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Comunicazione e informazione, un confine sempre più labile

03/04/2014

Esiste ancora un confine netto fra comunicazione e informazione? Ma soprattutto, ha ancora senso? Il web costringe le aziende sempre più ad interagire direttamente con i propri stakeholder, e per farlo debbono necessariamente soddisfare le loro esigenze, anche informative. L’opinione di _Daniele Chieffi._

di Daniele Chieffi
Gli uffici stampa, si sa, fanno comunicazione, ovvero cercano di costruire messaggi positivi per l’azienda che rappresentano, per poi veicolarli attraverso i media e ottenere, così il consenso e la “benevolenza” del pubblico di riferimento. I giornalisti, invece, informano il proprio pubblico in maniera indipendente, affinché questo si formi un’opinione critica sulla realtà. Sin qui le definizioni accademiche e tralasciamo le parti di grigio che pur ci sono. Ma questa differenziazione netta fra comunicazione e informazione ha ancora senso?
Molti conosceranno Che futuro il magazine online diretto da Riccardo Luna dedicato all’innovazione digitale. Menzione d’onore come migliore blog per il Sole24Ore, ormai un luogo d’informazione autorevole sul mondo che cambia grazie alla digitalizzazione. Solo che si tratta di un’operazione di comunicazione, completamente sostenuta da Che Banca, del gruppo Mediobanca. In questo caso, siamo di fronte a informazione o comunicazione?
Ciò che ha messo in crisi la differenza (già prima, a volte un po’ consolatoria) fra comunicazione e informazione è, manco a dirlo, il Web e per una dinamica molto semplice: la Rete sta costringendo le aziende a interagire direttamente con i propri stakeholders, col proprio pubblico di riferimento e per farlo debbono necessariamente soddisfare quelle che sono le esigenze di quegli stessi stakeholders. Esigenze legate al confronto diretto sulla qualità dei servizi erogati e alla trasparenza del proprio operato (e qui parliamo di caring) ma anche e soprattutto quelle legate all’informazione e all’approfondimento su temi e argomenti che interessino questo stesso pubblico. Così, CheBanca, che nasce e opera quasi completamente online, ha pensato bene che al proprio pubblico di riferimento – molto digitalizzato – oltre che risolvere qualche bega sul funzionamento del conto o della carta di credito, interessasse approfondire proprio le tematiche legate all’innovazione digitale e così è nato Chefuturo, sul quale, il brand “madre” è al limite dell’invisibilità, sia come simbologia, sia, soprattutto come contenuti promozionali. Ottima operazione di brand reputation e quindi di comunicazione, si dirà, ottima operazione di informazione, aggiungo io e sfido a tracciare un confine netto fra questi due aspetti.
La questione è tutta qui. Le aziende devono sempre più incarnare un ruolo informativo nei confronti dei propri stakeholders perché è la dinamica comunitaria del web a richiederlo. Se sei in una community questa si aspetta che tu le porti valore e il valore sono le informazioni sul nesso di coesione della community stessa, ovvero il tema, l’argomento, la necessità per cui le persone si sono digitalmente raggruppate.
Ma come si concilia, in concreto, questo ruolo d’informazione con l’esigenza della comunicazione, per un’azienda? Ogni soggetto opera in un dato settore economico e ne è interprete e depositario di know-how, dati, approfondimenti, expertise. Se le persone acquistano beni e servizi di quel settore è perché ne hanno necessità e quindi esprimono esigenze informative, per esempio, su un uso efficace ed efficiente di quello stesso bene o servizio, su come risparmiare, ottenere una migliore performance, scegliere in maniera più consapevole, quali siano gli scenari, le nuove scoperte, ecc. Su questo l’azienda può e deve essere pars construens nell’informare, senza un fine immediato in termini promozionali. Deve, in buona sostanza, attrezzarsi per portare valore ai propri stakeholders.
Si tratta di un’operazione di umiltà culturale per le aziende stesse, che si devono sempre più trasformare in news company e riuscire a comprendere e decifrare le esigenze dei propri stakeholders e soddisfarle, senza pensare immediatamente al ritorno commerciale.
Si tratta di una nuova modalità di gestione delle media relations (l’unica che abbia realmente senso nel mondo del web), in grado di portare grande valore anche ai media stessi. I giornalisti hanno come missione quella di “servire” l’esigenza informativa del proprio pubblico. Veicolare attraverso i propri giornali questo sforzo di servizio all’informazione delle aziende non può che essere un enorme vantaggio. L’importante è la solidità etica del rapporto. L’obiettivo è fornire le informazioni che il pubblico cerca, obiettivo comune ad aziende e giornali. Il meccanismo è auto-sostenuto, non deve quindi essere inquinato da aspetti economici come le pianificazioni pubblicitarie. Elemento che, spesso, non sono le aziende a inserire.
Se n’era iniziato a parlare al Festival del giornalismo:

Fonte: OLMR
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