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Charity Navigator: una bella lezione US al non profit nostrano

02/12/2010

Un modo per aiutare i donatori a scegliere: è Charity Navigator, uno strumento di valutazione precisa ed efficace dei bilanci delle non profit statunitensi. _Giangi Milesi_ racconta l’esperienza italiana e propone di trarre una lezione di trasparenza dall’esperienza USA.

di Giangi Milesi (*)
Un articolo di Stephanie Strom pubblicato su The New York Times del 26 novembre scorso presenta l’evoluzione dello strumento che il 10 per centro dei donatori americani utilizza per valutare l’organizzazione non profit prima di sostenerla.
Proprio studiando questa e altre esperienze internazionali, otto non profit italiane (Airc, Aism, Cesvi, Lega del Filo d’Oro, Save the Children Italia, Telethon, Unicef Italia e Wwf Italia, con il supporto di Avanzi) si sono riunite in un “tavolo di confronto”. Ferpi ne ha dato notizia con soddisfazione sul sito e sul periodico all’inizio del 2009.
L’iniziativa italiana è limitata rispetto alla grande numerosità delle organizzazioni del privato sociale di casa nostra, ma ha trovato ampio consenso e ricevuto il plauso dell’Agenzia governativa per le Onlus. Volontariamente le otto non profit si sono sottoposte a una sorta di riclassificazione dei propri bilanci per rendere confrontabili i rispettivi indici di efficienza (l’incidenza dei costi generali e di raccolta fondi sugli investimenti per le finalità istituzionali). Il donatore di queste organizzazioni già sapeva quanta parte andava allo scopo sociale, ora può mettere questa informazione a confronto con le altre organizzazioni basandosi su dati omogenei. Che è quello che storicamente fa Charity Navigator che però – come spiega la Strom – negli ultimi anni sta cercando di dare ai donatori anche strumenti per valutare l’efficacia dell’operato delle Charities. E anche il “tavolo di confronto” italiano sta lavorando in questa direzione cercando di mettere a punto indicatori di efficacia. Ma mentre gli indici di efficienza sono dati numerici, quelli di efficacia sono in gran parte dati qualitativi e soprattutto diversi a secondo della missione dell’organizzazione. Ciò non impedisce che si mettano a punto almeno metodologie comuni a partire dalla trasparenza degli obiettivi a cosa si fa per rispettarli per arrivare alla valutazione (meglio se indipendente) dei risultati raggiunti.
Governance, obiettivi, piani strategici e valutazioni delle attività e dei risultati sono già oggetto dei bilanci sociali/di missione delle non profit più serie; sicuramente delle otto impegnate nel “tavolo di confronto”.
La diffusione dell’annual report come cuore dell’accountability delle organizzazioni del privato sociale è imprescindibile perché in Italia nascano strumenti come Charity Navigator.
Purtroppo in Italia i bilanci vengono redatti dalle non profit, ma non sempre pubblicati. Anche l’efficienza si preferisce misurarla sulle singole campagne di raccolta fondi piuttosto che sul bilancio generale dell’organizzazione. Ma in questo modo si valuta il marketing più che l’impatto sociale dell’organizzazione. Il donatore, come spiegano dal Charity Navigator, vuole comprendere quali organizzazioni fanno la differenza e quindi fra le spese generali bisogna distinguere e valutare gli investimenti destinati alla formazione del personale, all’innovazione, alle nuove tecnologie, a tutto ciò che fa evolvere l’organizzazione per renderla più efficace e capace di raggiungere i propri obiettivi.
Negli USA lamentano che “solo” il 30% dei donatori utilizzano strumenti di valutazione preventiva delle Charities. Come avvicinare l’Italia a una simile consapevolezza? Dopo l’emanazione da parte dell’Agenzia per le Onlus delle linee guida per il bilancio d’esercizio e di quello sociale, la risposta potrebbe venire dalla creazione di un luogo (reale o virtuale) dove depositare tali bilanci. Il nostro Oscar di Bilancio potrebbe candidarsi a farlo.
(*) Presidente Cesvi, delegato Ferpi per il non profit
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