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Davide Arduini: la comunicazione e le relazioni come leve strategiche

15/10/2025

Ezio Bertino, Delegato FERPI Piemonte e Valle d’Aosta

Ezio Bertino ha intervistato Davide Arduini a Torino, in occasione della presentazione del libro, per approfondire insieme a lui alcune delle domande più urgenti sul futuro della comunicazione e sul ruolo dei professionisti che ogni giorno ne tracciano la rotta.

 

Con “Prendi la borsa e vai” (Fausto Lupetti Editore), Davide Arduini – Presidente di UNA, Aziende della Comunicazione Unite – consegna alla comunità professionale un memoir che è al tempo stesso racconto personale e riflessione collettiva sul mestiere di comunicare.

 

Non un manuale, né un’autobiografia celebrativa, ma un viaggio sincero tra intuizioni, errori, ripartenze e coraggio, che attraversa trent’anni di trasformazioni della comunicazione italiana: dall’analogico al digitale, dall’agenzia tradizionale all’impatto dell’intelligenza artificiale.

 

Per un comunicatore professionista, leggerlo significa misurarsi con la dimensione viva e spesso contraddittoria del nostro lavoro: la costruzione di relazioni di fiducia, la responsabilità civile delle agenzie nella definizione di strategie industriali, sociali e politiche, e la consapevolezza che ogni “borsa” è fatta di valori prima ancora che di strumenti.

 

Siamo al Ribelli-Thinking Hat, Torino. È il 25 settembre 2025. Il pubblico attende, l’aperitivo si avvicina. Io provo a condurre Arduini in un dialogo che non sia solo la presentazione del libro, ma uno spaccato vivo su valori, politiche, futuro.

 

“Hai scelto Torino, una città di media grandezza, con radici e fermenti culturali forti. Cosa significa presentare “Prendi la borsa e vai” qui, oggi?”

Torino è una città che unisce tradizione e innovazione. Presentare qui il libro significa valorizzare un luogo che ha sempre saputo reinventarsi: dall’industria alla cultura, dalla tecnologia alla creatività. È un contesto ideale per parlare di comunicazione come leva di trasformazione.

 

“La borsa” tra memoria e rilancio.

Nel tuo libro racconti le prime borse fatte di idee, carte, contatti. Se quella “prima borsa” potesse parlare oggi, cosa direbbe del mondo della comunicazione del 2025?

Non toglierei nulla, aggiungerei molto. Soprattutto l’esperienza, che allora mancava, e un’attenzione più precoce alla tecnologia. Gli errori ci sono stati, inevitabili, ma hanno insegnato.

 

Oggi quella borsa direbbe che la comunicazione è più complessa, più ibrida, ma anche più potente se guidata da visione, valori e relazioni umane.

 

Scelte controcorrente

Nel corso del tuo percorso hai preso direzioni che non erano “le aspettate”. Qual è stata la decisione più impopolare che hai dovuto difendere – dentro la tua agenzia, dentro UNA – e che oggi giudichi indispensabile?

In agenzia, sicuramente la fusione con un’altra società in piena pandemia, nel 2020. Era un salto nel buio, non sapevamo cosa sarebbe successo, ma credevo nella forza della visione e nella complementarità dei team. È stata una scelta rischiosa, ma vitale.

 

In UNA, invece, la scelta più forte e controcorrente è stata quella di creare una piattaforma unica di comunicazione – Intersections – che “obbliga” tutte le diverse istanze dell’associazione a sedersi allo stesso tavolo: creatività, PR, media, dati, tecnologia.

 

Non è stato facile farlo accettare a tutti, come non è stato facile mettere insieme UNA, IAB, ADCI, Assirm con i clienti di UPA. Ma era ed è l’unica strada per dare coerenza e forza al nostro settore.

 

Il ruolo delle agenzie nella politica, nell’industria e nel sociale

Le agenzie – e le PR – spesso vengono viste come “veicolo” tecnico, non come soggetto strategico. Tu come le vedi rispetto alla definizione di strategie politiche, industriali e sociali nel Paese?

La comunicazione è un asset strategico, non un accessorio. In Italia, purtroppo, c’è ancora la tendenza a pensare che chiunque possa improvvisarsi comunicatore. Ma dietro c’è un processo complesso.

 

Oggi le agenzie devono dialogare non solo con i clienti, ma anche con politica, cultura, industria. Siamo ambassador che aiutano ad attraversare territori innovativi. E dobbiamo ricordare che le parole hanno un valore etico enorme: possono cambiare la vita delle persone.

 

Quanto dovrebbe – o può – un’agenzia oggi assumersi responsabilità civiche nel tessuto urbano o nelle scelte collettive? Cosa significa essere “agenzia responsabile”?

 

Non basta una certificazione di facciata. Vuol dire avere un vero senso civico, essere stakeholder attivi nei contesti in cui operiamo, preoccuparci delle persone e dell’impatto che generiamo.

Responsabilità significa concretezza e coerenza.

 

Rafforzare i territori

UNA ha avviato negli ultimi anni un percorso di valorizzazione delle territoriali. Quali azioni state portando avanti?

Sono molteplici.

Prima di tutto, la Prima Festa delle Territoriali, diventata poi Thera, che ha rappresentato un momento di aggregazione e identità per l’intera comunità.

Poi la scelta di individuare in ogni territorio dei delegati tematici per l’associazione – formazione, relazioni istituzionali, marketing associativo – così da diffondere competenze e responsabilità.

 

E non è finita: le territoriali avranno un ruolo importante a Intersections il prossimo novembre (ma è ancora una sorpresa…).

 

Inoltre, stiamo collaborando con Confindustria Professioni e Management, di cui facciamo parte, per promuovere nuove iniziative locali, nate dal basso, che rafforzino il dialogo con le imprese e le istituzioni.

 

Comunicazione, credibilità e fiducia

In un’epoca affollata da slogan, algoritmi e rumor, come si costruisce (o si ripara) la credibilità di un marchio, di una persona, di un progetto?

Con competenza e professionalità. Servono tecnologia e strumenti innovativi, ma alla base resta la relazione umana.

Solo l’essere umano sa “unire i puntini”: digitale, AI e rapporti concreti devono convivere.

 

Agire mentre cresce l’incertezza

Nel libro affermi che non serve (o non serve più) un piano B. In un ambiente così volatile – con crisi, shock tecnologici, instabilità – non è un messaggio “alto rischio”?

Non è che non serva: per me ha funzionato non averlo. Ma significa essere consapevoli che le cose non vanno sempre bene e saper gestire il fallimento.

Più che un piano B, serve allenarsi a flessibilità e resilienza.

 

Tecnologia, trend, onde lunghe

Hai menzionato il passaggio da analogico a digitale, e oggi l’IA. Qual è, da outsider del futuro, un trend che secondo te oggi viene sottovalutato e che cambierà profondamente la comunicazione nei prossimi 5-10 anni?

La storia insegna che ciò che sembra vecchio può tornare improvvisamente attuale.

 

Pensiamo al QR code: dato per morto, e poi rinato grazie alla pandemia. O al metaverso, che sembra sparito dai radar ma potrebbe rientrare dalla porta di servizio.

 

L’unica costante, però, è l’Intelligenza Artificiale: non un trend, ma un player sistemico. Come l’elettricità o Internet, non è una moda: cambia le regole del gioco, ridefinisce mestieri e linguaggi.

 

Leadership e comunità professionale

Come Presidente di UNA, qual è la lezione più dura che hai ricevuto nel dialogo con le imprese di comunicazione su territori diversi?

La critica più ricorrente è quella di essere “troppo Milano-centrici”.

È un invito a fare di più per valorizzare le territoriali. L’Italia non è uniforme: le esperienze, le culture, i mercati del Nord, Centro e Sud sono diversi e preziosi, ognuno per le proprie peculiarità.

 

Per questo abbiamo scelto di rafforzare la rete e le occasioni di confronto orizzontale: la vera ricchezza di UNA è nella pluralità dei punti di vista.

 

Torino, territorio, radici

Presentando il libro qui, che domande ti aspetti da un pubblico torinese, piemontese? C’è qualcosa che, secondo te, la cultura locale può dare al modo di fare comunicazione italiano?

Mi aspetto curiosità, spirito critico e grande attenzione alla sostanza.

Torino è la città di Armando Testa, che ha rivoluzionato il nostro linguaggio pubblicitario, ma anche una capitale della cultura industriale e della serietà professionale.

 

È un laboratorio che unisce radici e sperimentazione, tradizione e visione.

Il Nord-Ovest, con il suo tessuto civile e industriale, resta la locomotiva del Paese. Ha la responsabilità di trainare senza separare, di innovare senza perdere l’anima.

 

La borsa per cominciare l’avventura

Se a fine serata – mentre brinderemo – dessi a un giovane che ti ascolta una “borsa minima”: tre cose, tre valori, tre strumenti che non devono mancare. Quali sarebbero?

Curiosità – perché senza curiosità non c’è innovazione.

Relazioni – perché la comunicazione è prima di tutto costruzione di legami.

Consapevolezza – che gli obiettivi più lontani si raggiungono solo con impegno, sacrificio e la voglia di “rubare il mestiere” a chi ha più esperienza.

 

Conclusione

L’incontro con Davide ci ricorda che la comunicazione non è mai solo mestiere tecnico, ma scelta quotidiana di responsabilità e visione.

 

“Prendi la borsa e vai” diventa allora non soltanto il racconto di una carriera, ma un invito a tutti noi comunicatori a interrogarci su quale bagaglio portiamo con noi: valori, coraggio, curiosità, capacità di ascolto.

È in questa continua ricerca che si gioca il futuro della nostra professione.

 

Ma soprattutto, dal dialogo con UNA emerge un bisogno chiaro e vitale: quello di costruire un’alleanza strutturale tra realtà come UNA e FERPI, comunità complementari che condividono un medesimo DNA professionale e civile.

 

Unire la cultura della comunicazione con quella delle relazioni significa dare al Paese una voce più consapevole, autorevole e responsabile.

 

Solo insieme, in un ecosistema aperto e collaborativo, potremo affrontare la sfida più grande: restituire alla comunicazione il suo ruolo originario di bene comune.

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