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Vivaldelli (UPA): nell'Influencer Marketing cruciale il ruolo degli operatori professionali

30/09/2021

Redazione

Lo scorso 14 settembre UPA ha organizzato a Milano un convegno dedicato all'Influencer Marketing 2021. Su iniziativa di Carmelo Stancapiano, abbiamo intervistato Alberto Vivaldelli, Responsabile Digital di UPA. Ne è emersa una bella chiacchierata sui limiti e le opportunità dell'Influencer Marketing.

di Carmelo Stancapiano

Lo scorso 14 settembre si è tenuto a Milano, presso il Teatro Parenti, il convegno “Influencer Marketing 2021”, organizzato dall’UPA - Utenti Pubblicità Associati. L’obiettivo era quello di mettere a fuoco un nuovo mercato del mondo della comunicazione che, anche se in crescita, è ancora di piccole dimensioni, e che nonostante la notorietà di alcuni protagonisti presso il grande pubblico sotto certi versi è ancora poco conosciuto. L’evento è durato quasi 7 ore ed hanno partecipato come relatori circa 30 esperti. L’adesione è stata alta con 150 persone presenti in sala e oltre 1000 collegate online.

Bisogna ringraziare l’UPA per aver promosso questo incontro che ha stimolato l’esigenza di approfondire questo tema. Con il risultato che ha chiarito alcuni aspetti e smitizzato alcune leggende metropolitane circolanti intorno al settore. Ovviamente vi sono ancora alcuni lati oscuri in particolare la misurazione e il calcolo del ritorno degli investimenti avvalendosi possibilmente di terzi indipendenti. Uno degli aspetti positivi è che è stato definito cosa comporta un investimento nel settore in termini di risorse (legali, creator, agenzie, società di certificazione e personale aziendale con adeguata preparazione) per assicurare la riuscita dell’investimento e la tutela del brand (patrimonio aziendale inestimabile). Un aspetto importante è anche la necessità di una maggiore trasparenza nei confronti del consumatore e perlomeno da parte delle medie/grandi aziende una focalizzazione su metriche più solide dei semplici like e follower. Chiarezza dovrà essere fatta anche sul linguaggio di base dove il significato di termini: Influencer, Ambassador e Testimone dovranno essere chiari a tutti. In particolare il termine influencer è ormai inflazionato poiché non è solo usato dai giovani ma anche da chi si occupa di intrattenimento e/o comunicazione. Capita che lo stesso protagonista per lo stesso prodotto si presenta con abiti diversi creando confusione ai destinatari. Sta acquistando rilevanza la figura del Creator che stimola ragazze/i  a misurarsi in continuazione; in questa ottica è interessante la dichiarazione del rappresentante di TIKTOK “ …li chiamiamo creator e non influencer proprio perché  su TIKTOK il contenuto è al centro e quindi sulla creatività, e non sulla popolarità che i creator riescono a costruire connessioni più profonde con la community  e con le aziende…”

Speriamo che questi incontri continuano con particolare attenzione alle piccole aziende ed attività commerciali che non avendo risorse adeguate sono spesso irritate dal “sottobosco del settore” che prospettando le possibilità di moltiplicare i like e post  favorevoli in realtà propongono a costi non sempre giustificati  delle televendita ( Basta navigare sulla rete dove si trova di tutto e di più per capire le mille possibilità che Internet offre per migliorare automaticamente qualsiasi performance).

Termino con una nota di costume. All’inizio del duemila proliferando l’uso di PR sugli organi di informazione da parte di persone che facevano i lavori più strani. Ferpi valutò la possibilità di avvalersi di uno studio legale nei loro confronti per tutelale la propria professionalità. Recentemente ad una presentazione del mondo consumer parlando con dei giovani questi si sono presentati come “Influencer”! Che PR non sia più di moda?

UPA continuerà a monitorare il mercato dell’Influencer Marketing? Se sì, in che modo?

Il monitoraggio dell’influencer marketing da parte di UPA è nato intorno al 2015, su input di alcune aziende. Per un paio d’anni è rimasto un tema tiepido, poi d’improvviso è stato oggetto di un’attenzione crescente che lo ha posto come priorità di lavoro in associazione, internamente e all’esterno con il recente evento pubblico che abbiamo organizzato. Doveva essere un evento “one shot”, ma molti brand e operatori del mercato ci hanno chiesto di ripeterlo. Sicuramente aggiorneremo le stime di investimento economico regolarmente, vedremo poi se ripetere il convegno già nel 2022, magari apportando delle innovazioni. In parallelo non dimentichiamo il monitoraggio costante che facciamo in IAP, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria che con la Digital Chart ha saputo dare più forma e responsabilità ad un mercato frammentato.

Quali gli aspetti positivi emersi dal convegno? Quali le aree di miglioramento?

Gli aspetti positivi emersi sono oggettivamente molti. Le aziende più grandi hanno presentato case history molto variegate per obiettivi e strategie di utilizzo dell’influencer marketing, corredandole con KPI molto chiari e solidi. Le agenzie di comunicazione, di tutte le estrazioni, iniziano a padroneggiare il fenomeno e a fornire un prezioso supporto alle aziende. Gli editori e le piattaforme hanno un ruolo proattivo nel mercato e propongono progetti di comunicazione sempre più articolati. Rimangono però alcune difficoltà: mancano misurazioni granulari e indipendenti, è difficile capire il giusto prezzo degli influencer, la loro gestione è estremamente frammentata, a parte pochi volti ormai arcinoti. Esiste anche un tema lessicale: l’etichetta Influencer Marketing sta diventando troppo larga e inclusiva di fenomeni diversi. Anche se non esiste una tassonomia unica esistono diverse tipologie di influencer. Gli influencer classici, veicoli soprattutto di visibilità per prodotti/servizi e brand, siano essi celebrity o più piccoli; i creator, che si distinguono per la loro capacità di generare contenuto appealing per gli utenti; gli esperti di settore che fanno leva sulla loro autorevolezza; i brand ambassador, che instaurano un legame duraturo con un brand e sono i più assimilabili ai classici testimonial.

Sono nate anche associazioni di categoria con l’obiettivo di regolarizzare la professione, ma si ha la sensazione di trovarsi ancora in una fase che qualcuno nel corso dell’evento ha definito da “Far West”. Qual è la sua opinione?

Sicuramente il fatto che si senta l’esigenza di esprimere punti di vista condivisi nei “corpi intermedi” è sempre un segnale di buona volontà per creare fiducia nel mercato. Il segnale più rilevante in tal senso, secondo me, è l’adesione degli operatori di influencer marketing allo IAP, perché lì le regole nascono con lo scrutinio diretto di UPA e delle altre associazioni di categoria del mondo della comunicazione e sono quindi rispettose di tutti i punti di vista. Per il resto mi sembra che la qualificazione della professione di influencer viva una fase tattica. Si procede per tentativi o in modo reattivo rispetto a problemi o emergenze, senza riuscire ancora a programmare. La sfida sarà ancora più rilevante quando il ruolo di opinion leader degli influencer verrà riconosciuto dalla comunicazione pubblica.

La scorsa estate SKY ha trasmesso un documentario “Fake famous: vita da influencer” che non è stato molto tenero, in particolare con i micro-influencer. Secondo lei perché le aziende scelgono di investire su questi ultimi?

Una delle classiche domande dell’ufficio marketing che ha già deciso di utilizzare gli influencer nella propria strategia è: meglio 1 influencer da 1.000.000 di follower o 10 influencer da 100.000 follower? Chiaramente non esiste una risposta unica, ma gli influencer più piccoli hanno guadagnato quote di mercato nel tempo.

I microinfluencer solitamente sono persone con network non troppo numerosi ma affini al target di riferimento delle aziende, nei quali giocano un ruolo di opinion leader. Sono spesso percepiti come credibili dal loro network perché più vicini e quindi “autentici” rispetto alle celebrity. È semplice inoltre aggregarne decine (o centinaia) per raggiungere i numeri grandi che cercano i marketer.

La difficoltà di distinguere fra influencer con network solidi o fake rimane uno dei problemi principali da gestire quando si usano i microinfluencer. Il ruolo degli operatori professionali nell’ aiutare le aziende ad affidarsi a profili veri e auspicabilmente efficaci è cruciale.


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