirvi tre stimoli che poi ricucirò insieme nel tentativo di far emergere alcuni concetti chiave che, ritengo, saranno nodi fondamentali nel prossimo futuro per tutti coloro che lavorano o studiano il mondo della comunicazione, del marketing e delle relazioni pubbliche.

Stimolo n° 1: nel 1999, ormai più di 10 anni fa, quattro signori scrivono un documento che molti di voi, ne sono certo, già conoscono: il Cluetrain Manifesto. 95 tesi per riflettere su alcuni mutamenti nel contesto economico all’alba del Nuovo Millennio. La prima tesi afferma I mercati sono conversazioni.
Stimolo n° 2: Philip Kotler pubblica, nel 2010, un libro intitolato Marketing 3.0. Dal prodotto, al cliente, all’anim”. Anche in questo libro, vengono individuati “I 10 comandamenti del marketing 3.0”. Il primo comandamento recita Ama i tuoi clienti e rispetta i tuoi concorrenti.
Stimolo n° 3: sempre nello stesso libro Philip Kotler sottolinea che un punto fondamentale nella strategia di marketing di un’azienda è il dotarsi di una buona mission. Uno degli elementi che rende “buona” una mission è la sua capacità di costruire una narrazione che racchiuda storie in grado di toccare corde profonde dell’anima del consumatore (l’importanza del “come” si dicono le cose insieme al “cosa” si dice).

Vediamo ora di “ricucire” questi tre stimoli.
Nel corso degli ultimi 20 anni siamo passati dalla transazione alla relazione, dall’esperienza all’emozione fino ad arrivare all’amore dei lovemarks e al marketing spirituale.
In realtà tutti gli attuali strumenti di relazione aumentata fanno perno su una delle basi fondamentali dell’umana convivenza: quando diventiamo “amici” di qualcuno su Facebook, quando seguiamo qualcuno o veniamo seguiti da qualcuno su Twitter, quando cerchiamo di convincere un cliente ad acquistare un prodotto o lo accogliamo nel mondo della marca, ci stiamo rapportando con una persona, non con un nodo della rete, con una macchina o con un “semplice” consumatore.
Il contatto quotidiano con i clienti e il confronto con i “nativi digitali” che collaborano con la mia agenzia mi rafforzano in una convinzione di lunga data: oggi, soprattutto in questi tempi di incertezza e di difficile congiuntura economica, non esistono automatismi, meccanismi predefiniti o scorciatoie: per lavorare con successo e efficacia “con” e “nei” social media, dobbiamo ritrovare il gusto di incontrarci, conoscerci, confrontarci in maniera schietta, autentica e alla pari con chi abbiamo di fronte, siano essi clienti attuali o potenziali, stakeholder o pubblici influenti, dell’organizzazione.
Quasi sempre, da una relazione virtuale si passa, nel tempo, al contatto, alla relazione vis a vis. In quel frangente scatta il “momento della verità” dove conta la nostra autenticità, la nostra capacità di costruire relazioni in maniera positiva e senza ambiguità con l’altro.
Prima del business, del numero dei contatti, dei follower di amici, è la persona alla base di qualsiasi processo collaborativo in tutta la sua complessa interezza: cervello, anima e corpo.
Dobbiamo quindi abbandonare l’illusione della verticalità: organigrammi, gerarchia, dipendenze, posizioni di forza, pretese di inculcare il messaggio in modo unidirezionale e persuasivo, hanno perso la loro forza.
In altre parole dobbiamo “andare là dove sono le persone e non pensare che le persone vengano dove siamo noi”.
Per troppo tempo imprese, relatori pubblici e comunicatori, si sono illusi di poter controllare lo spin nel lancio del loro messaggio.
Il brand (e il suo mondo di narrazione) appartengono ai consumatori non alle imprese; il messaggio, una volta emesso, è affidato alla comprensione e all’uso (anche distorto e di parte) di chi lo riceve. Noi possiamo creare le condizioni e usare tutta la nostra esperienza per preparare il contesto alla ricezione del messaggio; ma una volta che quest’ultimo è stato accolto dall’interlocutore dobbiamo fare un passo indietro e, con molta umiltà (altro atteggiamento secondo me fondamentale per tutti coloro che utilizzano i media sociali), cercare di comprendere e accettare le percezioni dell’altro, in una visione basata sulla reciprocità, sull’ascolto e sull’equilibrio del potere.
Dobbiamo, in altre parole, cambiare paradigma per guadagnarci la fiducia e la comunicazione dei nostri pubblici. Attraverso comportamenti chiari e diretti, basati sul dialogo, sulla competenza, sull’affidabilità, sull’integrità.
Se è sempre più vero che il “prodotto sta al consumatore e l’esperienza sta alla persona” dobbiamo passare da un comunicazione emessa ad una comunicazione “guadagnata”. Dove per guadagnata intendiamo “meritata”.
Dalla fusione dei tre stimoli posti in apertura emerge un ulteriore elemento: tutti noi siamo cantastorie del terzo millennio. Come una volta i cantastorie erranti erano promotori e diffusori della cultura dominante così oggi il nostro principale sforzo è quello di creare e mantenere senso attraverso la narrazione in un mondo – anche aziendale – sempre più eterogeneo e sfilacciato.
Il contesto attuale ci ha regalato dei potentissimi dispositivi narrativi ma questi nuovi dispositivi sono vuoti e sta a noi comprendere e usare al meglio le modalità di narrazione che, da migliaia di anni, continuano ad evolversi.
Come fa un’azienda a raccontarsi attraverso Twitter?
Come e cosa raccontare sulla bacheca di Facebook?
Come è cambiato il design dell’informazione e della narrazione con nuovi device quali i tablet?
Come presidiare l’identità di marca o di un’organizzazione in un contesto in cui la narrazione lineare – causa/effetto – non esiste più?
Personalmente ritengo che la risposta a queste domande, e che sono sicuro emergeranno nel corso del convegno, hanno a che fare sia con la tecnologia sia con la cultura intesa come “collante di senso” all’interno di un’azienda, di un’organizzazione e, più in generale, di un contesto caratterizzato da un’ecosistema mediale sempre più affollato e sfaccettato in cui nuovi media si affiancano a media (e contenuti) tradizionali che vengono consumati in maniera totalmente nuova (pensiamo a chi guarda la tv commentando su Twitter o su chi anima forum sui reality show).
Di sicuro, siamo già tutti profondamente immersi e sintonizzati, anche se ancora meravigliati e poco consapevoli, in questi cambiamenti che, prima ancora di far emergere nuovi modelli di business, stanno modificando profondamente il nostro modo di pensare, selezionare, processare e creare nuova conoscenza.
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