Anche in Italia si afferma il fenomeno Pimby
27/06/2008
Intervista a Patrizia Ravaioli, presidente Associazione Pimby.
Siamo culturalmente affetti da sindrome NIMBY – Not In My Back Yard. Sintomo più evidente è il “Si-faccia. Ma-da-qualche-altra parte” pensiero. Il risultato è semplificazione eccessiva in tema di investimenti infrastrutturali e conseguente immobilismo decisionale. In contrapposizione al NIMBY è aperto a sottoscrizioni il Manifesto PIMBY – Please In My Back Yard. L’obiettivo è un cambio di cultura che passi attraverso la regolamentazione del dibattito pubblico che abbia ad oggetto opere di interesse strategico e ad alto impatto territoriale. Ne parliamo con Patrizia Ravaioli, presidente Associazione Pimby che ha conferito lo scorso anno il 1° premio Pimby alle comunità locali che hanno detto Si, a certe condizioni, salvaguardando risultato realizzato, processo decisionale adottato e sostenibilità ambientale perseguita.
In che modo il Manifesto PIMBY definisce il rapporto tra l’atteggiamento non sempre costruttivo delle comunità locali, l’autorità pubblica e l’urgenza di alcune iniziative e decisioni?
Partiamo con il riconoscere che l’atteggiamento NIMBY da parte di comunità locali è un fenomeno internazionale. Il problema specifico dell’Italia è che tale atteggiamento non è gestito così come non è organizzato un metodo risolutivo delle controversie che si determinano. Proprio per questo l’associazione Pimby ha promosso un Manifesto che propone di trovare una soluzione a partire dalla definizione e dalla gestione del processo decisionale. Nel Manifesto prendiamo ad esempio la Francia dove si costituiscono comitati NIMBY, ma dove, al contrario che in Italia, si può giungere a una risoluzione grazie a una legge sul dibattito pubblico che funziona molto bene. Il problema dunque non è la costituzione dei comitati NIMBY ma l’impossibilità di fatto di arrivare a una decisione una volta che si sono costituiti. La proposta del Manifesto è che questi comitati vengano inseriti in processi decisionali chiari e rispondenti a regole che permettano di ascoltare a monte le loro ragioni – come è giusto che sia in un processo democratico – arrivando poi a una decisione finale condivisa. Nel nostro Manifesto affermiamo che i tempi per la discussione di un progetto devono essere certi mentre devono essere chiare le modalità adottate per l’inclusione di posizioni contrastanti o di proposte di miglioramento nello stesso processo decisionale. Il punto è evidente: se si cerca di coinvolgere le persone che rappresentano i territori quando il processo decisionale è sostanzialmente chiuso si determina un coinvolgimento fittizio che rischia solo di esasperare le contrapposizioni e risolversi in un blocco totale a qualsiasi sintesi decisionale.
L’Italia si è distinta per un atteggiamento delle proprie comunità locali piuttosto NIMBY, determinato alla base da una definizione territorialmente limitata di bene comune…
E’ vero che l’Italia continua a distinguersi per un atteggiamento locale di questo tipo, ed è vero che alla base agisce un’imperfetta concezione del bene comune. Secondo me la cosa da mettere subito in chiaro è che adottando un atteggiamento NIMBY si finisce per non fare il bene della comunità locale, basti vedere la situazione attuale della Campania. Il problema, a mio modo di vedere, è più esteso: la sindrome NIMBY sta contagiando tutta l’Italia e non solo per quanto riguarda le infrastrutture, ormai la sindrome NIMBY è una questione culturale del Paese. Voglio dire che tendenzialmente chiunque vuole che si facciano le riforme però che si facciano le riforme al di fuori di quello che è il il suo ambito. Quindi il contesto in cui inquadrare questo discorso è molto più ampio. Dobbiamo anche dire che ci sono dei segnali positivi nel momento in cui da una parte si comincia a discutere dell’intera questione dall’altra parte alcune pubbliche amministrazioni cominciano a reagire, come ad esempio la Regione Toscana che ha fatto una legge sulla partecipazione proprio per regolamentare i processi decisionali. Questo significa che si avverte la carenza di una normativa che ci dia gli strumenti per gestire il processo decisionale sul territorio. Altri segnali li possiamo vedere in termini di opere che vengono realizzate, anche se non sono queste purtroppo a fare notizia; abbiamo avuto 20 progetti candidati per la scorsa edizione del Premio Pimby, quest anno speriamo di averne ancora di più.
Come si identifica una comunità locale che abbia fatto proprio l’atteggiamento del Si a certe condizioni?
Diciamo che il premio PIMBY premia l’atteggiamento costruttivo nel rispetto del territorio, dell’ambiente e del confronto, in termini di democrazia partecipata, con i cittadini. L’obiettivo è promuovere una cultura nuova che sia una “cultura del fare” promuovendo il dialogo tra le amministrazioni locali e la cittadinanza a livello nazionale e territoriale al fine della realizzazione di infrastrutture e impianti indispensabili per la modernizzazione del Paese. In questo senso l’identikit del premio è in linea con i soggetti vincitori PIMBY 2007, ovvero pubbliche amministrazioni che sulla base di un confronto sono riuscite effettivamente a realizzare un’opera, un’infrastruttura. Nello specifico mi riferisco al Comune di Candela che ha realizzato una centrale termoelettrica, per cui la centratura è stata sulla realizzazione di una infrastruttura che ha portato un grande sviluppo nel territorio con 500 persone impiegate e la realizzazione collegata di un impianto di fiori recisi in serra tra i più grandi in Europa. In secondo luogo mi riferisco al premio dato Comitato Locale di Controllo del termovalorizzatore di Torino Gerbido per la Realizzazione del Termovalorizzatore per cui la centratura è stata sul processo di partecipazione adottato, molto complesso, in cui gli attori del territorio si sono impegnati a condividere tempi, regole e modalità. Infine mi riferisco al Comune di Stella in provincia di Savona premiato per la realizzazione del Parco Eolico e per cui la centratura è stata sulla tutela dell’ambiente. E’ chiaro come le declinazioni dei 3 premi assegnati lo scorso anno riassumano la centratura su sviluppo del territorio, partecipazione e ambiente.
In un processo di crescita “in senso Pimby” quali sono gli attori coinvolti a livelli diversi e quale è il ruolo assegnato a ciascuno di loro?
Tutti sono chiamati in causa, a partire dallo Stato centrale. Secondo me è molto importante che lo Stato centrale si ponga il problema di fare una normativa, così come proposto nel nostro Manifesto, che consenta la gestione di un dibattito pubblico equo, che coinvolga tutti i portatori di interesse ma che arrivi in tempi certi a una decisione. Quindi lo stato centrale ha un ruolo forte e la soluzione non è la “legge obiettivo” che ha creato grossissimi problemi. Le pubbliche amministrazioni locali sono ovviamente gli attori principali, però in un momento in cui la democrazia rappresentativa è entrata in crisi non è sufficiente l’istituzione in quanto tale, occorre attuare dei modelli di democrazia diversi, in primis la democrazia partecipata, attraverso le metodologie e le tecniche di ascolto dei cittadini – dai focus group all’animazione territoriale alle ricerche di azione partecipata -ovvero tutte quelle che sono le tecniche di ascolto del territorio nella definizione dei progetti. Terzo protagonista sono sicuramente i cittadini: sono loro i portatori di interesse che devono essere coinvolti a priori in modo costruttivo, fatta propria la consapevolezza che bisogna arrivare a una decisione. Infine un ruolo assolutamente importante è giocato dai media e dalle voci a vario titolo autorevoli nella società.
tratto dalla Newsletter di Forum PA