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Dal disordine informativo una sfida epocale

22/01/2025

Biagio Oppi, Direttore Comunicazione Esterna Pfizer Italia

Tanti stimoli per la comunicazione responsabile sono generati dal recente dibattito sullo strapotere delle grandi piattaforme digitali, le opinioni su fact checking, disinformazione e misinformazione.

È di recente uscito su Lancet (Volume 405, Issue 10474, January 18, 2025) come editoriale il pezzo Health in the age of disinformation che, insieme al recente annuncio di Facebook sulla chiusura del fact checking, ha contribuito a generare una qualche forma di dibattito anche sui media nostrani. Non ancora abbastanza, tuttavia, rispetto ad alcuni temi fondamentali per la comunicazione, le relazioni pubbliche e l’informazione.

 

TEMI EMERGENTI

Ne scorgo almeno tre che si intersecano e che dovrebbero interessarci come comunicatori e professionisti di relazioni pubbliche:

  • il primo è la sfida epocale del disordine informativo che sta investendo l’intero globo e che minaccia le democrazie e la fiducia in esse;
  • il secondo è lo stra-potere sull’accesso all’informazione esercitato dalle grandi piattaforme digitali, social network, messaggistica, ricerca online e IA generativa;
  • il terzo è la reciproca influenza tra nuovo corso americano, economia e piattaforme digitali, che crea un evidente rischio di corto circuito tra advocacy-lobby, consenso elettorale e decisioni politiche.

 

Mentre chiederei ad altri colleghi di intervenire sul secondo e terzo tema, provo a offrire un piccolo contributo sul primo, il disordine informativo, che ha direttamente a che fare con la nostra ambizione di fare comunicazione responsabile, in particolare nell’ambito della salute pubblica.

 

DISORDINE INFORMATIVO

Come già riconosciuto il disordine informativo può essere suddiviso in tre grandi aree (cfr. Valigia Blu):

  • disinformation (disinformazione)
  • misinformation (misinformazione)
  • malinformation (mal-informazione)

 

La disinformazione consiste nella creazione di contenuti intenzionalmente falsi con l’obiettivo di causare un danno a una persona, a un gruppo o a una causa sociale. Può essere motivata da vari fattori: per guadagnare soldi, per creare pressione politica (nel proprio paese o all’estero) oppure semplicemente per il gusto di causare problemi e generare confusione.

 

Quando la disinformazione viene diffusa sui social network spesso può convertirsi in ‘misinformation’: si realizza quindi nei casi in cui il contenuto disinformativo viene condiviso da una persona che non è consapevole che esso sia falso o ingannevole.

 

Infine abbiamo la malinformation più complessa da tradurre in italiano, ma che può esser ricondotta a un’informazione vera condivisa con l’obiettivo di causare un danno (Valigia Blu fa l’esempio dell’hackeraggio email di Hillary Clinton per danneggiarne la reputazione in campagna elettorale).

 

LA SALUTE PUBBLICA A RISCHIO

L’editoriale di Lancet afferma che “Le informazioni errate sulla salute (dati falsi o fuorvianti condivisi involontariamente) e la disinformazione (informazioni deliberatamente ingannevoli) non sono nuove, ma la pandemia di COVID-19 ha segnato un punto di svolta. Il senso di ansia e urgenza, unito all'aumento dell'uso dei social media e alle interpretazioni politicamente cariche della pandemia, ha favorito la diffusione di una serie di affermazioni fuorvianti sul virus e sulle contromisure mediche.”

 

Già da prima il fenomeno aveva coinvolto l’ambito della salute, che rimane uno dei più rilevanti perché colpisce direttamente le persone nel bene primario e di conseguenza anche la fiducia che la cittadinanza ha nei confronti delle autorità sanitarie nazionali e internazionali. Non è un caso che le campagne di disinformazione provengano da Paesi e da gruppi di interesse che vogliono minare la fiducia nei sistemi democratici. Cito da Lancet: “Le informazioni errate sulla salute sono state usate come propaganda, sfruttando la paura, minando la fiducia pubblica e ostacolando l'azione collettiva nei momenti critici. Oggi, i contenuti fuorvianti sui social media permeano le informazioni sulla prevenzione e il trattamento del cancro; possono portare i pazienti ad abbandonare trattamenti basati sull'evidenza a favore di alternative sostenute dagli influencer; sminuiscono la gravità delle condizioni di salute mentale; e promuovono integratori non regolamentati che affermano di funzionare per tutto, dalla perdita di peso alla reversibilità dell'invecchiamento. La disinformazione è diventata uno strumento deliberato per attaccare e screditare scienziati e professionisti della salute per guadagni politici. Gli effetti sono distruttivi e dannosi per la salute pubblica.

 

Pfizer ha lanciato in Italia il progetto A DIRE IL VERO proprio per contrastare gli effetti dannosi del disordine informativo in ambito salute e chi vuole può approfondirlo qui https://www.pfizer.it/iniziative/a-dire-il-vero.

Il progetto si focalizza sul pre-bunking, ossia l’educazione degli stakeholder ad una media literacy in ambito salute per prevenire la diffusione di fake news.

 

IL RUOLO CHIAVE DEI FACT CHEKERS E DEI DEBUNKERS

Sono profondamente convinto che l’unico argine agli effetti devastanti di questo fenomeno globale sia una maggior consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche su come funzionano i media, quali siano le fonti affidabili, come si possano individuare fake news e simili.

Quindi un’educazione a monte non solo per i fruitori dell’informazione ma anche per gli operatori dell’informazione. Penso in particolare ai comunicatori di salute e ai giornalisti di cronaca delle testate di provincia. I primi che come comunicatori del sistema salute hanno un’enorme responsabilità e sono produttori di grandi volumi di informazione su temi non semplici; i secondi (i giornalisti delle testate locali) che spesso debbono trattare argomenti di ogni tipo e quando si trovano davanti a temi medico-scientifici hanno legittimi problemi nell’interpretare materie oggettivamente molto complesse e attaccate da disinformatori professionisti. Lo stesso può dirsi anche per altre materie come il cambiamento climatico e i disastri naturali, l’economia e la geopolitica.

 

È qui che il ruolo di fact checkers e debunkers diventa fondamentale. Non tanto nell’offrire informazioni per l’opinione pubblica e le grandi masse di lettori, quanto per il ruolo di intermediari e fonti secondarie per i comunicatori, gli opinion leader e i giornalisti. Il ruolo prezioso di fact checkers e debunkers consiste proprio nell’offrire agli operatori dell’informazione e della comunicazione un filtro piuttosto affidabile, semplice e veloce da fruire a coloro che producono informazione.

E quindi per me il ruolo chiave del fact checking (in ambito salute) non sarà tanto quello di censurare le conversazioni online (dove, come afferma il professor Quattrociocchi sul Corriere, prevale la forma dell’intrattenimento e ci si chiude in echo-chambers), ma quello di fungere da fonti preziose per gli operatori che producono notizie e informazioni, come appunto giornalisti e comunicatori di salute.

 

L’opinione di Lancet è che: “La disinformazione e la misinformazione non possono più essere considerate semplicemente un fastidio accademico, ma piuttosto una minaccia per la società. Solo se riconosciamo questa minaccia e agiamo in modo proporzionato possiamo rispondere al pericolo e combattere la marea di disinformazione e misinformazione che ha il potenziale di minare seriamente la salute pubblica”.

 

Probabilmente Italia ed Europa già oggi e nel prossimo futuro potranno giocare un ruolo costruttivo e propositivo, se riusciranno a non appiattirsi e a mantenere un approccio responsabile alla comunicazione e all’informazione.

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