Crescita o decrescita? I nuovi indicatori del benessere e il ruolo della comunicazione
02/11/2011
La validità del PIL è sempre più messa in discussione. Secondo alcuni è un indicatore ormai obsoleto. Così come superata è l’idea che la crescita sia legata necessariamente ad un concetto positivo e la decrescita a qualcosa di negativo. _Rossella Sobrero_ evidenzia come sia necessario introdurre nuovi indicatori di benessere e come i comunicatori possano collaborare a questo cambiamento.
di Rossella Sobrero
Nei giorni scorsi a Parigi sono stati discussi i risultati raggiunti in due anni di lavoro dalla Commissione Stiglitz–Sen-Fitoussi chiamata a valutare l’adeguatezza o meno del PIL, un indicatore che anche alcuni economisti liberisti iniziano a considerare superato.
Sempre in questi giorni è tornato alla ribalta il tema della decrescita, teoria alternativa che contrappone alla continua crescita dell’economia una diversa visione delle cose.
Entrambi questi argomenti, la ricerca di nuovi indicatori e l’urgenza di definire nuovi parametri di sviluppo, interessano in modo particolare i comunicatori più attenti ai cambiamenti sociali. Soprattutto per il ruolo strategico che la comunicazione può giocare in uno scenario in così rapida trasformazione.
Vecchi e nuovi indicatori
Il PIL, come è noto, misura il valore monetario delle merci scambiate con denaro nel corso di un anno, quindi dà conto solo dell’entità dei profitti che si accumulano lungo la filiera che va dalla estrazione delle risorse naturali alla loro trasformazione in semilavorati, alla trasformazione dei semilavorati in prodotti finiti, alla gestione dei rifiuti in cui si trasformano i prodotti finiti al termine della loro vita utile.
Secondo molti il reddito monetario è un indicatore di benessere poco attendibile perché, per esempio, si alza quando un Paese investe risorse per una guerra o per la ricostruzione dopo una catastrofe ambientale. Inoltre è poco attendibile anche rispetto alla salute: l’andamento tra la crescita di questo indicatore e il benessere che deriva dalla buona salute delle persone è infatti inversamente proporzionale. Un altro limite del PIL è che non misura i beni autoprodotti né i servizi che non passano per l’intermediazione (come quelli che vengono gestiti all’interno delle famiglia).
La Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi ha valutato opportuno implementare il PIL con dati statistici integrativi non direttamente riconducibili alle attività economiche e produttive. Una proposta da molti giudicati non risolutiva ma che ha il merito di aver messo in luce i limiti del PIL come strumento di misurazione della performance economica e del progresso sociale.
Il tema della decrescita
Secondo Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, la decrescita non va considerata un problema di carattere etico o filosofico ma deve essere ricondotta alla sfera economica.
In economia, il termine crescita è stato fino ad oggi associato al concetto di sviluppo e quindi la crescita deve essere necessariamente positiva. Quando davanti a questo termine si inserisce “de”, un prefisso privativo, si può erroneamente credere che nella società verrà a mancare sviluppo economico (il termine decrescita può avere anche valenze positive: per esempio, può decrescere il debito pubblico etc.).
Nel nuovo paradigma culturale della decrescita, l’indicatore della ricchezza non è più rappresentato dal reddito monetario, cioè la quantità di merci che si possono acquistare, ma dalla disponibilità di beni necessari a soddisfare i bisogni delle persone.
Un tema importante su cui viene posto l’accento è quello dello spreco. Per esempio, una casa mal costruita consuma molto di più di un’altra edificata pensando alle modalità migliori per evitare lo spreco di energia: non sempre infatti la quantità corrisponde alla qualità. Se utilizziamo molta energia per ottenere un ambiente confortevole ma gran parte di questa energia viene sprecata non abbiamo ottenuto un miglioramento della qualità della vita ma abbiamo solo sprecato risorse. Il paradosso è che un edificio mal coibentato fa crescere il PIL più di un edificio ben coibentato perché consuma maggiori quantità della merce energia anche se gran parte di quella merce è stata male utilizzata.
Alcune considerazioni
Queste poche note mettono in evidenza la necessità di consumare in modo più responsabile, adottare comportamenti virtuosi capaci di evitare gli sprechi, cercare soluzioni che portino vantaggi per l’ambiente, la collettività, le persone.
Secondo Maurizio Pallante (in questo giorni è in uscita il suo ultimi libro pubblicato da Bruno Mondadori, Meno e meglio ), la decrescita non è la riduzione quantitativa della produzione e nemmeno la riduzione volontaria dei consumi per ragioni etiche o filosofiche (la rinuncia implica una valutazione positiva di ciò a cui si rinuncia). La decrescita è il rifiuto razionale di ciò che non serve.
Diventa urgente rimettere in discussione concezioni e teorie che hanno portato alla situazione attuale e parlare di un nuovo paradigma sociale ed economico: il nostro futuro dipenderà dalla capacità di effettuare in tempi rapidi alcune scelte importanti.
I giornalisti, i comunicatori pubblici, i pubblicitari possono – se vogliono – contribuire al cambiamento stimolando il dibattito sul tema ma anche contribuendo a sensibilizzare le organizzazioni e a coinvolgere le persone in un processo di conoscenza (e, perché no, anche di condivisione).