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Comunicare con i migranti non sarà più una scelta ma diventerà presto una necessità. I comunicatori

25/10/2007

Ancora poche imprese e pochi relatori pubblici sembrano interessarsi al tema della gestione e della valorizzazione della diversità: lo dimostra la presenza all'incontro promosso da Ferpi e Sodalitas.

Il seminario "Un mercato che cambia: come gestire e valorizzare la diversità", organizzato nei giorni scorsi in Assolombarda, ha visto una presenza di colleghi e di imprenditori inferiore alle previsioni.
Sulla carta l'argomento aveva tutte le caratteristiche per interessare sia la nostra comunità sia quella delle organizzazioni nostre clienti: veniva offerta un'occasione per capire come gestire e valorizzare le differenze culturali e quindi per ottenere risultati migliori per tutti.
Sono convinta che la grande maggioranza dei colleghi – se interpellata – confermerebbe che per elaborare strategie di comunicazione efficaci non si può sottovalutare questo tema.
Così come tutti sarebbero concordi nell'affermare che il problema dei flussi migratori ha dimensioni importanti e che è in continua crescita. Questo in teoria ci dovrebbe spingere  a ripensare il  modello, il linguaggio, le tecniche, i mezzi che utilizziamo per comunicare con questi nuovi pubblici tanto diversi tra loro.
L'incontro di venerdì scorso – con la presenza come relatori di giornalisti e imprenditori migranti –  aveva l'obiettivo di avviare una riflessione partendo dai termini usati per parlare dell'argomento.
Che significato hanno oggi parole come extracomunitario, clandestino, migrante? Oppure termini quali  migrazione, integrazione, diversità, identità? Vengono usate con cognizione di causa? Qual è  il linguaggio più corretto?
Sempre parlando di comunicazione e informazione,  si è discusso se è opportuno prevedere, per esempio, una comunicazione che preveda testi in diverse lingue o se questo fatto può essere visto negativamente dai molti che si sentono cittadini italiani a tutti gli effetti.
Secondo Augustin Mujyarugamba, presidente di Aipel, e José Galvez, responsabile di Impresa Etnica, i migranti devono imparare nel più breve tempo possibile la lingua italiana. Sarebbe quindi sbagliato rivolgersi a loro con messaggi tradotti nelle lingue dei loro paesi di origine (oltre al problema di gestire messaggi multilingue in Italia dove sono presenti migranti provenienti da oltre 190 paesi).
Ci sono naturalmente alcune eccezioni, quali la comunicazione per la sicurezza sui cantieri e la comunicazione sanitaria, dove non si può aspettare che il migrante padroneggi la lingua, essendo in gioco la salute se non la vita stessa.
E il problema dell'analisi di un mercato che cambia e della comunicazione che deve considerare questi nuovi cittadini si complica anche perchè tra i migranti ci sono persone che sono in Italia da molti anni, altri arrivati da poco tempo, altri ancora di migrazione recentissima. C'è poi chi aspira a tornare nella propria terra e chi invece ha scelto l'Italia quale paese nel quale vivere definitivamente. E ancora, ci sono le seconde e le terze generazioni, che hanno esigenze e aspirazioni diverse.
Il grande numero dei migranti e la complessità del problema ha suggerito al Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità di creare un Ufficio dedicato alle discriminazioni non solo sul luogo di lavoro, ma anche di rappresentazione (quindi di immagine).
Marco Buemi di UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha ricordato che per rispettare i diritti delle persone migranti non sono sufficienti codici deontologici e leggi. Ed è per questo che, per esempio, si stanno organizzando Tavoli di Lavoro con i giornalisti (perché non con i relatori pubblici?).
Un altro tema importante riguarda il modello di integrazione. L'Italia potrebbe applicare un modello pluralista simile a quello adottato in Belgio, Olanda, Inghilterra o quello assimilazionista presente in Francia? In realtà sembra, per il momento, prevalere un approccio  tutto italiano che però  non può definirsi un "modello" ma piuttosto un'insieme di scelte più meno casuali.
Infatti il problema della discriminazione è ancora molto diffuso nel nostro paese dove, per esempio, il colore della pelle è ancora oggi uno dei principali "marcatori etnici"  affiancato a quello della religione.
 Durante la tavola rotonda, dedicata alle imprese e coordinata da Alessandro Beda di Sodalitas, è emerso un dato importante: la necessità ancora molto forte, tra gli imprenditori migranti, di farsi accettare come persone. Un aspetto sottolineato  sia da Astit Cela, albanese da molti anni in Italia, sia da Jugessur Narain, nativo delle Mauritius che offre la sua consulenza a chi intende aprire un'impresa in Italia.
Carlo Bonomi di Assolombarda ha invece ricordato un dato positivo: il tasso di mortalità delle nuove aziende  è più basso tra quelle create da migranti rispetto a quelle fondate dai nativi (1/3 tra i migranti e 2/3  tra i nativi). Segno questo anche della maggior creatività e della voglia di successo delle persone migranti.
Sul tema del diversity management, un contributo interessante è arrivato da Filippo De Caterina che, come Direttore Comunicazione Istituzionale de L'Oreal,  ha illustrato la strategia delle équipe multiculturali. La scelta di L'Oreal è stata quella di inserire  all'interno della propria organizzazione  tante diversità: questo consente all'azienda  di identificare tutti i propri interlocutori strategici  e di promuovere con ciascuno di essi relazioni positive.
L'Oreal si sta preparando per il 2009, anno in cui celebrerà il suo centenario, a completare il processo di  trasferimento del valore della diversità (principio presente nella propria carta dei valori) a tutti i dipendenti, anche attraverso momenti di formazione e strumenti di comunicazione interna. Per gestire la diversità occorrono infatti competenze analitiche, culturali e relazionali.
Il tema del ruolo dei comunicatori e dei media per migliorare il dialogo tra nativi e migranti è stato poco affrontato. Per esempio, la domanda relativa a come risolvere il problema di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per elaborare strategie e messaggi adeguati  per cittadini-consumatori  differenti, non  ha trovato risposta.
Ma se  tutti concordano che stiamo attraversando un momento di grande trasformazione,  perchè le organizzazioni non pensano di rimettere in discussione le proprie strategie di gestione e di comunicazione? Potrebbe essere un'occasione per ripensare  i processi interni, per rinnovare anche le strategie, per rivedere le modalità di approccio al mercato.
 
Rossella Sobreror.sobrero@koinetica.net
 
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